Omelia nella liturgia della Parola in memoria di Sr. Maria De Coppi

Il Padre ha creato, Cristo ha restaurato

Omelia nella liturgia della Parola in memoria di Sr. Maria De Coppi

 

Abbiamo appena ascoltato una pagina del vangelo (cf. Mc 7,31-37), che descrive gesti alquanto inconsueti di Gesù. Di solito, infatti, le guarigioni egli le compiva mediante la parola; qui, però (come farà poco più avanti con il cieco di Betsaida in Mc 8,23), c’è un intervento fisico: Gesù pone le dita negli orecchi di un sordomuto e usa la saliva e tutto questo lo compie in un contesto di grande intimità: «lo prese in disparte, lontano dalla folla», abbiamo letto. Ma come avrà toccato quell’uomo con la sua saliva? Potremmo tradurre il verbo usato con «sputò», ma come immaginare questo gesto in Gesù? San Gregorio Magno, da cui dipendono molti commentatori medievali, ha consegnato all’esegesi una spiegazione spirituale: «mettere le dita negli orecchi è aprire per mezzo dei doni dello Spirito Santo la mente del sordo all’obbedienza della fede. Cosa significa poi che sputò e gli toccò la lingua con la saliva? La saliva per noi è la sapienza nella parola di Dio ricevuta dalla bocca del Redentore…» (Hom. in Ezech. X, 20: PL 76, 894).

Se però noi vogliamo fermarci al gesto di Gesù in quanto tale non ci resta che pensare che lo baciò: baciò quell’uomo e gli toccò le labbra con la lingua. È un bacio d’amore. C’è, poi, quel sospiro di Gesù, sottolineato dal vangelo e anch’esso c’induce a pensare a un gesto d’amore, analogo a quello di cui parla il profeta Osea quando ci trasmette questa parola di Dio: «ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore» (Os 2,16). Così fa anche Gesù: si apparta con quell’uomo ancora imperfetto nella sua umanità, perché non sente ed è limitato nel parlare… È una umanità ancora abbozzata, chiusa in se stessa e Gesù, che è il ri-creatore, perfeziona l’opera della creazione. «Chi era immortale assunse la condizione mortale – diceva sant’Anselmo – subì la passione, vinse la morte e mi ha restaurato» (Medit. VII, 2: PL 158, 741). Come la prima creazione, anche la ri-creazione fatta da Gesù è un atto d’amore. Il Padre ha creato e Cristo ha restaurato! (cf. Ambrosiaster, Comm. in Galatas, Prologus, I: PL 17, 339).

C’è poi questa parola Effatà, che vuol dire apriti! Introducendo la preghiera dell’Angelus a Castelgandolfo il 9 settembre 2012, Benedetto XVI la commentò così: «questa piccola parola, “effatà – apriti”, riassume in sé tutta la missione di Cristo… tutti sappiamo che la chiusura dell’uomo, il suo isolamento, non dipende solo dagli organi di senso. C’è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il “cuore”. È questo che Gesù è venuto ad “aprire”, a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri».

Ci sono altre parole di Gesù, che i vangeli ci riferiscono nel suo dialetto. Una è Abba e per fortuna noi l’abbiamo conservata, anche se tradotta in altra lingua, prima latina e ora italiana: Padre! La ripeteremo tutti insieme fra poco. L’altra parola. Talitha kum, che vuol dire “alzati”, la troviamo sempre nel vangelo secondo Marco (5,41) rivolta da Gesù alla figlia dodicenne del capo della sinagoga, ed è scomparsa dal nostro uso liturgico. La parola Effatà è, invece, ancora presente nel rito battesimale ed è stata pronunciata su tutti di noi. Vuol dite apriti! È una parola che ci esorta a entrare giorno dopo giorno nell’intimità con Cristo! È una parola che ci incoraggia a lasciarci prendere ogni giorno in disparte da Gesù. In un suo sermone san J. H. Newman diceva che la definizione del cristiano è questa: colui che cerca Cristo! Aggiungerei: cercare Cristo come la sposa del Cantico, che finalmente trova l’amore della sua anima (cf. 3,4). Questo – diceva Newman – è il segno essenziale, il fondamento di un cristiano e la conseguenza, una volta incontrato Cristo, è la gioia: poiché ha ottenuto ciò che cercava, la santità è gioia! Spiegava pure: «quando dico gioia la intendo in tutte le sue forme, perché nella vera gioia sono incluse molte grazie: le persone gioiose sono amorevoli, perdonano, sono munifiche. La gioia, se è quella cristiana, rende gli uomini pacifici, sereni, riconoscenti, gentili, affettuosi, di animo dolce, piacevoli, speranzosi; è graziosa, tenera, commovente, vincente» (cf. Sermons on Subjects of the Day: Sermon 19. The Apostolical Christian).

In questo quadro ispirato dal testo evangelico possiamo, carissimi, inserire senz’altro la figura di Sr. Maria De Coppi, che questa sera ricordiamo nella preghiera. Lo facciamo qui in questa basilica di san Bartolomeo all’Isola che racchiude tanti segni di «nuovi martiri – testimoni della fede». Sono contento di stare insieme con voi e sono grato, a nome del Dicastero delle Cause dei Santi, alla Comunità di Sant’Egidio per la collaborazione che offre in vari modi. Saluto i parenti di Sr. Maria qui presenti e la superiora generale delle Suore Missionarie Comboniane. Come suo ricordo sarà conservato qui il suo libro della Liturgia delle Ore.

Bella la frase che ella la lasciato scritto: «Quell’amore di Dio – che mi aveva preso così inaspettatamente e mi aveva portato sin qui – ora lo trovo, vivo e palpitante , in mezzo a questi fratelli». Vi ritrovo passi del vangelo che è stato proclamato. Quando, ad esempio scrive che l’amore di Dio l’ha presa inaspettatamente, mi torna alla memoria il sordomuto preso in disparte dall’amore di Gesù. E poi nella donazione missionaria di Sr. Maria ritrovo quell’Apriti evangelico che con la spinta battesimale l’ha portata ad aprirsi a fratelli e sorelle di regioni lontane per diffondere tra loro il profumo di Cristo. Sr. Maria non ha dimenticato mai quell’amore iniziale. Questa la descrizione sintetica della sua uccisione: il 6 settembre 2022, dopo avere concluso la giornata appoggiando come al suo solito la testa sul tabernacolo, fu colpita da un proiettile e morì. «Guardando verso il cielo, emise un sospiro», dice il vangelo di Gesù. Certo è morta così anche lei.

 

Roma, Basilica di San Bartolomeo all’Isola, 9 febbraio 2024

 

Marcello Card. Semeraro