Omelia nella memoria di San Giorgio Santa Messa celebrata con il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio

 

Ha coltivato i divini comandamenti, ha distribuito ai poveri

Omelia nella memoria liturgica di San Giorgio

Santa Messa celebrata con il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio

 

Saluto cordialmente, anche a nome di tutti voi presenti, S.A.R. il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Gran Maestro del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, con la sua Famiglia. Lo ringrazio per avere voluto questa celebrazione Eucaristica, nel giorno in cui la Chiesa ricorda il Martire cui è affidato il patrocinio del nostro Ordine, san Giorgio.

È una memoria liturgica, questa, nella quale non possiamo non elevare il nostro pensiero augurale al nostro papa Francesco, che nel Santo Battesimo ha ricevuto proprio il nome di Giorgio. Preghiamo insieme il Signore, perché continui a sostenerlo nel suo ministero per la crescita e la vitalità della Santa Chiesa.

Saluto con rispetto il Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Abbraccio con sincera fraternità i Vescovi presenti e tutti i Prelati e Sacerdoti concelebranti. Un grato pensiero lo invio, insieme con voi, a S. Em. il sig. Cardinale Renato Raffaele Martino, Gran Priore emerito.

Saluto con profonda stima le Grandi Cariche dell’Ordine Costantiniano e le Autorità presenti; come pure tutti voi, Cavalieri e Dame.

A ciascuno dico: La pace di Cristo rallegri il vostro cuore.

 

Ricorre oggi un anno da quando il nostro Gran Maestro volle, con l’assenso del Santo Padre, nominarmi Gran Priore dell’Ordine. Lo ringrazio di nuovo e pubblicamente per avermi voluto in questo compito di promozione e sostegno dei valori cristiani nell’Ordine. Fra questi, il Rito dell’Investitura chiede anche quello di «amare Cristo e i fratelli, soprattutto i poveri e gli ultimi». Questo è davvero molto lodevole, se è vero, come ricorda una recente dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede, che la povertà, collegata all’ineguale distribuzione della ricchezza, è uno dei fenomeni che contribuisce considerevolmente a negare la dignità di tanti esseri umani (cf. Dignitas infinita, n. 36). È bello, allora, costatare che l’Ordine Costantiniano ha da tempo creato un apposito organismo dedicato alle attività benefiche e assistenziali.

Oggi celebriamo con tutta la Chiesa la memoria di san Giorgio, uno fra i santi più famosi nella tradizione cristiana. Un segno è il fatto che la sua figura è circondata da tante leggende, che non sono favole, ma narrazioni simboliche. Nota fra tutte è quella divulgata da Jacopo da Varazze, un domenicano vissuto nel XIII secolo, autore di una famosa opera intitolata Legenda aurea. Qui si narra che Giorgio era un nobile cavaliere di fede cristiana, originario della Cappadocia, nell’attuale Turchia. Cavalcando il suo cavallo, egli giunse in Cirenaica, nel regno di Silene che era funestato dalla presenza di un terribile drago, la cui forza distruttrice poteva essere contenuta solo da sacrifici umani. Fu proprio l’intervento del «soldato di Cristo» a salvare dalle fauci del mostro la figlia del re e sconfiggerlo. Ammirata per il prodigio, tutta la popolazione volle farsi battezzare e il re, per compensarlo, gli offrì una grande somma. Giorgio, però, volle che fosse distribuita ai poveri; prima di andar via, poi, gli raccomandò di ricordarsi sempre dei bisognosi.

Alla luce di questa leggenda, carissimi, facciamo qualche riflessione sulla pagina del santo vangelo, che è stata proclamata. Riflettiamo in particolare su questo detto alquanto singolare di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24). Qui c’è qualcosa che può senz’altro apparirci come logica: nella vita, infatti, ci sono delle cose che per ottenerle occorre perderne delle altre. Penso a una lampada che dà la luce soltanto se l’olio diminuisce, o al sale che dà sapore solo se scompare. Penso soprattutto a una mamma, che per generare un figlio deve perdere qualcosa di sé. È un’importante legge di vita.

Possiamo, però, fare un passo avanti nella nostra comprensione della parola di Gesù, sottolineando il ricorso all’inciso che occorre «perdere» per causa sua. È il cuore della frase, perché ci aiuta a capire che all’origine di tutto dev’esserci l’amore. Quando, nella festa di un martire, sant’Agostino commentava questa frase diceva che si diventa capaci di mettere se stessi da parte soltanto se si ama. Chi ama deve perdere, diceva e spiegava: «chi intende ricavare un frutto della propria vita, la semini», ossia la doni! Portava, quindi, l’esempio dell’agricoltore: egli ama il suo seme, ma sa che per farlo fruttificare deve «perderlo», ossia deve seminarlo, gettarlo nella terra, ricoprirlo e pazientare per tutto l’inverno... Arriva, poi, l’estate e l’agricoltore gioisce nel raccolto (cf. Discorso 330, 2: PL 38, 1457).

Ho scelto questo esempio non solo per la sua efficacia didattica, ma anche perché la tradizione bizantina, un po’ giocando con il nome di Giorgio, che in greco (gheorgós) vuol dire «agricoltore», lo onora con queste parole: «Avendo coltivato con cura il seme dei divini comandamenti, hai pienamente distribuito ai poveri tutta la tua ricchezza». Alludendo poi a un famoso testo paolino (cf. Ef 6,13-17), dice pure: «Stringendoti alla corazza della fede, allo scudo della grazia e alla lancia della croce, sei divenuto, Giorgio, imprendibile per gli avversari, fai coro con gli angeli e ti prendi cura dei tuoi devoti».

Ecco, carissimi Cavalieri e Dame dell’Ordine Costantiniano, il senso dell’essere un «Sacro Militare Ordine». La benedizione invocata nel rito dell’Investitura dice: «Siate fedeli e valorosi soldati di Nostro Signore Gesù Cristo,

Cavalieri e Dame pronti a testimoniare con le parole e con le opere la fedeltà al santo Vangelo». Le parole siano la professione della fede cristiana; le opere siano la carità. È così che si diventa «sempre più autentici testimoni della Croce di Nostro Signore».

 

È allora significativo, carissimi, che la nostra assemblea questa sera sia radunata in questa Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme. Siamo tutti grati al Parroco, don Alessandro Pugiotto, per la sua cortese ospitalità. Le origini di questo tempio ci riportano alla madre dell’imperatore Costantino, sant’Elena, che lo volle come preziosa stauroteca per conservare le reliquie della Passione, soprattutto della Croce di Cristo. La Croce è riprodotta dal Labaro dell’Ordine ed è portata da ciascuno sul proprio mantello. Preghiamo, dunque, con le antiche parole: «Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo». Amen.

 

Basilica di Santa Croce in Gerusalemme – Roma, 23 aprile 2024

 

Marcello Card. Semeraro