Omelia nella Messa celebrata con i nuovi Vescovi

 

Alzarsi e servire

Omelia nella Messa celebrata con i nuovi Vescovi

 

La proclamazione della pagina evangelica che insieme abbiamo ascoltato (cf. Lc 4,38-44) ha avuto inizio con il racconto della guarigione della suocera di Simone. È la prima volta che egli è nominato nel vangelo secondo Luca; tutto, però, ci fa capire che oramai la presenza di Gesù nella sua casa era oramai una consuetudine. Permettete, allora, che mi soffermi su questo episodio, anche perché nel mio animo suscita molti ricordi e riflessioni. Sono stato, difatti, vescovo diocesano in due sedi differenti: la prima volta nel Salento, che è pure la mia terra d’origine, e poi nella Chiesa di Albano, un’antica sede suburbicaria non lontana da qui. Al di là delle differenze socio-ambientali, storiche e culturali un fatto, in particolare, mi convinse che la distanza era ben più di quella geografica: fu l’impossibilità di fatto di visitare in casa gli infermi e questo perché gli ammalati e gli anziani non erano, né sono curati e assistiti in casa, bensì negli ospedali e nelle strutture di accoglienza, ossia in realtà dove l’accesso è subordinato all’osservanza di varie norme. La questione poi si fece più grave negli anni del Covid sicché ho molto riflettuto sulla proposta di una pastorale di cura.

Non intendo semplicemente la visitare agli infermi, per quanto nella Chiesa antica ciò sia indicato come dovere precipuo del vescovo. La sua visita, si legge negli antichi  Canoni di Ippolito, «è un grande bene per l’ammalato, specialmente se questi prega su di lui» (can. 199). La «pastorale di cura» che intendo è ben più della pastorale sanitaria. È piuttosto uno stile dove la pastorale non può che essere relazione, rapporto anzitutto personale. La pastorale di cura non si può fare per Facebook né con Tik Tok ma solo guardandosi reciprocamente negli occhi, tenendo stretta una mano; è «luogo» dove visitare e incontrare è anzitutto ascoltare, ossia permettere all’altro di esserci, di avere spazio in me.

Nel racconto di Luca che abbiamo ascoltato, ci sono delle caratteristiche rispetto ai luoghi paralleli di Matteo e Marco. C’è, ad esempio, l’annotazione che per parlare all’inferma Gesù si chinò su di lei. Era, dunque, in situazione di eminenza rispetto a lei, che invece giaceva nel letto. Qualche esegeta ha voluto spiegare che Gesù si pose «sulla testata del letto»; a me tuttavia il gesto di Gesù ricorda «quel principio umano» che, secondo papa Francesco, «ci avvicina a capire il mistero di Cristo: che ogni uomo guardi un altro uomo dall’alto in basso, solamente quando deve aiutarlo a sollevarsi» (Omelia in Santa Marta del 9 ottobre 2017). C’è, poi,  l’osservazione che si trattava di una «grande febbre». Significa qualcosa? Quella guarigione avviene in giorno di sabato e il riposo sabbatico poteva essere violato solo in caso di pericolo di morte. Era in tal situazione, la suocera di Pietro? Se così, più sorprendente è l’esito della guarigione: subito si alzò in piedi. Ancora: in Mt 8,14 è Gesù che vede la suocera di Simone a letto con la febbre; in Mc 1,30 sono i discepoli che informano Gesù: gli parlarono di lei. Luca scrive, invece, bensì lo pregarono per lei. La casa di Simone è mostrata come un luogo di culto, dove non soltanto si prega Dio, ma pure si intercede a favore degli altri! La chiesa non è solo luogo di culto, ma pure di intercessione; un luogo dove lo sguardo è rivolto soltanto a Dio, ma anche al bisogno dei fratelli. San Giovanni Crisostomo sottolinea proprio questo aspetto della guarigione della suocera di Pietro ed è che Cristo, «per l’intercessione degli uni, concede la guarigione degli altri» (cf. In Matt. Hom. 27, 1: PL. 57, 343).

E quella donna non soltanto guarisce ma, come abbiamo udito, subito si alzò in piedi e li serviva. Il verbo è quello che cui i vangeli faranno ricorso per indicare la risurrezione di Cristo, ma c’è qualcos’altro che rassomiglia questa donna a Cristo: il servizio. Ella non è semplicemente guarita. «Prese a servirli», abbiamo udito e con ciò non si indica un semplice atto, ma un’azione continua, un atteggiamento; è un servizio che è reso non soltanto a chi l’ha guarita, ma pure a coloro che avevano interceduto per lei e per tutti quelli che sono nella casa. Rosanna Virgili traduce così: Alzatasi, era loro diacona («anastása diekònei»). Il servizio diventa uno stato di vita. La biblista che ho citato spiega: «La sua diaconia è innestata nella persona stessa di Gesù che è venuto per servire… La suocera di Pietro esprime il cuore della persona di Gesù e la particolarità di essere “Figlio di Dio” e messia: un re che serve, un “grande” che è il più piccolo (cf. Lc 22,26). Questa donna è la prima a godere della messianicità di Gesù, la prima a dare frutto dell’anno di “grazia” che Gesù ha appena annunciato» (R. Virgili [a cura di], I Vangeli, Ancora, Milano 2015, 887).

Possiamo allora indicare nella suocera di Pietro guarita l’icona della Chiesa-in-servizio. Anzi, come spiegava sant’Ambrogio, ella è anticipazione profetica del ministero apostolico: «Surrexit et ministrabat. Et bene surrexit; sacramenti enim typum apostolica jam gratia ministrabat. Proprium est autem surgere Christi ministros…» (De viduis X, 66: PL 16, 254). Ed è così per chiunque è raggiunto dall’azione liberante di Cristo. Come la suocera di Simone, che non è grata soltanto a Gesù che l’ha guarita, ma si mette a servizio di tutti, così è chi è raggiunto dalla grazia, chi sperimenta la salvezza non diventa un ex voto che sta quieto per grazia ricevuta, ma reagisce di persona e si apre al servizio di tutti.

Dopo questo racconto, lo scenario evangelico si allarga. Tramontato il sole, ecco che a Gesù condussero «tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie» e poi, nonostante si fosse recato in un luogo deserto, Gesù continua a essere cercato, ma egli non vuole essere trattenuto; la sua missione è più ampia… Anche a noi, per quanto possiamo sentirci gratificati da una qualche bene riuscita iniziativa diocesana, la missione richiede sempre di allargare sempre lo sguardo. «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato», dice Gesù. Un «vescovo» deve sempre «guardare», come dice il verbo greco da cui il termine deriva; e non soltanto guardare dall’alto, ma anche guardare in avanti, guardare oltre. Nel cuore, tuttavia, carissimi fratelli, ci rimanga sempre l’immagine di questa casa, dove Gesù si piegò su di una donna malata ed ella subito si alzò per servire.

 

Roma, 6 settembre 2023

 

Marcello Card. Semeraro