Omelia nella Messa del Mercoledì delle Ceneri 2024

 

Iniziamo un cammino di vera conversione

Omelia nella Messa del Mercoledì delle Ceneri 2024

 

Il testo latino della preghiera Colletta della Messa dice così: Concede nobis, Domine, præsidia militiæ christianæ sanctis inchoare ieiuniis… Ricorre, evidentemente, alla categoria della «milizia cristiana». L’aveva già fatto san Paolo in più parti delle sue lettere, soprattutto in quella agli Efesini, dove, per poter resistere alle insidie del diavolo, elenca un vero e proprio armamentario: «la corazza della giustizia, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza… (cf. 6,11-17). Sembra quasi che l’Apostolo voglia dirci: tu che hai scelto Cristo, non illuderti d’avere una vita facile. In realtà, è attraverso la lotta che progredisce la vita cristiana.

Nelle storie dei Padri del deserto c’è pure questa: «Il padre Poemen raccontava che il padre Giovanni Nano aveva pregato Dio e furono allontanate da lui le passioni e fu liberato da ogni sollecitudine. Si recò allora da un anziano e gli disse: “Mi trovo nella quiete, e non devo sostenere nessuna lotta”. Gli disse il vecchio: “Va’ e prega Dio perché sopraggiunga su di te la lotta e tu ne tragga quella contrizione ed umiltà che avevi prima. È attraverso la lotta che l’anima progredisce”. L’altro pregò Dio per questo e, quando giunse la lotta, non pregò più perché la allontanasse da lui. Chiedeva invece: “Dammi, Signore, pazienza nei combattimenti”». (Serie Alf.: Giovanni Nano, 13). Il cristiano, vuole dirci la storia, è un combattente.

Il Messale in lingua italiana, traducendo l’espressione «milizia cristiana» con «cammino di conversione», ha per qualche aspetto «smilitarizzato» il tempo quaresimale. Conserva, però, l’avvertimento che c’è in atto un «combattimento contro lo spirito del male»; una lotta che soltanto le armi della penitenza ci permettono di affrontare vittoriosamente. Fra queste, la tradizione della Chiesa ci presenta sempre il digiuno. Il nostro tempo quaresimale, d’altra parte, non guarda a Gesù, del quale gli evangelisti Matteo e Luca ci narrano che in quei quaranta giorni egli digiunò?

L’opera del digiuno è, quindi, importante, nella penitenza quaresimale, ma non è certo la più difficile! Quando una volta il mio papà, in vista del mercoledì delle ceneri, mi domandò in che cosa propriamente consistesse il nostro digiuno, io gli risposi subito: «consiste nel fare un unico pasto durante la giornata; sono, però, possibili una colazione al mattino e un po’ di cibo alla sera». Mio padre replicò subito: «Ma io faccio così tutti i giorni»! Non seppi reagirgli.

Tra i Sermoni di Newman ve n’è uno dedicato proprio al digiuno. Considerando le tentazioni di Gesù egli notava che esse cominciarono proprio con il tentativo d’indurlo a interrompere il digiuno. Le tentazioni, però, non finirono così. Subito dopo, anzi, si fecero più insidiose e più sottili. Newman ne prendeva spunto per spiegare che ci sono molte cose che a prima vista non appaiono cattive, ma che pongono su un piano inclinato e, prima o poi, portano al male. Diceva: «Se una cosa è proibita, l’uomo preferisce non commetterla direttamente, ma cerca invece di manovrare in modo da raggiungere il fine che gli è proibito in qualche altra maniera. È come quando cerchiamo di raggiungere un determinato luogo: da principio cerchiamo di giungervi per la via più diretta; però se troviamo il cammino sbarrato, prendiamo un percorso che vi gira attorno… ed ecco che alla fine siamo giunti dove volevamo». Ecco, allora, cosa s’intende per peccato sottile: «quello che da principio non sembra un peccato, e che però in ultimo giunge allo stesso risultato di un peccato esplicito e diretto» (Sermoni Cattolici, Jaca Book-Morcelliana, Milano-Brescia 1984, 303).

Teresa d’Avila la pensava alla stessa maniera. Alle sue monache diceva che il demonio mette in campo grandi astuzie e una infinità di sottigliezze per allontanare dalla divina volontà; diceva che lo fa cominciando da «certe piccole cosette, ingannando col fare credere che non siano cattive e così da una cosa all’altra separa dalla volontà di Dio e accosta alla propria» (cf. Castello interiore, IV, 8). Forse, allora, oltre che al digiuno, è il caso che noi facciamo attenzione pure alle «piccole cosette», con le quali il demonio cerca di ingannarci.

Dicevo prima che, ricorrendo alla parola «conversione», la traduzione italiana ha «smilitarizzato» il concetto di penitenza. Le ha però aggiunto due cose. Anzitutto l’idea del «cammino», il che ci dovrebbe far capire che la conversione non è una tantum, ma è un progressivo, quotidiano andare incontro al Signore. Torno a citare Newman. In un altro Sermone egli commenta il ritorno a casa del figliol prodigo e dice subito che la conversione, il pentimento «è un’opera mai completa, mai intera, senza un termine, sia per la sua inerente imperfezione, che a causa delle sempre nuove occasioni che capitano per metterlo in opera… siamo sempre solamente all’inizio; il più perfetto cristiano è, per se stesso, soltanto un principiante, un figlio prodigo della penitenza…» (Sermoni Anglicani, Jaca Book-Morcelliana, Milano-Brescia 1981, 111-112).

L’altra cosa presente nella traduzione italiana del Messale è l’aggiunta alla parola conversione dell’aggettivo «vera». Intende – penso – che possono esserci conversioni che non partono dal cuore, ma dall’uomo esteriore. La nostra conversione, invece, se vuol essere vera deve anzitutto essere in noi. «La verità abita nell’uomo interiore», diceva Agostino (De vera religione 39, 72: PL 34, 154). Soltanto questa «verità» ci rende capaci di smascherare le insidias diaboli, le «facilitazioni» del diavolo. Il Signore ci conceda di riconoscere subito l’azione di quel bravissimo, ma tragico facilitatore e d’impegnarci in un cammino di vera conversione. Amen.

 

Città del Vaticano – Cappella degli Svizzeri, 14 febbraio 2024

 

Marcello Card. Semeraro