Omelia nella solennità della Trasfigurazione del Signore 2023

 

Tramite Cristo amare la Chiesa e il mondo[1]

Omelia nella solennità della Trasfigurazione del Signore 2023

 

Vi sono grato, carissimi, per essere qui, tutti insieme, a celebrare l’Eucaristia e ricordare concordemente, la luminosa figura di san Paolo VI. Oggi, peraltro, la festa della Trasfigurazione coincide con il giorno di domenica, come nel 1978, quando egli passò da questa terra, «dolorosa, drammatica e magnifica» (come la chiamò) alla gioia del Paradiso. Ora egli è su quel «monte» dove senza fine si loda Dio, si ascolta Dio e si parla con lui. Perché, in fondo, questo è per noi la vita eterna: dialogare con Dio, perché nel dialogo (quanto significativa, fu questa parola, nel magistero di Paolo VI) ci si incontra, ci si comprende, ci si vuole bene. Mi piace immaginare il paradiso come un parlarsi senza fine: mi ami tu? Gesù lo chiese a Pietro e, in cielo, ce lo chiederà per l’eternità come una mamma al suo bambino; e noi ogni volta, per l’eternità, gli risponderemo: Tu lo sai che ti amo! Questo dialogo è la vota eterna!

Celebriamo la Santa Messa sostando vicini anche fisicamente al luogo dove egli è sepolto. Alcuni anni or sono, una volta nella prossimità del rito di beatificazione e poi, di nuovo, prima della canonizzazione domandai a papa Francesco se quei resti mortali sarebbero stati portati sopra in Basilica, come avvenuto per altri Papi. Ambedue le volte la risposta di Francesco fu: « … ha chiesto di essere sepolto nella vera terra». Effettivamente lo aveva scritto nel suo Testamento, aggiungendo: «con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà». Papa Francesco voleva rispettare questa «umiltà». Umile segno fu tutta la persona di san Paolo VI. Noi la ammiriamo, la assumiamo a modello, la onoriamo. Lo facciamo con semplicità, ma con rinnovata gioia.

L’altro giorno il dr. Saverio Petrillo mi diceva: «ormai siamo rimasti in pochi ad averlo conosciuto da vicino». È così. Con Paolo VI, io ci ho parlato solo una volta e brevemente. Fu il 20 marzo 1974, quando ero giovane sacerdote nel Seminario Regionale di Molfetta. Per il termine dell’Udienza generale di quel mercoledì il Rettore del Seminario aveva ottenuto per sé e per i due Vice-Rettori di poter salutare di persona il Papa. L’ho rivisto, poi, da morto, quando giunsi a Roma per venerare la sua salma nella Basilica di San Pietro.

Tra voi presenti c’è, al contrario, chi ha avuto famigliarità con lui. Lei, carissimo comm. Franco Ghezzi: negli anni del mio ministero episcopale ad Albano quante volte e con quali emozioni mi ha parlato di Paolo VI… Come prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi ho potuto leggere la sua testimonianza al processo per la beatificazione e canonizzazione: ho veduto che a me lei ha fatto confidenze più intime. Grazie! Anche lei, carissimo dr. Saverio Petrillo: una volta mi ha raccontato di avere sentito, nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, il Papa ridere di cuore insieme col padre Giulio Bevilacqua. Altro che «Paolo mesto», mi commentò. E lei, carissimo Mons. Leonardo Sapienza: quante testimonianze, anche inedite, ci ha lasciato e continua a donarci. Nella mia libreria, i suoi libri su Paolo VI occupano tre scaffali. Io sono sinceramente grato al Signore per avermi messo sulla vostra strada. Tra i ricordi di persone vicine a Paolo VI desidero aggiungere Sr. Giacomina Pedrini, della Congregazione di Maria Bambina, che è l’ultima delle religiose che gli furono accanto. L’ho sentita per telefono giorni or sono e mi ha rassicurato che da Milano oggi ci è spiritualmente vicina.

Il racconto del Vangelo ha fatto risuonare la voce del Padre riguardo a Gesù: Ascoltatelo! Nella preghiera Colletta abbiamo chiesto al Signore: «fa’ che, ascoltando la parola del tuo amato Figlio, diventiamo coeredi della sua gloria». Paolo VI disse una volta che tutto il mistero della Trasfigurazione è unico, irripetibile. Quell’ascoltatelo, però, dura sempre. L’ora del Tabor, disse, «sarà un’ora continuata e consueta per noi, se sapremo tenere l’occhio fisso sul viso di Cristo e su quello, che storicamente lo riproduce, della sua Chiesa».[2]

Cristo e la Chiesa: i suoi due amori. Mai l’uno senza l’altro; sempre, anzi, in relazione reciproca. L’amore per Cristo, unico e assoluto, lo portava all’amore per la Chiesa e questo lo riportava a Cristo. Nell’omelia del 28 ottobre 1965, mentre promulgava cinque documenti del Vaticano II Paolo VI disse: «da Cristo viene la Chiesa, a Cristo va; e questi sono i suoi passi, gli atti cioè con cui essa si perfeziona, si conferma, si sviluppa, si rinnova, si santifica. E tutto questo sforzo perfettivo della Chiesa, a ben guardare, altro non è che un’espressione d’amore a Cristo Signore; a quel Cristo che suscita in essa l’esigenza di essere e di sentirsi fedele, di mantenersi autentica e coerente, viva e feconda; e che a sé, Sposo divino, la chiama e la guida». Da testimone, questo duplice amore Paolo VI ce lo ha lasciato come sua consegna.

Quest’anno, lo sappiamo, ricorre il 60mo anniversario della sua chiamata al ministero petrino. Dalle note personali di Paolo VI mons. Pasquale Macchi ha ripreso ciò che scrisse la sera stessa della elezione: «Sono nell’appartamento pontificio; impressione profonda, di disagio e di confidenza insieme […] poi è notte: preghiera e silenzio. No, che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa qual è. Il mondo qual è. Quale sforzo! Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo. Mi ami? Pasci. / O Cristo, o Cristo! / Non permettere che io mi separi da Te. / O Cristo, o Cristo: io in Voi».[3] Amare la Chiesa e il mondo per il tramite dell’amore di Cristo!

Quando papa Francesco incontrò la Diocesi di Brescia, parlò degli amori di Paolo VI: a Cristo «non per possederlo, ma per annunciarlo»; alla Chiesa, spendendosi per essa senza riserve; per l’uomo, che vuol dire condividere con Dio la passione di incontrare l’uomo, rispettarlo, riconoscerlo e servirlo.[4] Io non so se egli conoscesse le note di Paolo VI scritte la sera dell’elezione; ad ogni modo le ha sintetizzate ottimamente anche per noi, che volentieri le raccogliamo.

 

Grotte Vaticane, 6 agosto 2023

 

Marcello Card. Semeraro

 

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[1] Grotte Vaticane – «Cappella degli Irlandesi», 6 agosto 2023.

[2] Discorso del 23 febbraio 1964, agli Addetti all’azienda Statale dei Telefoni.

[3] P. Macchi, Paolo VI nella sua parola, Morcelliana, Brescia 2001, p. 104-105.

[4] Cf. Udienza del 22 giugno 2013.