Omelia per il 750° anniversario della morte di san Tommaso d’Aquino - Roccasecca

 

La nobiltà dell’uomo e della famiglia

Omelia per il 750° anniversario della morte di san Tommaso d’Aquino

 

Permettete, carissimi, che dica subito il mio grazie al vostro vescovo, il carissimo Mons. Gerardo Antonazzo, per avermi invitato a lodare, insieme con lui e tutti voi, il Signore per l’effusione di sapienza e di bontà che ha fatto alla sua Chiesa nella persona, nel magistero e nell’esempio di vita di san Tommaso d’Aquino. Siamo qui a Roccasecca, il luogo dove egli è nato. Non soltanto. Considerando, infatti, gli anni della sua giovinezza si aggiungerà che qui Tommaso ha pure vissuto un momento alquanto critico per la sua vita. Mi riferisco alla sua cosiddetta prigionia per cui fu trattenuto per oltre un anno qui a Roccasecca e poi nel castello di Monte San Giovanni: tutto fu disposto per indurlo a cambiare il proposito di vita religiosa già avviato con la vestizione dell’abito domenicano. Il bravo Tommaso, però, seppe – come suole dirsi – fare di necessità virtù.

Come, infatti, racconta Guglielmo di Tocco – ch’è il suo principale biografo e, oggi diremmo, pure il postulatore della sua causa di canonizzazione – in quei mesi Tommaso «si consacrò totalmente alla preghiera, alla lettura e alla contemplazione». In concreto, egli giunse a leggere tutta la Bibbia (perlegit, scrive il biografo, che vuol dire leggere attentamente, da cima a fondo) e studiò le Sentenze di Pietro Lombardo, un’opera che poi commenterà in modo approfondito (cf. G. di Tocco, Vita, 10). Così facendo, Tommaso trasformò quella fase complicata e difficile della sua vita in un periodo di iniziazione ai futuri compiti. Anche in questo egli è un bell’esempio per noi, che spesso davanti alle difficoltà ci scoraggiamo, rinunciamo ai buoni propositi...

Aggiungerò che durante quel sequestro, i suoi parenti fecero di tutto per convincerlo a cambiare idea, ma egli, pur giovinetto, fu più forte al punto da convincere la madre (che, in verità, lo aveva architettato) ch’era meglio accettare le scelte di vita del figliolo. Tommaso, però, non serbò rancore alcuno; anzi, egli crebbe nell’affetto per la sua famiglia sicché, quando più tardi a motivo della mutata situazione politica i suoi parenti si trovarono in difficoltà anche economica, con l’aiuto del papa Clemente IV Tommaso trovò il modo per aiutarli. Come leggere tutto questo? Penso si debba farlo nel contesto dell’osservanza del quarto comandamento!

Nel 1273 (siamo ormai all’anno prima della sua morte) Tommaso predicò a Napoli, nella chiesa di san Domenico Maggiore, per il tempo della Quaresima. Guglielmo di Tocco ci fa sapere pure che predicò «nel dialetto della sua terra nativa». Fra i temi trattati nella predicazione ci fu pure il Decalogo. Commentando, dunque, il quarto comandamento, Tommaso dirà che principale fra tutti i doveri è aiutare i propri parenti. Citava san Paolo: «Se qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele» (1Tm 5,8). Sull’onorare il padre e la madre, poi, Tommaso si dilunga in modo particolare. Per addurre un esempio, egli narra «che le giovani cicogne usano ricoprire con le proprie penne i genitori che, a causa dell’età, le hanno perdute, e li nutrono dividendo con loro il cibo, non essendo quelli più in grado di procurarselo». Poi commenta dicendo che questo restituire quanto si ricevette in dono nei primi anni della vita è di una commovente delicatezza! (cf. De decem praec., 6co).

L’esempio delle cicogne era ricorrente nell’antichità e torna spesso nei «bestiari» medievali ed è simpatico vedere come parlava Maestro Tommaso nella predicazione al popolo. Simile insegnamento lo ha ricordato il Papa nella catechesi del mercoledì 20 aprile 2022, trattando anch’egli del quarto comandamento onora il padre e la madre. Disse: «Onore è una buona parola per inquadrare questo ambito di restituzione dell’amore che riguarda l’età anziana. Cioè, noi abbiamo ricevuto l’amore dei genitori, dei nonni e adesso noi restituiamo questo amore a loro, agli anziani, ai nonni».

Possiamo chiederci: è ancora attuale questo comandamento? Le profonde mutazioni avvenute nella famiglia c’inducono a varie riflessioni. Anzitutto sul legame genitoriale, ossia sul rapporto dei genitori coi loro figli e più in generale degli adulti con le giovani generazioni: ossia sul compito educativo e le responsabilità che ne derivano. Ma c’è da considerare pure il ruolo inverso, ossia il dovere dei figli verso i genitori e, di nuovo in senso più generale, i doveri delle giovani generazioni verso quelle che li hanno preceduti. E c’è pure una domanda, che va ancora più a fondo: in futuro, ci saranno ancora figli in grado di onorare i loro genitori? In un’altra catechesi, questa volta dell’11 febbraio 2015, il Papa disse che «una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa…».

Sono temi importanti. Me li ha suggeriti spontaneamente il fatto di essere qui con voi nel luogo dove Tommaso ha vissuto questo tipo di esperienze con i suoi genitori. Possiamo, però, allargare lo sguardo. Oltretutto noi oggi stiamo ricordando il 750° anniversario della morte di san Tommaso: morì, difatti, il 7 marzo 1274 nell’abbazia cisterciense di Fossanova, all’età di 49 anni. Per questa medesima occasione, cinquant’anni fa san Paolo VI scrisse al maestro generale dell’Ordine dei Predicatori una bellissima lettera intitolata Lumen Ecclesiae. Il più grande elogio che in quel documento Paolo VI fece di Tommaso è racchiuso, a mio parere, in queste parole: «seppe mostrare – in sede di teoria della cultura e con la pratica attuazione del suo lavoro scientifico – come si uniscano nel pensiero e nella vita l’assoluta fedeltà alla Parola di Dio e la massima apertura al mondo e ai suoi valori, lo slancio dell’innovazione e del progresso e la fondazione d’ogni costruzione sul terreno solido della tradizione» (n. 9).

Non sempre e non da tutti, anche nella Chiesa, si è stati (e si è!) capaci di osservare e conservare questa duplice dimensione: fedeltà a Dio e apertura al mondo. Associazione armonica, la chiamò Leone XIII nell’enciclica Aeterni Patris (1879). È accaduto spesso, invece, che per valorizzare il mondo si è ritenuto doveroso negare Dio; c’è stato, al contrario, chi ha pensato che l’amore verso Dio dovesse necessariamente comportare il disprezzo del mondo e lo svilimento della corporeità umana. San Tommaso, invece, quando parlava dell’uomo esclamava commosso: tam nobilis creatura (Contra Gent. IV, 1, n. 3). Quanto è nobile questa creatura!

Ecco, allora, carissimi fratelli e sorelle, i due insegnamenti di san Tommaso che, in conclusione, vorrei lasciarvi come ricordo di questa nostra bella celebrazione. Anzitutto il senso della nobiltà della persona umana. La ragione è nel fatto che Dio quando ha creato l’uomo lo ha voluto in grado di poterlo conoscere, amare ed essere in comunione con lui. Ossia capax Dei. Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda pure che «Dio stesso, creando l’uomo a propria immagine, ha iscritto nel suo cuore il desiderio di vederlo. Anche se tale desiderio è spesso ignorato, Dio non cessa di attirare l’uomo a sé, perché viva e trovi in lui quella pienezza di verità e di felicità, che cerca senza posa» (n. 2).

Trovandoci, poi, nel luogo dove Tommaso è nato e ha vissuto alcuni anni con la sua famiglia, ho voluto pure ricordare l’insieme di valori inclusi nel quarto comandamento, ossia quelli riguardanti la vita in casa, i rapporti intergenerazionali, l’amore e il rispetto per la vita umana.

Allora, chiediamo insieme al Signore di sapere fare nostri e sapere vivere questi insegnamenti di san Tommaso d’Aquino.

 

Chiesa della Santissima Annunziata - Insigne Collegiata,  Roccasecca (FR), 7 marzo 2024

 

Marcello Card. Semeraro