Omelia per il 750° anniversario della morte di san Tommaso d’Aquino - Concattedrale di Aquino

 

San Tommaso d’Aquino, doctor humanitatis

Omelia per il 750° anniversario della morte di san Tommaso d’Aquino

 

Desidero subito salutarvi, carissimi, con le parole che cinquant’anni or sono ebbe il papa Paolo VI per questa città, giungendovi pellegrino il pomeriggio del 14 settembre 1974. Durante il momento di preghiera organizzato per la circostanza egli disse: «Superfluo certamente raccomandare a voi d’essere sempre lieti e fieri d’essere i discendenti e i concittadini di un così grande Uomo, un Santo, un Dottore della Chiesa, che ne ha illustrato la dottrina come forse nessun altro nella sua storia è riuscito a fare. Grande gloria per voi, grande fortuna! Lasciate che noi vi auguriamo, anzi vi raccomandiamo d’esserne degni!».

Per la limpidezza della sua vita e l’altezza del suo ingegno, già dai suoi contemporanei san Tommaso fu chiamato Doctor angelicus; egli, però, per la sua netta affermazione della dignità della natura umana, è anche Doctor humanitatis. Così, infatti, volle a più riprese definirlo san Giovanni Paolo II. Non c’è, oggi, carissimi fratelli e sorelle, ancora bisogno di questo riconoscimento chiaro, netto e forte della dignità della persona umana? Io sono convinto di sì. Penso che compito della Chiesa, oggi, non sia tanto «difendere» Dio. Mi sia permesso dire che Egli sa difendersi da sé! Compito grave di oggi è quello di difendere l’uomo. Come Chiesa, questo dobbiamo farlo perché, come diceva sant’Ireneo, «la gloria di Dio è l’uomo vivente» (AH IV, 20, 7: PG 7, 1037).

Dell’uomo e della donna molte cose si affermano e si rivendicano; raramente, però, si sente parlare della sua dignità! Ed è proprio questa che, purtroppo, vediamo tanto spesso violata nelle forme più dure: non solo nelle cronache di guerra, ma pure nelle cronache nere delle nostre città. Ma da cosa deriva la dignità umana? Per san Tommaso d’Aquino essa non è data dalla forza, dalla ricchezza, dalla potenza, dall’abilità, dalla bellezza… È, data, invece, già solo per il fatto di suo essere uomo. San Tommaso, però, si premura di spiegare subito che questa dignità deriva dal fatto che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26). Dal che capiamo che non è possibile parlare davvero della dignità dell’uomo senza la luce divina: essa, infatti, è uno splendore che deriva da quello divino.

Ma veniamo al perché della solennità di questa celebrazione: non soltanto perché san Tommaso d’Aquino è il protettore di questa città, ma anche perché oggi noi ricordiamo i 750 anni della sua morte, avvenuta il 7 marzo 1274. Sono fraternamente grato al vostro Vescovo per avermi invitato a celebrare con voi questa ricorrenza. Anche per me l’Aquinate è un punto fisso di riferimento: da molti anni oramai (e questo nonostante gli spostamenti intanto avvenuti) davanti al mio tavolo da studio sono poste ben visibili, una reliquia di san Tommaso e la riproduzione del suo volto.

Pure mi è cara la Lettera a uno studente che gli è attribuita. Forse non è di suo pugno, ma in essa ci sono sentenze che comunque respirano del suo metodo e del suo pensare, talmente sono sagge e universali. Ne cito una soltanto. Al suo giovane alunno, di nome Giovanni, Tommaso raccomanda: «Non guardare chi è colui che ti parla, ma tieni a mente tutto ciò che di buono egli ti dice». Questa frase potrebbe averla detta anche Socrate, ma nel suo contenuto san Tommaso l’ha messa in pratica. Basta osservare il metodo dei singoli articoli delle varie questioni della Summa di Teologia. Ancora di più, c’è il fatto che il criterio principe del suo studio era dato da una affermazione che egli riteneva di sant’Ambrogio: «Veritas a quocumque dicatur… La verità, chiunque la dica, viene dallo Spirito Santo» (cf. Ambrosiaster, In Epist. ad Cor. Primam, Prologus, XII: PL 17, 245. Questa frase ricorre almeno dieci volte nelle sue opere.

Capiamo che in questo principio non c’è semplice saggezza, ma una costante ricerca di Dio. Edith Stein – Santa Teresa Benedetta della Croce, la filosofa ebrea divenuta cristiana e poi monaca carmelitana e infine vittima della Shoah, in una sua lettera ha lasciato scritto così: «Chi cerca la verità, cerca Dio, che ne sia cosciente o no» (Edith Steins Werke, IX, p. 102 – lettera del 23 marzo 1938). Anche per san Tommaso, cercare la «verità» è, in definitiva, cercare Cristo, l’Amen di Dio.

Questa verità egli l’ha sempre cercata. Con piena ragione, allora, ricevendo nell’ora della morte la Santa Eucaristia, poteva dire: «per il tuo amore ho studiato, vegliato, e lavorato». È stato davvero così. Fr. Reginaldo da Piperno, che di Tommaso fu efficace collaboratore e fedele compagno (socius continuus), ritornando da Fossanova dopo la morte del suo maestro e amico disse: «Ogni volta che voleva studiare, disputare, insegnare, scrivere o dettare si ritirava prima nel segreto della preghiera e, inondato di lacrime chiedeva di trovare i segreti divini con verità (in veritate)» (G. di Tocco, Vita, 31). L’ora della morte concludeva per san Tommaso una vita di ricerca, dava la quiete alla sua tensione verso Cristo. Finalmente egli poteva dire: «Sumo te… Ricevo Te, prezzo della redenzione dell’anima mia, ricevo Te, viatico del mio pellegrinaggio, …» (G. di Tocco, Vita, 58). Se tutta la sua vita era stato un cercare, ora era giunto il momento del riposo: Ricevo te!

Prostrato per ricevere l’Eucaristia, Tommaso ricorre a due titoli per identificarla. Anzitutto la chiama pretium: «prezzo della mia redenzione». Tommaso pensa al dono che il Padre ci ha fatto in Cristo e alla morte di Gesù sulla Croce. Ma cosa intendeva con la parola «prezzo»? Nella tradizionale etimologia conosciuta da san Tommaso il «prezzo» è quel che si dà per ottenere quel che si desidera (cf. Isidoro, Etymologiae, V, 25, 34: PL 82, 209). Il desiderio ultimo di san Tommaso era vivere di Cristo. Ricevendo l’Eucaristia nell’ora della morte Tommaso confessa che ormai Gesù sta esaudendo ogni suo desiderio.

Ho prima citato una frase di sant’Ireneo di Lione, ma non l’ho completata, perché sant’Ireneo aggiunge che la vita dell’uomo è la visione di Dio. Ecco, allora, l’altra parola che san Tommaso dice ricevendo l’Eucaristia: «viatico del mio pellegrinaggio». Così dicendo egli riconosce che la grazia dell’Eucaristia ha fecondato tutta la sua vita. L’Eucaristia è per tutta la vita, non solo per qualche suo momento: né di «prima comunione», né di qualche particolare occasione. È viatico! Peccato che questa sua definizione  l’abbiamo ormai relegata alla comunione ricevuta in fine della vita! Per san Tommaso il viatico è il cibo che, nutrendoci per tutto il pellegrinaggio terreno, ci anticipa la patria del cielo, ce lo fa pregustare e così desiderare ancora di più (oro fíat illud, quod tam sitio, esclama san Tommaso nel suo Adoro te devote: «prego che avvenga ciò che tanto desidero»). Il viatico è il cibo che ci mette sulla strada giusta per arrivare alla meta, il cibo che ci mostra già aperta la porta del cielo (o salutaris hostia, quae caeli pandis ostium, scriverà nell’inno per le Lodi del Corpus Domini). Il viatico è  la spinta che ci avvia verso il paradiso e c’introduce in esso.

Per questo il Figlio di Dio si è fatto carne: se nascens dedit socium, fa ancora cantare san Tommaso. Il Figlio di Dio è nato per farsi nostro compagno di strada e amico! La vita cristiana è tutta un camminare con Cristo. È questa la prima «sinodalità» da vivere. Solo a questa condizione si riesce a fare tutto il resto. Diversamente è solo un vagabondare. Ed allora, per intercessione di san Tommaso d’Aquino chiediamo al Signore di vivere così questa stagione della Chiesa: avendo Cristo come primo compagno di strada.

 

Basilica concattedrale dei Santi Costanzo Vescovo e Tommaso d'Aquino, Aquino (FR), 7 marzo 2024

 

Marcello Card. Semeraro