Omelia per la presenza del Crocifisso della beata Madre Rosa Gattorno

 

Contemplare la Croce per testimoniare l’amore di Cristo

Omelia per la presenza del Crocifisso della beata Madre Rosa Gattorno

 

L’invito a presiedere questa Santa Eucaristia nella circostanza così particolare della presenza in mezzo a voi dell’immagine del Crocifisso tanto strettamente collegata alle esperienze spirituali della beata Anna Rosa Gattorno, mi ha riportato con la memoria ai miei primi anni di episcopato nella Chiesa di Oria, in Puglia, dove trovai le Figlie di Sant’Anna che, con grande operosità pastorale, in una città guidavano un orfanotrofio e in un’altra avevano la cura spirituale dell’ospedale. Imitavano la fondatrice, il cui unico intento fu quello di servire Gesù nelle membra doloranti e ferite del prossimo, con sensibilità ed attenzione materna verso ogni umana miseria. La scorsa settimana, poi, trovandomi a Piacenza per presiedere, a nome del Papa, il rito di beatificazione di un sacerdote martire, don Giuseppe Beotti, le ho nuovamente incontrate. Oggi riprendo insieme con voi questi ricordi personali e lo faccio davanti all’immagine per la la quale la beata esclamava: il mio Crocifisso!

Non è, questa, l’espressione di chi s’impossessa, ma la dichiarazione di chi si consegna totalmente a Cristo. A ragione, nel rito della beatificazione celebrato il 9 aprile 2000, il papa san Giovanni Paolo II dirà che la beata Anna Rosa Gattorno si sentì affascinata dall’amore sconfinato di Dio, rivelato al mondo da Gesù dall’alto della Croce e che, «attratta irresistibilmente da questo amore, trasformò la sua vita in una continua immolazione per la conversione dei peccatori e la santificazione di tutti gli uomini. Essere “portavoce di Gesù”, per far giungere ovunque il messaggio dell'amore che salva: ecco l’anelito più profondo del suo cuore!».

Il Papa metteva così in luce il segreto della santità della beata Gattorno. Di quanti santi e sante non si mette in luce il loro speciale rapporto con l’immagine del Crocifisso? Pensiamo a san Francesco d’Assisi, per il quale l’esperienza della visione del Crocifisso a san Damiano segnò un momento fondamentale nella sua vita; a santa Rita da Cascia, che portò sul volto il segno della passione di Gesù; a santa Teresa d’Avila, che non mancava di richiamare l’importanza di fissare lo sguardo su Cristo crocifisso come mezzo per raggiungere l’unione con Dio; con lei, pensiamo a san Giovanni della Croce, le cui opere riflettono il suo desiderio di seguire Cristo sulla via della croce. Pensiamo, ancora, a san Paolo della Croce che, tutto dedito alla contemplazione della Passione di Cristo, ha fondato la congregazione dei Passionisti; pensiamo con lui a santa Gemma Galgani, che come la nostra Beata, ha sperimentato mistiche visioni di Cristo crocifisso…

Sono davvero molti i santi e le sante che, nella storia della Chiesa cattolica, sono stati profondamente innamorati dell’immagine Crocifisso, il simbolo della Passione sofferta e della Redenzione operata da Gesù Cristo. È ciò che dovremmo fare tutti noi, che tanto spesso abbiamo davanti agli occhi l’immagine del Crocefisso e pure portiamo il segno della Croce… a volte spesso, soltanto come un ornamento! È il caso, allora, di risentire quello che disse papa Francesco il 16 settembre 2018 a conclusione della preghiera dell’Angelus, comunicando che a tutti i fedeli presenti in piazza San Pietro sarebbe stata donata una immagine del Crocifisso. Disse: «Il crocifisso è il segno dell’amore di Dio, che in Gesù ha dato la vita per noi. Vi invito ad accogliere questo dono e a portarlo nelle vostre case, nella camera dei vostri bambini, o dei nonni…, in qualsiasi parte, ma che si veda nella casa. Non è un oggetto ornamentale, ma un segno religioso per contemplare e pregare. Guardando Gesù crocifisso, guardiamo la nostra salvezza».

È in fondo il messaggio che abbiamo ricevuto dalla proclamazione del Vangelo in questa Domenica, quando ci è stato detto del “figlio” che fu mandato il padrone della vigna per la raccolta dei frutti dopo l’inutile tentativo dell’invio dei servi, ma che i vignaioli buttarono fuori e uccisero. Questa parabola allude pure alla passione e alla morte di Gesù. Essa ci dice pure che il Signore, invece, s’attende da noi che diamo frutti.

Dalla seconda lettera di san Paolo ai Filippesi, di cui abbiamo ascoltato nella seconda lettura biblica, possiamo già cogliere alcune indicazioni in proposito: «quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (4,8). Si tratta, in breve, di quello che noi chiameremmo una vita virtuosa; quella che in fin dei conti – come dice san Gregorio di Nissa – mentre rende autentica la nostra vita, ci rende simili a Dio (cf. De beatitudinibus, Oratio 1: PG 44, 1200; cf. CCC 1803).

Questa vita virtuosa la beata Anna Rosa Gattorno l’ha vissuta in sé, ma ne ha pure fatto motivo di testimonianza. Guardando Gesù Crocifisso diceva: «Mio amore, cosa posso fare per far amare te dall’intero mondo? ... Fai uso ancora una volta di questo misero strumento per rinnovare la fede e la conversione dei peccatori». Queste parole, pronunciate ai piedi del suo «Sommo Bene», ci dicono il desiderio più profondo del suo cuore, che la spinse a fare della propria vita un dono per la gloria Padre.

Un antico autore cristiano diceva che veramente possiamo dire di amare Cristo, se anche noi ci amiamo gli uni gli altri, sicché il Corpo di Cristo raggiunga la sua misura perfetta (cf. Ambrosiaster, Comm. in Epist. ad Romanos, cap. 12: PL 17, 157; cf. Ef 4,13).

 

Parrocchia San Leonardo da Porto Maurizio – Roma-Acilia, 8 ottobre 2023

 

Marcello card. Semeraro