I Beati Giovanni Suciu e Tito Livio Chenizu. Martiri, maestri, amici
Intervento al Convegno: “Due Icone Angeliche: Beati, Vescovi e Martiri. La vita di fede dei Beati Tit Liviu Chinezu e Ioan Suciu (ex alunni dell'Angelicum)”
Ringrazio per l’opportunità che mi è offerta di prendere parte a questo evento, che diventa ancora più significativo per il luogo in cui si svolge. Ricordare i Beati Giovanni Suciu e Tito Livio Chinezu qui, all’Angelicum, vuole dire fare il ricordo di due ex-alunni di questa Università, due di quei vescovi che, nei giorni della loro prigionia, furono definiti “i sette Angeli della Chiesa che sono a Căldăruşani”,[1] oggi Beati della Chiesa Greco-Cattolica Romena, qui rappresentata dall’Arcivescovo Maggiore, il Card. Lucian Muresan, che saluto con riverenza e fraterno affetto, insieme con tutti gli altri Cardinali, Arcivescovi e Vescovi presenti.
Quando, nel 1925, mandò questi due giovani a Roma, il Metropolita Vasile Suciu scrisse al rettore del Collegio Greco “Sant’Atanasio”: «Mando due buoni giovani: Giovanni Suciu e Livio Chinezu. Essi sono sani e di indole ottima. Speriamo che essi diventeranno dotti e pii sacerdoti».[2] Non solo diventarono sacerdoti, ma pure Vescovi ed infine Beati, non tanto per la forza della Lettera Apostolica e il Rito presieduto dal Santo Padre il 2 giugno 2019, quanto più secondo l’insegnamento del Signore Gesù: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11-12).
Il Beato Giovanni rimase a Roma fino all’estate del 1932: si laureò qui in teologia il 22 giugno e si racconta che, in quell’occasione, P. Réginald Garrigou-Lagrange, O.P. «gli mise al dito l’anello dell’Università, quale segno di apprezzamento tutto speciale».[3] Il Beato Tito Livio conseguì qui la licenza, al quarto anno di teologia, nel 1931; non completerà il dottorato, a motivo di un intervento che dovette subire e del ritorno in Romania nell’autunno di quell’anno.
Ritengo siano di particolar orgoglio per questa Comunità accademica due testimonianze, riguardanti la preparazione teologica e culturale dei due Beati. La prima è del 1946, proviene da una lettera dell’allora Nunzio Apostolico, Mons. Andrea Cassulo, al Card. Eugène Tisserant, Prefetto delle Chiese Orientali, e riguarda il Vescovo Giovanni Suciu, Ausiliare di Oradea Mare, che poco tempo prima aveva tenuto alcune conferenze spirituali nella cattedrale latina di Bucarest: «Mons. Suciu è forse l’unico in questi momenti che attira l’attenzione di tutti, sia per l’esempio della sua vita di religioso apostolato, sia per l’apostolato della predicazione che illumina, conforta gli spiriti di ogni condizione sociale. Ovunque il Prelato si presenta, fra i giovani universitari, fra varie classi di persone, è ascoltato con grande avidità e tutti provano il beneficio intellettuale, spirituale della sua attività pastorale».[4] Toni simili sono riservati al Beato Tito Livio, nella testimonianza rilasciata da un suo già studente durante l’Inchiesta diocesana: «Il Servo di Dio Tit Liviu Chinezu è stato un sacerdote e un professore speciale. Ci allenava allo studio e alla vita morale, essendo queste due cose concatenate. Uomo profondo, con vissuto personale spontaneo, non apparente come i farisei, di una finezza e bontà infinita, buon teologo e filosofo, ma anche buon pedagogo per gli studenti».[5]
Negli Atti della Causa di beatificazione dei due Vescovi romeni, un dettaglio non è passato inosservato. Dettaglio caro alla tradizione orientale fin dai tempi di San Basilio e San Gregorio Nazianzeno,[6] e che si evince con forza anche nei Beati Giovanni Suciu e Tito Livio Chinezu. Dice la Positio super martyrio, parlando di quest’ultimo: «A Roma la grande amicizia spirituale con il futuro vescovo Suciu si rafforzerà sulle basi della ricerca spirituale e la devozione al Vangelo»[7]. Roma è sì, per questi due Beati, la città degli studi, della formazione intellettuale teologica; ma è anche la città dell’amicizia, vissuta e approfondita. Racconta un testimone che «l’amicizia spirituale tra Chinezu e Suciu è stata sempre apprezzata e i due si completavano a vicenda tramite i temperamenti e gli interessi di studio».[8] Si ritroveranno poi insieme in quel carcere dove, il 25 aprile 1949, il Beato Chinezu ricevette clandestinamente l’ordinazione episcopale da Valerio Traiano Frentiu, anch’egli Beato, ed ebbe co-consacrante l’amico Giovanni Suciu. Alle domande sull’idoneità all’episcopato di Tito Livio, Suciu aveva scritto: «Credo sia il migliore rappresentante del nostro giovane clero riguardo al valore spirituale. Credo sia l’uomo da rinvigorire la spiritualità della Chiesa, ovunque sia».[9]
Ai grandi uomini non sono mai mancati grandi amici. Ce lo insegnano, per primi, la Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa. Ce lo insegna Sant’Agostino, quando scrive: «Trovo quanto mai naturale abbandonarmi interamente all’affetto degli amici, soprattutto quando sono oppresso dagli scandali del mondo: nel loro cuore trovo riposo, libero da preoccupazioni, essendo persuaso che in esso c’è Dio».[10] Lo insegna il Dottore Angelico, nella II-II della sua Summa: «Un amico è amico per l’amico»;[11] e ancora: «Un’amicizia virtuosa, più che una virtù, è un corollario delle virtù».[12] San Francesco di Sales, nella Filotea, offre una bella immagine, che si addice assai ai nostri Beati, uniti dalla sofferenza e dal martirio: «Coloro che camminano in piano non hanno bisogno di prendersi per mano, ma coloro che si trovano in un cammino scabroso e scivoloso si sostengono l’un l’altro per camminare con maggiore sicurezza».[13] Come non ricordare infine quanto scrive Papa Francesco ai giovani, nell’Esortazione apostolica Christus vivit: «L’amicizia è un regalo della vita e un dono di Dio. Attraverso gli amici, il Signore ci purifica e ci fa maturare. Allo stesso tempo, gli amici fedeli, che sono al nostro fianco nei momenti difficili, sono un riflesso dell’affetto del Signore, della sua consolazione e della sua presenza amorevole» (151).
Cari amici, questa sera i due Beati Giovanni Suciu e Tito Livio Chenizu siedono per noi sulla cattedra di questa insigne Università. Essi ci insegnano che la profondità del dono di sé consiste nell’abbandonarsi totalmente a Cristo. Ma ci insegnano anche a ringraziare il Signore per il dono degli amici, a prendercene cura come di qualcosa di tanto prezioso che ci è stato affidato. Anche questa è Sapienza. Lo scrive il grande monaco del XII secolo, il teologo dell’amicizia spirituale, Aelredo di Rievaulx: «Se fai bene attenzione a quanto ho detto dell’amicizia, troverai che essa è così vicina alla Sapienza, e ne è così piena, che potrei affermare senza timore che l’amicizia altro non è che la Sapienza».[14]
Roma, Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, 20 ottobre 2022
Marcello Card. Semeraro
____________
[1] «Summarium Documentorum. Doc. 457», Positio super martyrio, p. 1650.
[2] «Summarium Documentorum. Doc. 448», Positio super martyrio, p. 1638.
[3] «Informatio. Le biografie e il martirio dei Servi di Dio – Ioan Suciu», Positio super martyrio, p. 336.
[4] «Summarium Documentorum. Doc. 427», Positio super martyrio, p. 1610.
[5] «Informatio. Le biografie e il martirio dei Servi di Dio – Tit Liviu Chinezu», Positio super martyrio, p. 399.
[6] Si veda Gregorio Nazianzeno, Discorsi, 43, 15-21, in PG 36, 514-523.
[7] «Informatio. Le biografie e il martirio dei Servi di Dio – Tit Liviu Chinezu», Positio super martyrio, p. 396.
[8] Ibidem, p. 397.
[9] «Summarium Documentorum. Doc. 453», Positio super martyrio, p. 1647.
[10] Agostino, Lettere, 73, 10.
[11] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 23, a. 1.
[12] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 23, a. 3.
[13] Francesco di Sales, Filotea. Introduzione alla vita devota, cap. XIX.
[14] Aelredo di Rievaulx, L’amicizia spirituale, libro I.