Omelia alle monache benedettine nel Monastero Mater Ecclesiae

 

Niente anteporre all’amore di Cristo

Omelia alle monache benedettine della Diocesi di San Isidro nel Monastero Mater Ecclesiae

 

Sono ben lieto, carissime, sorelle, di celebrare la festa di san Benedetto insieme con voi, che obbedite alla sua Regola. Nel compiere il mio servizio nel Dicastero delle Cause dei Santi, mi torna spesso alla memoria ciò che si legge nella sua Regola: «Niente anteporre all’amore di Cristo», Nihil amori Christi praeponere, (capp. IV, 21; LXXII, 11). Di essa, diceva Benedetto XVI, che proprio in questo consiste la santità e aggiungeva che si tratta di proposta valida non soltanto per i monaci e le monache, ma per ogni cristiano. Oggi, poi, quando maggiormente emerge il bisogno di ancorare la vita e la storia a saldi riferimenti spirituali, la frase di san Benedetto è una vera urgenza pastorale (cf. Angelus del 10 luglio 2005).

Niente anteporre all’amore di Cristo: è su questo, allora, che desidero brevemente soffermarmi insieme con voi. Ma cosa significa? Sapete che l’espressione non è solo di san Benedetto; essa, anzi, è presente pure nella Regula Magistri, che potrebbe, secondo alcuni, essere anteriore a quella di Benedetto (cf. III, 23: PL 88, 597), e la ritroviamo negli scritti di due padri della Chiesa, san Cipriano di Cartagine e sant’Agostino. Essa è pure ripresa dalla preghiera Colletta, che ho prima recitato. Penso che questo passaggi possono aiutarci a comprendere il senso dell’espressione.

Anzitutto il testo liturgico, che dice così: «Concedi a noi di nulla anteporre al tuo amore, per correre con cuore libero e ardente nella via dei tuoi precetti». La frase mi fa venire subito alla mente quel che scrive san Paolo: «Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! … Io dunque corro, ma non come chi è senza meta» (1Cor 24,26). Altrove ripete: «corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,14). Alla luce di ciò potrei dire che san Benedetto ci avverte che è Gesù il senso e lo scopo ultimo della nostra vita, il fondamento della nostra speranza.

C’è poi sant’Agostino, il quale, nel suo Commento ai Salmi scrive che il cristiano ha molti doveri, a seconda del suo stato di vita, delle sue occupazioni e responsabilità nella famiglia, nella società, nella vita comunitaria. In tutti questi compiti egli deve operare correttamente, come ogni altro. Ma cosa è che lo fa propriamente «cristiano» e non, semplicemente, un buon cittadino, un buon padre, o buona madre di famiglia, un serio professionista? È cristiano – dice sant’Agostino – se il suo cuore non si allontana da Cristo e niente antepone a Cristo. Al fondamento della vita cristiana, infatti, c’è Cristo e come nel costruire un edificio niente si pone prima delle fondamenta, così nella vita del cristiano al primo posto c’è sempre Cristo (cf. Enarrat. in Ps., 29/II, 9: PL 36, 222). Ecco, allora, un secondo significato della frase di san Benedetto: avere Cristo come fondamento della propria vita, come motivazione del proprio agire, come motore per le proprie scelte. Se non c’è questo non si è davvero cristiani.

L’ultima citazione, ossia quella di san Cipriano, ci permette di fare un ulteriore passo in avanti, perché Gesù ce lo presenta come nostro modello. Dice, infatti di «non preferire nulla a Cristo, perché egli ci ha preferiti a tutto» (De oratione dominica, XV: PL 4, 29). Ed è qui scopriamo il messaggio decisivo: avere Cristo al primo posto perché è questo che egli ha fatto per noi. Ci ha amato per primo! «Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo», leggiamo in 1Gv 4,19.

Essere amati e sapere di essere amati è, anche nelle umane esperienze, un bisogno fondamentale. Forse anche questo intende dirci san Benedetto: qualunque cosa ti accada, anche nei momenti più difficili e nelle ore più dure, non dimenticarti che sei amato da Dio; non dimenticare che sei prezioso suoi occhi, poiché Gesù ha dato la sua vita per te.

Era la certezza di san Paolo: «Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,32).

Sia questa anche la nostra certezza.

 

Monastero Mater Ecclesiae, Città del Vaticano, 11 luglio 2024

 

Marcello Card. Semeraro