Omelia nella Santa Messa del Corpus Domini

 

Un miracolo che ci riporta all’amore

Omelia nella Santa Messa del Corpus Domini

 

Giungo qui a Lanciano con il medesimo atteggiamento spirituale che ebbe san Giovanni Paolo II, all’epoca ancora cardinale arcivescovo di Cracovia, quando vi giunse il 3 novembre 1974 e sul registro degli ospiti trascrisse quanto ci fa ripetere san Tommaso d’Aquino nella preghiera Adoro te devote: «accresci la mia fede, fa’ che riponga in te la mia speranza e sia per te tutto il mio amore»! Davanti al miracolo eucaristico egli si pose con fede, speranza e carità ed è con questo medesimo atteggiamento che ciascuno di noi deve considerarlo. Aggiungo le parole con le quali ancora san Giovanni Paolo II si rivolse a voi in una lettera indirizzata all’Arcivescovo di questa Chiesa: «Siate consapevoli dei grandi favori che Dio vi ha concesso, e non mancate di adorare la santa Eucaristia non solo nella chiesa del miracolo, ma in tutte le chiese della vostra bella terra» (Messaggio all’arcivescovo C. Ghidelli del 4 ottobre 2004).

Carissimi, c’è un particolare che mi commuove rileggendo quanto è stato constatato e documentato dall’esame della «carne», che qui è il segno del miracolo eucaristico, e cioè che si tratta di carne costituita dal tessuto muscolare del miocardio, ossia del muscolo che da impulso al cuore. Penso che sia un segno nel segno; un segno che ci rimanda all’amore che si dona, all’amore che si consegna!

Questo verbo lo abbiamo sentito ripetuto nella seconda lettura: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito…» (1Cor 11,23). Il verbo «tradire» qui ci riporta al momento della passione e della morte di Gesù: un’azione che Gesù non ha soltanto subìto da Giuda, ma che ha pure vissuto come dono totale di sé. Il dono, poi, che Gesù ha realizzato sulla croce, «è riprodotto, è moltiplicato, è perpetuato nel dono, identico ma incruento, del Sacrificio eucaristico». Sono parole di san Paolo VI, che così proseguiva: «Impossibile capire se non si pensa all’amore, che in quella sera inventò questa straordinaria maniera di comunicarsi. È per noi impossibile accogliere come si conviene questa immolata presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, che stiamo per celebrare, se non entriamo in quella proiezione d’amore, che Egli a noi rivolge» (Omelia nella Messa in Coena Domini, 11 aprile 1968).

Facciamo ora qualche riflessione sulla pagina del santo vangelo che è stata proclamata. È il noto racconto della moltiplicazione dei pane, riascoltato dalla redazione di san Luca, dove troviamo una particolarità che non c’è negli altri evangelisti ed è nel fatto che per introdurre il racconto si dice che «Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure» (Lc 9,11). Parlare e guarire: ecco il binomio su cui vi chiedo di riflettere insieme. Gesù, infatti, non parlava soltanto, ma al tempo stesso guariva. Le narrazioni dei vangeli sono di fatto tutte intessute con questi due fili d’oro: l’annuncio del Regno e la prassi che lo inaugura, ossia le opere di guarigione. Potremmo, anzi, dire che quella di Gesù è una parola che guarisce. Quante diverse parole, infatti, ci sono. Ve ne sono alcune che sono chiacchiere, ossia parole inutili e pure quel «chiacchiericcio», tanto spesso denunciato dal papa Francesco come «una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, sofferenza e scandalo, e mai aiuta a migliorare e a crescere» (Angelus del 10 sett. 2023). Ci sono altre parole che si limitano a dare informazioni, o a trasmettere una dottrina; altre parole che impegnano … Ci sono anche parole che curano, perché sono incoraggianti, confortevoli, rassicuranti… È il contesto nel quale Gesù opera il miracolo della moltiplicazione dei pani ed è lo stesso in cui anche noi possiamo fare tante cose belle e buone.

Un’altra cosa, prima di concludere, penso sia utile mettere in evidenza nel racconto che abbiamo ascoltato ed è il fatto che quei cinque pani Gesù «li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla» (v. 16). Lo stile di Gesù non è quello di chi riempie la scena, occupa gli schermi e le pagine dei media. Egli non cerca l’applauso, ma vuole coinvolgere, rendere partecipi, addirittura protagonisti. Vuole, perciò, che siano i suoi discepoli a sfamare la folla e per questo mette il pane nelle loro mani perché lo distribuiscano alla gente. Gesù, dunque, vuole che i suoi beni passino attraverso di noi e crescano nelle nostre mani. Ed è così che normalmente agisce Dio: egli opera mediante la nostra disponibilità a essere solidali, a prenderci cura gli uni degli altri, ad aiutarci. Dio non è il tappabuchi delle nostre indifferenze, ma il motivo, l’anima e il sostegno della nostra fraternità. Il nostro compito, pertanto, è quello di essere il tramite della sovrabbondanza divina.

C’è una preghiera che nel dicembre 1912 apparve su di una rivista francese come «preghiera da recitarsi durante la Messa». Apparve ancora in traduzione italiana sulla prima pagine de «L’Osservatore Romano» del 20 gennaio 1916, questa volta come preghiera per la pace ispirata al Sacro Cuore e con l’annotazione che il papa Benedetto XV si augurava che trovasse eco in tutti i cuori. Oggi è conosciuta come «preghiera semplice» e, per la sua ispirazione è immaginata come scritta da san Francesco d’Assisi. Non è così, ma è il caso di ricordarne alcune parole in questa Santa Messa anche pensando all’urgenza della pace. Appena ieri, concludendo la consueta Udienza del mercoledì il papa Leone XIV ha rivolto questo appello: «Il cuore della Chiesa è straziato per le grida che si levano dai luoghi di guerra, in particolare dall’Ucraina, dall’Iran, da Israele, da Gaza. Non dobbiamo abituarci alla guerra!...» (Appello del 18 giugno 2025). Ecco, allora, le prime parole di quella preghiera: «Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace. La dov’è l’odio, che io porti l’amore …». Sono sicuro che questa preghiera tutti voi la conoscete. Ripetiamola, dunque, per qualche minuto nel silenzio del nostro cuore.

 

Santuario del miracolo Eucaristico, Lanciano (CH), 19 giugno 2025

 

Marcello Card. Semeraro