Omelia ai partecipanti al 2° Festival «dell’“umano tutto intero”»

 

Gesù ci vuole autentici e non teatranti

Omelia ai partecipanti al 2° Festival «dell’ “umano tutto intero”»

 

Abbiamo appena ascoltato la proclamazione di una pagina di vangelo che oggi non è più facile da capire immediatamente poiché manifesta uno stile di ostentazione religiosa che in un contesto secolarizzato qual è il nostro non c’è più. Oggi, ad esempio, almeno da noi, la professione di una religione non soltanto non è più richiesta, ad esempio, su di una carta di identità, ma non è neppure ritenuta interessante. C’è molto spesso, al contrario, un rovesciamento di attenzione verso una ostentazione di irreligiosità. Nel contesto in cui viveva Gesù, invece, era diverso e si poneva l’accento particolarmente su tre pratiche religiose, ossia l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Vuol dire, la mia osservazione, che l’insegnamento di Gesù ha perduto di attualità e di valore? Nient’affatto. In determinati contesti, anzi, che pure si dicono cattolici, l’ostentazione religiosa (magari non quanto all’elemosina, o al digiuno, ma piuttosto riguardo ad altro) è una tentazione, che per giunta ama spesso mascherarsi di pietà e di devozione.

Che cosa, allora, può nascondersi in questa preoccupazione di apparire? Ce lo rivela la parola «ipocrita», che nell’odierno racconto del vangelo abbiamo più volte ascoltato (cf. Mt 6,1-6.16-18). Cosa vuole dire? Indica chi, nascondendosi dietro una maschera, recita una parte, che però non ha nulla a che fare con la propria identità. Si potrebbe tradurre con «attore», ma io preferisco ricorrere alla parola «ciarlatano» e questo per sottolineare lo stacco fra ciò che si è e ciò che, con le parole, si cerca di mostrare all’esterno ingannando gli altri. Se l’essere «attore» può anche essere un’arte, essere «ciarlatano» è un imbroglio. E questo si può viverlo sia in contesto religioso, sia in altre situazioni. Ad esempio in politica. Quanto spesso mi tornano alla memorie i rimproveri del profeta Geremia: «Curano alla leggera la ferita del mio popolo, dicendo: “Pace, pace!”, ma pace non c’è» (6,14).

Quello che con le sue parole Gesù intende evidenziare è proprio questo rischio tutto umano che è l’essere un ipocrita! È un rischio esclusivamente umano. A volte usiamo il verbo «scimmiottare» intendendo che le scimmie imitino noi e invece è esattamente il contrario! Anche quando sono coinvolti in spettacoli o performance, gli animali non recitano, ma semplicemente «sono». Solo la persona umana può fare della sua vita una scena, una scimmiottatura.

Gesù ci vuole al contrario: ci vuole autentici e ci vuole così su tutti i fronti, soprattutto di fronte a Dio. Per questo, nel nostro brano evangelico, san Matteo inserisce la preghiera del Padre nostro. Nelle nostre comunità in Italia è il brano che durante la Messa sarà letto domani, ma è bene che lo teniamo a mente fin da ora: Gesù ci propone di vivere in una dimensione del tutto diversa dalla teatralità. Egli vuole che viviamo nella autenticità dell’essere e per questo ci manifesta una verità che ci apre a una dimensione nuova: siamo figli dello stesso Padre. Ch’è poi è anche l’unico modo in cui il Padre ci guarda, ossia come figli. Comunque siamo, anche quando siamo peccatori, egli vede in noi soltanto dei figli. Come il padre della parabola che chiamiamo «del figlio prodigo» nei riguardi del figlio maggiore. Riflettiamo su questo.

 

Santuario di San Salvatore in Lauro, Roma, 18 giugno 2025

 

Marcello Card. Semeraro