Ignacio Aláez Vaquero e 10 compagni
(† 1936 - 1937)
; esiste un’ampia documentazione circa la lucida disponibilità dei seminaristi a dare la vita per il Signore, consapevoli dell’odio anticristiano scatenato contro gli appartenenti alla Chiesa Cattolica. Essi restarono vicini alle famiglie e agli amici senza nascondersi, malgrado il pericolo. La loro fama di martirio si diffuse per alcuni già all’indomani delle loro uccisioni, per altri in tempi successivi, soprattutto nelle loro diocesi di provenienza e perdura tuttora.
Fin dall'indomani degli eventi nelle varie città dell'Arcivescovado, la memoria delle vittime del martirio di sacerdoti, seminaristi e laici è stata mantenuta viva fino ai giorni nostri. Sono state installate targhe nelle parrocchie e in alcuni luoghi pubblici, memoriali, celebrazioni pubbliche in loro memoria, varie pubblicazioni su giornali e riviste, ma soprattutto tra i parenti che non hanno smesso di considerarli martiri.
Sebbene la fama di martirio risalga quindi al momento stesso in cui hanno dato la vita in odio alla fede, come si vedrà nella biografia di ciascuno di loro, l'inizio della Causa canonica per la loro beatificazione con dichiarazione di martirio è avvenuto solo nel 2009, come avvenne per altre Cause simili.
Alle testimonianze processuali si aggiunge un’abbondante documentazione raccolta dalla Commissione Storica, mostrando nel complesso della documentazione la concordanza tra i fatti storici, la mentalità e la spiritualità e l'ambiente storico in cui sono stati scritti.
Risolte anche alcune difficoltà:
- la prima riguarda le circostanze del martirio, poiché i seminaristi come gruppo unito non subirono la persecuzione, ma la subirono come individui isolati dal gruppo, poiché era un periodo estivo e si trovavano con le loro famiglie; ognuno viveva le proprie circostanze e il ricordo di queste era conservato all'interno della famiglia;
- la seconda difficoltà è quella della memoria del martirio: oltre al fatto che ognuno ha vissuto il proprio martirio in modo isolato, il Seminario di Madrid come istituzione ha attraversato vari periodi, dal primo, che è stato quello di sopportare i disastri della guerra civile, ad altri che hanno offuscato la memoria di questo periodo, fino al momento attuale in cui volentieri fa memoria dei suoi martiri;
- la terza difficoltà è stata la distruzione degli archivi del Seminario, non abbiamo un registro delle entrate e delle uscite, non c'è una documentazione dei fascicoli dei seminaristi; la Postulazione ha dovuto colmare questa lacuna con molte indagini risultate assai soddisfacenti.
Stabilendo una cronologia degli eventi martiriali contenuti nella Casua, vediamo che nessuno dei seminaristi morì nella capitale, e nei villaggi ne morì uno a Ciempozuelos, Pablo Chomón (agosto 1936, insieme allo zio sacerdote Julio Pardo). Tre morirono nella persecuzione portata avanti dalle checas: Jesús Sánchez Fernández-Yáñez (settembre 1936), Miguel Talavera Sevilla (ottobre 1936) e Ignacio Aláez Vaquero (novembre 1936). Altri tre subirono il martirio dopo, al terzo momento delle “sacas”: Antonio Moralejo Fernández-Shaw (novembre 1936, e suo padre Liberato), Mariano Arrizabalaga Español (novembre 1936) e Ángel Trapero Sánchez-Real (novembre 1936). Cástor Zarco García subì il martirio nel 1937 nell’ambito dell'Esercito e Ramón Ruíz Pérez nel Treno della Morte, condotto da Jaén al Pozo del Tío Raimundo (Madrid) (agosto 1936).
Il seminario di Madrid, che si trovava in un quartiere con una forte presenza del partito socialista dell'epoca e un Ateneo Libertario della Confederazione Nazionale dei Lavoratori nella vicina Puerta de Toledo, fu occupato, creando un carcere dipendente da questo circolo socialista, e successivamente una caserma per la milizia del battaglione Pablo Iglesias. Questo evitò che venisse incendiata, ma portò alla distruzione materiale della cappella, degli altari e delle immagini, al saccheggio dell'archivio e della biblioteca, al furto di porte, legname, oggetti di ogni genere, arredi sacri, materiale didattico, ecc. Come misura precauzionale, i seminaristi sono stati inviati alle rispettive famiglie.
I loro dati personali, conservati negli archivi, sono finiti nelle mani del Servizio di Informazione Militare, offrendo loro una fonte di informazioni nel loro compito di reprimere la Chiesa a Madrid. In quegli archivi trovarono poco di politico, ma molte informazioni sui sacerdoti e seminaristi, circa 300 sacerdoti furono uccisi nell’arcidiocesi, anche se alcuni erano da fuori che capitarono lì in quei giorni. è molto chiaro la vicenda martiriale di e ci permette conoscere il loro cammino verso la morte e il modo come loro lo hanno vissuto, cioè il loro martirio materiale ed il martirio, anche se non per tutti il grado di certezza che offrono le prove è la stessa. Infatti, in alcuni casi il desiderio di segretezza da parti degli uccisori non ci ha permesso di avere dei particolari sul loro martirio.
I martiri
1. Ignacio Aláez Vaquero (1914-1936), seminarista di teologia, aveva 22 anni quando venne arrestato il 9 novembre 1936 a seguito di una denuncia anonima contro suo padre Evelio.
I miliziani fecero irruzione nella casa di famiglia, che perquisirono e arrestarono Evelio, interrogarono anche Ignacio, che era presente, e quando gli chiesero perché non si fosse arruolato nell'esercito, rispose che era uno studente; quando gli chiesero cosa stesse studiando, lui rispose che stava studiando per diventare sacerdote. Fu arrestato solo per questo e fu portato, anche con altri, nella prigione della milizia di Líster, una delle tante prigioni improvvisate della Madrid dell'epoca, questa in via López de Hoyos.
Insieme ad altri prigionieri, Ignacio fu portato in un luogo isolato e lì venne ucciso nel pomeriggio dello stesso giorno, senza processo o altro. Il responsabile del cimitero ha raccontato che al giovane fu detto che se avesse detto “Viva la Russia” sarebbe stato rilasciato, e che lui rispose: “L'unica cosa che posso dire è Viva Cristo Re”. E lo hanno ucciso.
Il suo corpo fu identificato attraverso una fotografia, ma poiché il luogo di sepoltura delle persone portate nella fossa comune non era stato registrato nel cimitero di Fuencarral, i suoi resti non poterono essere esumati o consegnati alla famiglia.
2 e 3. Pablo Chomón Pardo (1914-1936), originario di Burgos e anch'egli ventiduenne, era entrato in seminario a Madrid nel settembre del 1926. Nel luglio del 1936, con l'inizio delle vacanze estive, si era recato a Ciempozuelos per stare con la madre - che si era trasferita a vivere lì - e con lo zio sacerdote, don Julio Pardo Pernía (1873-1936), il confessore delle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore che in quella località avevano la casa madre. Quando i miliziani andarono a cercare il sacerdote, trovarono con lui il nipote seminarista.
A don Julio e al nipote fu ordinato di non uscire di casa. Il 7 agosto furono arrestati e portati nella prigione allestita nella chiesa. Vi trascorsero ore, senza che il loro arresto fosse registrato e senza che nessuna autorità giudiziaria intervenisse”. Furono poi portati nel comune di Valdemoro, dove vennero assassinati intorno alle 18.00. Il giorno seguente i corpi sono stati sepolti. Il giorno seguente i corpi furono sepolti in una fossa comune nel cimitero di Valdemoro.
4 e 5. Antonio Moralejo Fernández-Shaw (1917-1936), fu arrestato, insieme a suo padre Liberato Moralejo Juan (1875-1936), il 28 settembre 1936, quando andarono a cercarlo perché era un seminarista; bisogna tener conto di un episodio precedente a questa ricerca: mentre si trovava in una chiesa, cercò di impedire la profanazione del Santissimo Sacramento da parte di un gruppo di persone che volevano profanarlo, affrontandoli, e scoprirono che era un seminarista. Poco dopo, si recarono a casa della famiglia per cercarlo: volevano portarlo via, ma il padre resistette. Alle loro insistenze, il padre disse che sarebbe andato con il figlio ovunque lo avessero portato, e furono portati via insieme.
Entrambi sono stati portati alla stazione di polizia del distretto di Palacio, e da lì sono stati consegnati alla Direzione Generale della Sicurezza, per essere trasferiti il giorno successivo in prigione. Lì rimasero per più di un mese in condizioni sanitarie che peggiorarono con l'avanzare dell'esercito avversario. Furono poi trasferiti e uccisi l'8 novembre a Paracuellos del Jarama, un luogo tristemente famoso per le esecuzioni. Il padre era un militare, ma morì solo perché non voleva separarsi dal figlio.
6. Jesús Sánchez Fernández-Yáñez (1915-1936), anche lui seminarista, era originario di Ciudad Real e lì entrò in seminario, ma si trasferì a Madrid nel 1932-1933, poiché la sua famiglia si era trasferita nella capitale. Nei primi mesi della guerra civile, la famiglia Sánchez Fernández-Yáñez sperimentò nella propria comunità di vicini come la presenza del figlio Jesús fosse oggetto di insulti da parte di una famiglia vicina, quella di Gregorio de Juan, che lo derideva chiamandolo “curilla” e minacciava di denunciarlo. D'altra parte, Gregorio de Juan, un uomo con precedenti spaventosi, era responsabile del comitato degli inquilini dell'edificio ed era stato l'assalitore del convento delle suore Francescane Concezionisti situato in via Blasco de Garay, dove era stato allestito un carcere, l'Ateneo Libertario de Vallehermoso, del C.N.T.. Il 20 settembre 1936, all'età di 21 anni, dopo essere stato denunciato da altri, Jesús fu arrestato.
Fu assassinato poche ore dopo essere stato portato nel carcere del Fomento - così chiamato perché si trovava nell'omonima via, anche se in precedenza si trovava nel Círculo de Bellas Artes - e quindi non passò per la stazione di polizia o la Direzione Generale della Sicurezza. Il suo corpo fu ritrovato il giorno seguente nel cosiddetto “barrio de la China”, dove oggi si trova il planetario della città. Il 22 settembre il suo corpo fu sepolto nel cimitero dell'Almudena e successivamente trasferito nella Basilica della Valle de los Caídos, nel nord della provincia di Madrid.
7. Miguel Talavera Sevilla (1918-1936), nativo di Boadilla del Monte, aveva appena compiuto 18 anni quando, il 7 ottobre 1936, fu condotto davanti al Comitato locale installato nel convento di quella città dove, come spesso accadeva, fu trattenuto senza alcun interrogatorio. Il motivo del suo arresto non era altro che la sua condizione di seminarista, come risulta da tutta la documentazione.
Portatolo nel carcere di Marques de Monistrol, nella capitale, fu poi trovato assassinato sulla strada per La Coruña, nella chiamata Cuesta de las Perdices. Non fu possibile identificare il suo corpo tra quelli della fossa comune. Come ricorda la sua famiglia, Miguel non apparteneva ad alcun partito politico, né era coinvolto in altre attività oltre a quella di seminarista.
8. Ángel Juan Trapero Sánchez-Real (1916-1936), di Navalcarnero, sempre a Madrid, aveva compiuto 20 anni da un paio di mesi quando l'11 ottobre 1936, mentre si trovava con la famiglia, fu arrestato da un gruppo di miliziani madrileni e portato alla Checa Porlier - per la quale era stata sottratta ai piaristi una parte della loro scuola in Calle del General Días Porlier - in quanto i miliziani che avevano effettuato l'arresto ne facevano parte.
Ángel Juan è stato trattenuto fino al 16 ottobre, quando è stato consegnato alla Direzione Generale della Sicurezza. Riportato alla prigione di Porlier il 9 novembre, insieme ad altri prigionieri, tra cui alcuni sacerdoti, fu portato al cimitero dell'Almudena e fucilato. I corpi sono stati raccolti il giorno successivo e sepolti in una fossa comune, ma lui è stato riconosciuto e il 7 dicembre 2017 i suoi resti sono stati trasferiti nella cappella del seminario di Madrid.
9. Cástor Zarco García (1913-1937), anch'egli di Ciudad Real, era uno dei più anziani di questi seminaristi: aveva 23 anni quando nel marzo del 1937, in seguito alle nuove disposizioni del Governo, preferì partire nella Brigata “El Campesino”, perché temeva che se non si fossero presentati avrebbero compiuto rappresaglie contro suo padre. I suoi conoscenti dell'epoca sostengono che non partecipò agli abusi commessi dalle truppe, in termini di rapine e stupri, e che per questo fu bollato come omosessuale e sottoposto ad altre umiliazioni, finché non si scoprì che era un seminarista in procinto di essere ordinato, e lui non lo negò. Da quel momento in poi dovette subire umiliazioni maggiori e fu costretto a scavarsi la fossa da solo. Fu fucilato ad Alcalá de Henares il 18 settembre 1937 e morì gridando “Viva Cristo Rey”.
10. Mariano Arrizabalaga Español (1915-1936), pur non appartenendo al seminario di Madrid, faceva parte di questo gruppo perché la sua famiglia viveva nella capitale, pur essendo originario di Barbastro (Huesca). Era seminarista a Comillas, a Santander, e aveva 21 anni nell'estate del 1936 quando, in vacanza con la famiglia nella sua casa di Madrid, fu sottoposto a controlli e perquisizioni perché il padre, morto nel 1934, era un comandante di fanteria e, soprattutto, per l'aperta testimonianza di fede dei suoi fratelli, membri tutti dell'Azione Cattolica della loro parrocchia.
Il 5 ottobre 1936 viene arrestato, insieme a un fratello e a un cognato. Furono portati nel carcere di Fomento, dove l'8 dello stesso mese la cosiddetta Commissione d'inchiesta pubblica li mise a disposizione della Direzione generale della sicurezza. Sono stati quindi rinchiusi nella prigione modello, che si trovava nella zona di Aravaca. L'8 novembre furono portati al Castillo de Aldovea, a Torrejón de Ardoz, e secondo un testimone degli eventi, “il capitano fece un fischio e quelli con i berretti si scaricarono. Prima che i miliziani sparassero, quelli che erano stati colpiti gridavano ¡Viva Cristo Rey! Il capitano diede ad alcuni di loro, già a terra, il colpo di grazia”.
11. Anche Ramón Ruiz Pérez (1912-1936), non era originario di Madrid, ma fu ucciso nella nostra capitale e quindi lo troviamo incluso nel gruppo. Il suo martirio è legato a quello del beato martire Manuel Basulto y Jiménez, vescovo di Jaén, sua terra natale, dove lui stesso aveva studiato in seminario, dal quale poi era passato al seminario di Toledo. Nel luglio del 1936, all'età di 24 anni, mentre trascorreva le vacanze estive con la sua famiglia, venne imprigionato nella cattedrale di Jaén perché seminarista, insieme al sacerdote e parroco di Peal de Becerro, don Lorenzo. Dovettero subire umiliazioni e torture e vedere come, il 26 luglio, furono distrutti oggetti e immagini religiose, il tempio fu profanato e trasformato in una prigione. Rimasero lì, insieme al vescovo Basulto e a molte altre persone, fino alla notte dell'11 agosto, quando, con il pretesto di essere trasferiti al carcere di Alcalá de Henares, furono fatti salire su quello che fu tristemente noto come “treno della morte”.
Arrivato a Villaverde, come ricordano i testimoni sopravvissuti, il treno fu deviato da giovani libertari che, dopo aver ricevuto il permesso del Ministero degli Interni, lo portarono al Pozo del Tío Raimundo.
Questa fu la fine che fece e quella molti altri che furono uccisi a gruppi di 25, a partire dal vescovo e da sua sorella, per un totale di 139 persone. I cadaveri furono saccheggiati, raccolti in furgoni e sepolti in due tombe nel cimitero di Puente de Vallecas. Nel 1939 i corpi furono ritrovati e portati a Jaén il 10 marzo 1940, dove oggi riposano nella cripta della Cattedrale, nella cappella del Sagrario, sotto una grande croce di marmo.
Il martirio
Circa il martirio formale ex parte persecutoris, dobbiamo ricordare che nel 1936, secondo l'Annuario Pontificio, i sacerdoti secolari in Spagna erano 29.902. I religiosi, secondo il Catalogo Subirana del 1925, erano 11.436, ma date le difficoltà incontrate durante la Repubblica, probabilmente nel 1936 i religiosi erano poco più di 10.000. Tenendo conto delle cifre degli ecclesiastici uccisi durante la guerra civile (13 vescovi, 4.184 sacerdoti secolari, 2.365 religiosi e 296 suore), si calcola che il 23% di tutto il clero spagnolo fu ucciso. Tuttavia le proporzioni delle vittime variano notevolmente da zona a zona: la diocesi di Barbastro, ad esempio, fu testimone di una macelleria che quasi azzerò il clero locale, mentre in altre la percentuale fu molto più bassa.
Per capire il sentimento anticlericale dell'epoca in certi ambienti basta ricordare - per fare un esempio- che un mese dopo lo scoppio della guerra, il quotidiano di Barcellona “Solidaridad Obrera”, che era il principale giornale del sindacalismo anarchico spagnolo, si esprimeva in questi forti termini di odio: “La Iglesia ha de desaparecer para siempre… Pero hay que arrancar a la Iglesia de cuajo. Para ello es preciso que nos apoderemos de todos sus bienes que por justicia pertenecen al pueblo. Las Órdenes religiosas han de ser disueltas. Los obispos y cardenales han de ser fusilados. Y los bienes eclesiásticos han de ser expropiados”.
La guerra civile fu accompagnata nei primi mesi da un rapido aumento del terrore anticlericale che, solo tra il 18 e il 31 luglio, causò la morte di 839 religiosi, proseguendo nel mese di agosto con altre 2055 vittime, tra cui 10 dei 13 vescovi uccisi nel totale della guerra, cioè il 42% del totale delle vittime registrate. Gli effetti di questa violenza, diretta non solo contro la Chiesa, ma contro tutti coloro che erano considerati identificati con la rivolta o semplicemente nemici di classe, furono paralleli a quelli esercitati nello stesso periodo nella zona di controllo dei ribelli, questa è una realtà storica, conseguenza forse inevitabile del conflitto, ma per quanto riguarda le nostre Cause, è importante vedere come il fatto di essere religioso, sacerdote o laico impegnato nella Chiesa, era un motivo sufficiente per essere ucciso, a volte con grande crudeltà.
Dopo il sanguinoso mese di agosto del 1936, diversi leader della parte repubblicana rilasciarono dichiarazioni che giustificavano la violenza anticlericale da una prospettiva politica, ritenendo che la Chiesa si fosse posta, con il suo appoggio alla parte ribelle, come parte belligerante del conflitto e quindi nemica della Repubblica. Tuttavia, è chiaro che la persecuzione religiosa contro la Chiesa cominciò ormai prima dello scoppio della guerra civile, fin dai primi momenti subito dopo la proclamazione della Repubblica.
Questi seminaristi di Madrid non furono perseguitati all'inizio della guerra come conseguenza dei disordini provocati dal conflitto; subirono la persecuzione quando questa è diventata più sistematica e repressiva. Per questo motivo, il fatto che il martirio non fosse direttamente legato al Seminario -vale a dire che i loro persecutori non si recarono direttamente al Seminario in quanto tale- ma che ogni seminarista lo subisse individualmente, ha fatto sì che la fama del martirio non si limitasse al Seminario come istituzione. Contribuisce a raggiungere una certezza morale sul fatto del martirio materiale e formale, oltre alla fama, la sintonia tra la vita cristiana di ciascuno di loro e l’atteggiamento di perseveranza nella fede fino al martirio; la convinzione unanime da parte dei testimoni e la costante trasmissione della loro memoria martiriale nelle famiglie e nelle pubblicazioni civili ed ecclesiastiche.
Questi seminaristi non sono diventati sacerdoti e non hanno esercitato il ministero che desideravano e per il quale si stavano preparando; non hanno celebrato i sacramenti o predicato, né hanno organizzato la pastorale infantile o giovanile; non hanno visitato i malati o assistito i bisognosi, né hanno guidato la comunità cristiana. Non avevano la possibilità di fare nessuna di queste cose. Eppure, forse si può applicare a loro ciò che Sant'Agostino ha detto nel suo sermone 286 a proposito di alcuni antichi martiri: “Hanno dato maggiore testimonianza a Cristo con la loro morte che con la loro vita”.