Samuele Marzorati e Michele Pio Fasoli da Zerbo
(†1716)
- 3 marzo
Samuele Marzorati (1660-1716), O.F.M. e Michele Pio Fasoli da Zerbo (1670-1716), O.F.M., sacerdoti dell’Ordine dei Frati Minori, martiri in Etiopia, morirono lapidati per la fede cattolica
Lungo i secoli vi sono stati tanti tentativi dei missionari cattolici di poter penetrare nei territori a religione musulmana per poter portare il Vangelo anche lì, ma gli sforzi si sono dimostrati in buona parte inefficaci, vista la intolleranza religiosa che ha sempre distinto il sempre presente estremismo arabo. E in base a questo estremismo più o meno autorizzato dalle autorità del momento, che i nostri missionari hanno dovuto pagare un tributo di sangue costante, in particolare l’Ordine Francescano.
Anche Michele Pio da Zerbo (da laico Fasoli), era un francescano della provincia di Pavia, nato intorno al 1670, fu dichiarato missionario apostolico dalla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, il 21 gennaio 1704 ed inviato in Etiopia insieme ad altri sette missionari, guidati da padre Giuseppe da Gerusalemme, essi lasciarono Il Cairo in Egitto il 14 gennaio 1705 per raggiungere la carovana dei mercanti che si recava in Etiopia.
Samuele Marzorati era un francescano della provincia di Milano, nato a Biumo nel 1670; arrivò come missionario nel Cairo il 10 settembre 1701; dal 1705 al 1711 tentò inutilmente di fondare una missione nella isola di Socotra. Nel frattempo erano falliti i tentativi di stabilire una missione in Etiopia, guidata da padre Giuseppe da Gerusalemme, durati dal 1705 al 1710.
In giugno giunsero a Debba dove incontrarono i soldati in piena ribellione al re di Sennar, questo impedì il loro proseguire e per sfuggire alle violenze dei rivoltosi, il 21 agosto 1705 si rifugiarono ad Ailefun, che era rispettata a causa di un famoso santuario musulmano, lì esistente.
Rimasero lì fino al 31 marzo 1708, quando furono chiamati a Sennar dal re, che aveva vinto i ribelli. Degli otto iniziali missionari erano rimasti solo tre: Giuseppe da Gerusalemme, Liberato Weiss, Michele Pio da Zerbo, mentre alcuni erano ritornati al luogo di partenza l’Egitto e alcuni erano invece morti.
A maggio 1709, morì anche il capo guida padre Giuseppe da Gerusalemme e così rimasti solo in due, gli altri il 30 giugno 1710, ritornarono anch’essi in Egitto.
Padre Michele Pio nella sua funzione di segretario del capo guida, descrisse in iscritto il viaggio apostolico che era durato dal 1704 al 1710, lungo la via del Nilo fermatosi nel Sudan, purtroppo senza raggiungere l’Etiopia.
Propaganda Fide decise di fare un altro tentativo per la via del Mar Rosso e il 20 aprile 1711, incaricò Liberato Weiss come prefetto apostolico, Michele Pio da Zerbo e Samuele Marzorati da Biumo della provincia francescana di Milano, di intraprendere il nuovo viaggio.
Il gruppo partì da Il Cairo il 3 novembre 1711, giungendo il 20 luglio 1712 a Gondar capitale dell’Etiopia, dove furono bene accolti dal re. Ma la situazione generale del regno etiope non era tranquilla, gli europei erano poco graditi e il re Justos era fortemente contrastato, quindi i missionari dovevano stare quasi nascosti in attesa che la situazione migliorasse.
Si diffusero dicerie su di loro e sulla religione professata, per cui il re, prima non diede ascolto ma poi per evitare ulteriori discordie li mandò in altra provincia, il Tigré. Dopo la loro partenza il re Justos si ammalò e di questo approfittarono i suoi avversari che incoronarono David figlio di un altro re. I missionari furono richiamati a Gondar dagli usurpatori, processati, furono condannati a morte in ‘odio alla fede’. Il 3 marzo 1716 furono lapidati nella piazza Abbo.
Il processo informativo per la loro beatificazione si tenne a Vienna, provincia francescana d’origine del padre guida della spedizione Liberato Weiss, negli anni 1932-33.
Sono stati beatificati da papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1988 a Vienna, durante il suo viaggio in Austria. Nella diocesi di Pavia la memoria si celebra il 20 novembre.
(fonte: santiebeati.it)
BEATIFICAZIONE DI LIBERAT WEISS, SAMUELE MARZORATI,
MICHELE PIO FASOLI E MADRE KATHARINE DREXEL
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica Vaticana - Domenica, 20 novembre 1988
1. Gesù Cristo è “il testimone fedele,
il primogenito dei morti
e il principe dei re della terra” (Ap 1, 5).
Il libro dell’Apocalisse ci introduce nell’odierna solennità di Cristo Re, che è come il “coronamento” liturgico dell’intero anno ecclesiastico.
Durante quest’anno abbiamo potuto approfondire e consolidare, di giorno in giorno, il convincimento espresso dall’autore dell’Apocalisse, l’apostolo Giovanni, nelle ulteriori parole:
Gesù Cristo è “Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, e ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1, 5-6).
La solennità del Re è nello stesso tempo la solennità del Regno. Questo ha il suo inizio nel sangue del Re crocifisso. È il sangue della redenzione del mondo. Mediante il sacrificio della sua vita, Cristo ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre.
2. Quando Gesù di Nazaret venne portato davanti al tribunale del procuratore romano, Ponzio Pilato, questi gli pose la domanda: “Tu sei il re dei Giudei?” (Gv 18, 33). Questa domanda, dal punto di vista dell’uomo che rappresentava gli interessi di Cesare e la ragione di stato dell’impero romano, rivestiva un’importanza capitale.
Pilato fece questa domanda, perché gli accusatori di Gesù avevano avanzato davanti a lui proprio una tale incriminazione.
Alla domanda, Cristo dà una risposta negativa. Non è Re nel senso in cui lo si è accusato: “Il mio regno non è di questo mondo . . . non è di quaggiù” (Gv 18, 36).
Questa risposta spiega la nuova domanda di Pilato: “Dunque tu sei re?” (Gv 18, 37).
Ed ecco la risposta di Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” (Gv 18, 37).
3. Oggi, in questa Basilica di san Pietro, adoriamo Cristo Re.
Colui che eternamente è “il testimone fedele”. Colui che è venuto “nel mondo per rendere testimonianza alla verità”.
Lo adoriamo elevando alla gloria degli altari i suoi discepoli e seguaci: coloro che hanno ascoltato la sua voce. E con tutta la loro vita hanno dato prova di essere “dalla verità”.
Sono diventati testimoni di quello che egli stesso è: “il testimone fedele”.
Ecco i loro nomi: Liberat Weiss, Samuele Marzorati, Michele Pio Fasoli, tutti Frati Minori francescani, e madre Katharine Drexel, fondatrice delle Suore del Santissimo Sacramento per gli indiani e la gente di colore.
4. Nel tempio eterno del Signore gli rendono gloria (cf. Sal 93 [92], 5) i nuovi beati. Tra essi i tre degni seguaci di san Francesco, i quali hanno amato il Cristo sopra ogni cosa e, per lui, hanno saputo amare la croce redentrice e tutti gli uomini.
I martiri Liberat, Samuele e Michele Pio hanno meritato di stare per sempre accanto al “saldo trono” (cf. Sal 93 [92], 2) del Re dell’universo, ammantato di splendida luce e cinto di potenza, perché hanno lasciato tutto, anche la vita terrena per servirlo.
Il consegnare la propria esistenza sino all’effusione del sangue fu per essi la risposta generosa alla vocazione, con la quale Cristo li chiamava a partecipare all’offerta che egli aveva fatto di se stesso al Padre.
Il loro martirio fu il supremo gesto di amore forte e di fede tenace, con cui, unendosi alla testimonianza dell’Agnello immolato, hanno confermato la verità che salva e rende capaci di amare Dio ed il prossimo con la stessa carità di Gesù.
5. Lo zelo e la dedizione con i quali Liberat, Samuele e Michele Pio hanno risposto alla chiamata del Redentore li fece crescere in familiarità interiore con lui. Essi riconobbero sempre più chiaramente la loro vocazione ad annunciare agli altri uomini la buona novella. In questo erano consapevoli di prendere parte nel modo più elevato alla signoria regale di Cristo, facendosi, come lui, testimoni della verità e servitori dei fratelli e delle sorelle. Nell’annuncio della buona novella essi non si servirono di “discorsi persuasivi di sapienza”; essa era assai più collegata “alla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (1 Cor 2, 4). Perciò essi non esitarono a suggellare con il sangue la loro missione. La dedizione di sé senza riserva è la conferma più convincente della novella annunciata con le labbra. Essa fa risplendere la testimonianza nella sua totale purezza, per cui ai fratelli e alle sorelle viene posto dinanzi agli occhi soltanto Cristo, che dall’alto della croce regna sul mondo.
In Cristo la sublime potenza dell’amore di Dio si abbassa verso gli uomini. Essa volge la loro volontà e dispone i loro cuori alla comprensione reciproca, alla concordia e alla pace. Profondamente convinti di non essere padroni di ciò che possedevano, i santi martiri si concepirono come amministratori e annunciatori dei doni ricevuti da Cristo. Da lui si sapevano inviati alle stirpi dei popoli in Etiopia. In spirito di considerazione fraterna e di disposizione al dialogo, ma anche con fermezza e assoluta fedeltà di coscienza, essi annunciarono agli uomini la fede cattolica. Con carità ammirevole e dedizione disposta al sacrificio divennero testimoni viventi della Chiesa e della redenzione operata attraverso Gesù Cristo. Nella loro opera missionaria, nella loro sofferenza e morte i martiri Liberat, Samuele e Michele Pio sono esempi luminosi di come la verità può essere annunciata e vissuta senza con ciò ferire l’amore.
6. La celebrazione del martirio di questi francescani ci ricorda anche i periodi durante i quali le relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa etiopica erano difficili. La fraternità, che avrebbe dovuto regnare tra due Chiese sorelle, era allora turbata da gravi, reciproche incomprensioni causate dall’ignoranza del linguaggio degli uni e degli altri, dalla differenza di cultura e da varie circostanze. La Chiesa cattolica, dopo aver approfondito la sua contemplazione del disegno di Cristo durante il Concilio Vaticano II, si è con risolutezza impegnata a percorrere il cammino ecumenico. Con un rinnovato slancio di carità, essa ha chiaramente espresso i principi di questo suo impegno nel Decreto conciliare sull’ecumenismo, rinnovando la sua comprensione dei legami di comunione che l’uniscono alle altre Chiese. Essa ha intensamente ricercato la collaborazione con gli altri cristiani e ha operato affinché sia esaudita la preghiera di Cristo per i suoi discepoli (cf. Gv 17, 21).
Rilevo con gioia come oggi i legami di fraternità tra i cristiani di Etiopia siano più profondi e come essi conducano, in particolare, ad una collaborazione tesa ad alleviare le pene di chi soffre. Possano i nuovi beati e tutti i santi del cielo intercedere presso il Signore affinché in tale Paese, dove da tanti secoli i cristiani hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo fino a dare la vita per lui, vivano tutti nell’unità di fede e di amore.
7. “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37). Queste parole di Gesù descrivono i santi. Con particolare precisione descrivono Katharine Drexel che oggi ho beatificato. Ella fu una donna di fede viva, profondamente coinvolta con la verità rivelata da Cristo, verità che conosceva molto bene perché sempre ascoltava la voce di Cristo. E per questo indubbiamente ha colto quelle verità fondamentali che sfuggivano a molti suoi contemporanei, tra cui la verità relativa alla pari dignità e valore di ogni essere umano, indipendentemente dalla razza o dalle sue origini etniche. Ai suoi tempi, gli indiani e i neri d’America erano vittime di gravi ingiustizie a causa delle discriminazioni razziali. Ben consapevole del male radicato in quel contesto, si impegnò con determinazione per combatterlo e sconfiggerlo.
Il suo impegno maggiore si concentrò sull’evangelizzazione, soprattutto attraverso la fondazione di scuole cattoliche. Quale modo migliore per superare i terribili effetti del razzismo e per aiutare efficacemente questi fratelli e sorelle in difficoltà? Ella voleva dar loro una educazione completa, integrale, tale da rafforzare e approfondire la loro fede, speranza e carità e insieme aiutarli a conquistare il loro posto nella società.
L’impegno di Katharine fu sostenuto dalla profonda convinzione che la verità rende l’uomo libero, la pienezza di verità che si trova in Gesù Cristo. E per questo, nella sua vita, fu sempre ardente dal desiderio di approfondire l’amore per Gesù, che riceveva e adorava ogni giorno nell’Eucaristia. La sua unione con Cristo Re le diede fiducia che qualsiasi cosa, fatta nel suo nome, avrebbe portato molto frutto per il regno di Dio.
8. Questo stesso amore per Gesù condusse Katharine ad accettare la vocazione alla vita religiosa, vocazione suggerita a lei dapprima dal mio predecessore, il Papa Leone XIII. Katharine era venuta a Roma per chiedere al Papa dei missionari per le scuole che stava fondando tra gli indiani americani. Con sua grande sorpresa Papa Leone le chiese di prendere in considerazione di farsi lei stessa missionaria. Dopo un po’ di tempo e dopo aver riflettuto e pregato, si convinse che il Signore davvero la chiamava a mettere tutta la sua vita e la sostanziosa eredità familiare al servizio del Vangelo, fondando una congregazione religiosa intitolata all’Eucaristia e impegnata nell’evangelizzazione degli indiani e dei neri d’America.
Madre Katharine Drexel non era una anima timida. Cristo Re era il suo sposo ed ella bramava imitarlo. Come Cristo aveva fronteggiato Pilato parlandogli a nome della verità, così ella, serva e amica dilettissima, avrebbe combattuto con coraggio per i diritti degli oppressi. E avrebbe preso iniziative per dare una educazione di alto livello ai negletti della società.
Come il Salvatore, anch’essa raccolse molti discepoli intorno a sé per lavorare insieme a lei nel suo impegno missionario. Tra questi le Suore del Santissimo Sacramento, che fondò e che oggi portano avanti l’eredità del suo carisma. Davvero con il suo esempio ella ci sprona ad “ascoltare la voce” del Re eucaristico e “dare testimonianza alla verità nella carità”.
9. La Chiesa sta oggi dinanzi a Cristo Re e dice:
Ecco il tuo Regno.
Ecco coloro dei quali tu stesso hai fatto “un regno di sacerdoti per il tuo Dio e Padre”.
I beati! E beato è il tuo Regno che viene per mezzo di essi:
Cristo, tu regni in essi e i tuoi insegnamenti sono degni di fede (cf. Sal 93 [92], 5).
In essi risplende il tuo potere, che è eterno e “non tramonta mai”. Il tuo potere che “non sarà mai distrutto” (cf. Dn 7, 14).
In essi hai posto la “tua casa”, alla quale si addice la santità “per la durata dei giorni, Signore” (cf. Sal 93 [92], 5).
Cristo, Figlio dell’uomo, secondo le parole della profezia di Daniele. Ognuno ti vedrà. Ti vedranno quelli che ti trafissero (cf. Ap 1, 7), quando con il tuo sangue ci hai liberati dai nostri peccati e hai fatto di noi un regno di sacerdoti per il tuo Dio e Padre.
Tu sei - insieme con il Padre tuo e con lo Spirito Santo - il Dio vivente. “Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Ap 1, 8).
L’Alfa e l’Omega (Ap 1, 8).
Beato il tuo regno!
Beato nei beati! Amen.