Zoltán Ludovico Meszlényi

Zoltán Ludovico Meszlényi

(1892-1951)

Beatificazione:

- 31 ottobre 2009

- Papa  Benedetto XVI

Ricorrenza:

- 4 marzo

Vescovo titolare di Sinope e Vescovo Ausiliare di Esztergom in Ungheria, martire, morto nel campo di concentramento di Kistarcsa, in isolamento, dopo otto mesi di crudele prigionia, di mancanza di cibo e riscaldamento, inasprita dal lavoro forzato e da violenze e torture indicibili, di cui sono maestri gli oppressori di ogni tempo

  • Biografia
  • il martirio
"Dinanzi al dilemma ‘fedeltà-tradimento’, confermò con fortezza la sua fedeltà al Vangelo" (card. A. Amato)

 

Zoltán Lajos nacque il 2 gennaio 1892 in una famiglia di solida tradizione cattolica.

Chiamato al sacerdozio, conseguì presso la Pontificia Università Gregoriana il dottorato in Filosofia e in Teologia e il baccalaureato in Diritto Canonico. II 28 ottobre 1937 fu ordinato vescovo e nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Esztergom in Ungheria. La sua preparazione e il suo zelo pastorale gli permisero una notevole operosità pastorale e culturale.

Subito dopo la seconda Guerra Mondiale, il regime comunista ungherese iniziò a infierire contro la Chiesa cattolica, applicando nei suoi confronti forme di intolleranza che sfociarono spesso in momenti di persecuzione violenta e sanguinaria. Evento emblematico di questo periodo di terrore e di vera e propria oppressione fu l’arresto del Primate d’Ungheria, l’arcivescovo Jozsef Mindszenty.

Nel 1950, in contrasto con il volere governativo, i canonici della cattedrale di Esztergom-Budapest elessero il Servo di Dio come nuovo Vicario capitolare, riconoscendone la rettitudine e la fermezza. Mons. Meszlényi, pur consapevole dei rischi, accettò la nomina con prontezza e disponibilità. La repressione del regime non si fece attendere. Dieci giorni dopo, il vescovo venne arrestato e, senza alcun processo, fu internato nello stabilimento penale di Recsk e poi deportato nel campo di concentramento di Kistarcsa, presso Budapest, in isolamento. Iniziarono così otto mesi di crudele prigionia, fatta di mancanza di cibo e riscaldamento, inasprita dal lavoro forzato e da violenze e torture indicibili, di cui sono maestri gli oppressori di ogni tempo.

Dinanzi al dilemma ‘fedeltà-tradimento’, il Servo di Dio confermò con fortezza la sua fedeltà al Vangelo, vivendo la perversità degli eventi, fiducioso nella misericordia e nella provvidenza divina. Sopportò tutto con amore. Morì sfinito di stenti il 4 marzo 1951.

La prigionia disumana lo aveva letteralmente ucciso. II movente del suo martirio fu l’ “odium fidei”, l’odio dei carnefici nei confronti di Gesù, del Vangelo, della Chiesa. E’ il mistero del male che genera odio, lasciando una scia di morte, distruzione e dolore indicibile.

Appena si seppe la notizia della sua morte, coloro che lo avevano conosciuto videro nella vicenda di mons. Meszlényi il sigillo del martirio. II regime ostacolò in tutti i modi la possibilità di svolgere ricerche e approfondimenti. Ma, come si sa, la menzogna non può vincere a lungo sulla verità. Dopo la caduta del regime la verità si affermò in tutta la sua evidenza per la molteplice testimonianza di documenti e di persone.

Ancora oggi la Chiesa è una Chiesa di martiri, cioè di testimoni forti e coraggiosi del Vangelo. Il martire cristiano ha una ben precisa qualifica. Viene ucciso, non uccide. Viene ucciso per odio nei confronti di Gesù e del suo Vangelo di vita e di verità. Ma la sua risposta non è l’odio ma l’amore, non è la vendetta, ma il perdono, non è il risentimento ma la preghiera per gli stessi persecutori e carnefici. E’ questa la grande lezione di vita che mons. Meszlényi lascia a noi oggi.