Omelia per la festa di Santo Stefano Proto-martire

OMELIA PER LA FESTA DI SANTO STEFANO PROTO-MARTIRE

(Cattedrale di Concordia-Pordenone, lunedì 3 agosto 2020)

 

 

Cari fratelli e sorelle,

Mi ritrovo con voi a celebrare Santo Stefano protomartire, vostro patrono principale, di cui nella Chiesa universale si fa memoria liturgica il 26 dicembre, ma qui la si fa anche nella antica ricorrenza estiva del 3 agosto, nel ricordo del ritrovamento delle sue reliquie. Con gioia e nella gratitudine saluto il vostro Vescovo Mons. Giuseppe Pellegrini, il Vescovo emerito, Mons. Ovidio Poleto, le autorità, i sacerdoti, le persone consacrate e tutti voi qui presenti.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita a guardare a Santo Stefano e ad imitarlo in alcuni atteggiamenti: fiducia, perseveranza, benedizione.

La prima caratteristica di Stefano è quella di fidarsi di Dio. Fu normale, spontaneo per lui tale sentimento: aveva scoperto Dio come Padre! Santo Stefano, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, si affida totalmente al Signore fino al dono della vita. Infatti, nel momento stesso in cui lo lapidavano esclamò: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At, 7, 59). È la ripetizione fedele del gesto supremo di Gesù in croce che dice: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). È il gesto con il quale anche noi possiamo accogliere con fede dalle mani del Signore quanto in questo preciso momento della nostra esistenza ci è chiesto di vivere. Non sempre dobbiamo fare i conti con situazioni facili, non sempre ci sono passaggi felici nella nostra esistenza: il tragico evento della pandemia lo ha nettamente dimostrato. E’ proprio in questi momenti che deve nascere spontaneo e fiducioso il nostro grido di aiuto al Signore! È la fiducia in Dio che dà senso e nuovo colore alla nostra vita e ci permette di  andare in profondità nel nostro cuore. Presentarci a Lui in tutta sincerità con i nostri risultati positivi o fallimentari e anche con la coscienza delle nostre colpe, delle nostre miserie. È quello il momento più salutare per creare un rapporto vero con Dio e risolvere noi stessi in positivo. Sentiremo come non mai la forza di Dio che ci rigenera e ci spinge ad andare avanti per affrontare qualsiasi difficoltà, non ripiegandoci su noi stessi ma aprendo il nostro sguardo ai nostri fratelli con i quali condividere gioie e dolori. Le eventuali esperienze negative non devono allontanarci da Dio ma devono essere occasioni per crescere nel nostro percorso di adesione al Signore, che guarderemo come Padre, pieno di misericordia verso noi tutti.

Il secondo atteggiamento da imitare in Santo Stefano è la perseveranza: «Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 24,25), ci ricorda Gesù. Così ha fatto Santo Stefano, «pieno di grazia e di potenza» (At 6, 8), per tutta la vita fino a quando «gli anziani e gli scribi gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al Sinedrio» (At 7,54). Così siamo spronati a fare noi, lavorando con generosità e con gioia perché la nostra vocazione di cristiani si compia, nel matrimonio, nella consacrazione religiosa, nel ministero sacerdotale, là dove e come il Signore ci ha chiamati. La realizzazione della nostra vocazione oggi non è facile, non abbiamo l’applauso assicurato, anzi, il contrario! Essere cristiani spesso richiede di lottare e, a volte, di patire, come è capitato a Stefano e ai numerosi martiri di ogni epoca, che hanno preferito la morte piuttosto che tradire il Signore.

E qui, di fronte ai martiri, tutti ci sentiamo piccoli, anzi, direi, indegni talvolta di chiamarci cristiani per la pavidità della nostra fede. Oggi siamo tutti più fragili e la cultura dell’usa e getta, del tutto e subito ci rende vulnerabili di fronte alle difficoltà, per cui siamo tentati di buttare la spugna ancor prima di avere tentato di lottare per ciò che pure crediamo bello e importante. L’esempio di perseveranza del martire Stefano ci incoraggia invece a non mollare, a farci forti del segreto della sua perseveranza: «pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio» (v. 55).

C’è un testo della lettera agli Ebrei che possiamo leggere come applicazione alla nostra vita della visione di Stefano raccontata nel Libro degli Atti: «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 1-2a). La perseveranza si coltiva con la preghiera che ci permette di tenere fisso lo sguardo su Gesù e con una vita ecclesiale più autentica. Rendiamocene conto: oggi non basta una vita cristiana individuale, non basta la preghiera personale, dobbiamo sentirci più chiesa, più famiglia, più uniti nel nostro essere cristiani. Se Stefano può vivere la donazione fedele e totale di sé, è perché ha gli occhi aperti sul cielo, su Dio, ma ha attorno a sé anche la primitiva comunità cristiana palpitante di fervore e di entusiasmo per la nuova vita ricevuta con il battesimo. Dobbiamo pregare di più lo Spirito Santo, perché effonda su di noi il dono della fortezza e ci faccia sentire tutti veri discepoli di Gesù.  

Il terzo atteggiamento di Stefano che siamo chiamati ad imitare è quello della benedizione. Da fedele discepolo di Gesù, egli non maledice i suoi persecutori, ma dice bene di loro davanti a Dio: «Piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Detto questo, morì» (v.59). Non maledice, ma addirittura perdona. Possiamo imparare da lui a benedire, cioè a parlar bene degli altri. La benedizione allarga il cuore e le mani per far posto a tutti come fa Dio e va dalla condivisione di quanto abbiamo fino al dono di noi stessi, fino al perdono. Questo è lo stile dei Santi, la cui esistenza è stata animata in modo mirabile e costante dalla carità, che è «il vincolo della perfezione» (Col 3,14).

In questa suggestiva e storica cattedrale è stato parroco il Cardinale Celso Costantini, di cui è in corso la Causa di beatificazione. Questo Servo di Dio è stato l’uomo del “parlar bene” del prossimo, l’uomo del dialogo con l’altro e con le culture diverse. Egli, primo rappresentante del Papa in terra cinese, si è adoperato affinché la stessa fede si esprimesse nel linguaggio proprio delle varie culture, tracciando così un ponte per unire l’Oriente all’Occidente nell’ambito della stessa famiglia delle Nazioni.

Abitato dalla carità, il Cardinale Costantini ha saputo infondere il seme divino della bontà e della misericordia in tanti cuori inquinati dall’egoismo e dal peccato. Nel solco della testimonianza dei martiri di questa terra, trucidati in questa città durante la persecuzione di Diocleziano e venerati in una artistica cappella di questo Duomo, egli ha speso la propria vita per affermare fino in fondo la sua fedeltà a Cristo e al Vangelo. Il cardinale Costantini ha saputo vivere e diffondere con gioia la logica evangelica della fraternità e del perdono.

La memoria del vostro Patrono Santo Stefano e dei tanti testimoni della fede che hanno fatto del Signore la lampada che illumina il cammino, sia occasione propizia per accentuare nelle famiglie, nelle parrocchie e nelle comunità il dinamismo del perdono reciproco e della misericordia. Solo con il perdono c’è la pace vera, cioè la pace del cuore che dà la forza di vivere e di operare il bene.

        Tra poco nella preghiera del “Padre nostro” ci rivolgeremo al Padre con le parole che ci ha insenato Gesù per chiederGli di “rimettere a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Lo Spirito Santo ci guidi e ci sostenga, affinché sappiamo attuare fedelmente nella vita ciò che pronunciamo con le parole.