Sinfonia di carità (12 ottobre 2019)

SINFONIA DI CARITÀ

A COLLOQUIO CON IL CARDINALE PREFETTO ANGELO BECCIU

(12 ottobre 2019)

 

di Nicola Gori

 

Si diventa santi nel quotidiano, a qualsiasi età, in qualunque condizione sociale ci si trovi. Senza distinzione tra uomo o donna, né di lingua o razza. È la fantasia della carità che rende santi e che esprime al mondo un orizzonte non limitato al momento presente. Un segno di questa realtà universale è rappresentato dai cinque nuovi santi che Papa Francesco canonizza, domenica 13 ottobre, in piazza San Pietro. Si tratta di quattro donne e un uomo: un cardinale, tre religiose e una laica che si sono consacrate a Dio nei loro ambienti familiari. Ne parla, in questa intervista all’Osservatore Romano, il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

 

È il momento della santità al femminile?

In Paradiso non ci sono “quote rosa”, perché la santità è la vocazione universale, per tutti e ciascuno. È stato il Concilio Vaticano ii, nella costituzione Lumen gentium, a ricordare che nella gerarchia della santità proprio la donna, Maria di Nazareth, è figura della Chiesa e precede tutti sulla via verso la santità. Nella storia della Chiesa, fin dalle origini c’erano — accanto agli uomini — numerose donne che ebbero parte attiva ed importante nella vita della Chiesa primitiva, come scriveva Papa Wojtyła nella lettera apostolica Mulieris dignitatem sulla dignità e vocazione della donna, «mediante i propri carismi e il loro multiforme servizio». Questa ricchezza di carismi e servizi al “femminile” continua a mostrarsi anche nei nostri giorni, attraverso, scriveva ancora il Pontefice polacco nella Mulieris dignitatem, la «testimonianza delle numerose donne che realizzano la loro vocazione alla santità. Le donne sante sono una incarnazione dell’ideale femminile, ma sono anche un modello per tutti i cristiani».

Tutte le quattro figure femminili si sono distinte per il servizio del prossimo. Qual è il ruolo delle donne nella carità?

È quello, sintetizzato efficacemente da san Giovanni Paolo ii nella sua lettera sulla donna: «La dignità della donna viene misurata dall’ordine dell’amore, che è essenzialmente ordine di giustizia e di carità»; il servizio instancabile e coraggioso di queste nuove sante si spiega col “primato dell’amore” espresso da san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: «più grande è la carità». Certamente tutti, uomini e donne, siamo stati scelti, in Gesù, per essere santi nella carità, e la santità in fondo non è altro che la carità vissuta, ma la donna che esprime il suo “genio” in pienezza — come le nuove sante o come madre Teresa di Calcutta — si mostra davvero modello impareggiabile nell’arte d’amare. Se, in qualche modo, l’attitudine maschile è al lavoro e al fare le cose, quella femminile è di avere particolare sensibilità per le persone, senza ovviamente assolutizzare la distinzione! Nella famiglia e nella società sono necessari i ruoli e i carismi di tutti, uomini e donne, ma se qualcosa di esemplare si può dire della donna, è la capacità di accogliere, di proteggere, di perdonare, di consolare; e questo è proprio del gesto di carità verso il più bisognoso, il piccolo, il malato, l’escluso, chiunque essi siano.

Tra i nuovi santi c’è poi il cardinale John Henry Newman. Come presbitero anglicano fu tra i promotori del Movimento di Oxford per l’avvicinamento alla Chiesa di Roma. Il suo esempio può essere un ponte per il dialogo ecumenico?

Da ministro della Chiesa Anglicana, egli fu incaricato della cura pastorale degli studenti universitari. Nell’ambito di questa attività fondò il Movimento di Oxford. Come pastore e teologo mantenne posizioni equilibrate, così da essere considerato il più insigne esponente della posizione anglicana maggiormente vicina alla Chiesa cattolica, nella quale, dopo attenta riflessione e grazie anche ad approfonditi studi sulle origini del cristianesimo, chiese di essere accolto. In seguito ha sempre cercato e trovato le risposte alle sue profonde domande sulla Chiesa di Cristo. È il motivo per cui, sulla sua tomba volle scritto solo il suo nome e la sintesi della sua esistenza: Ex umbris et imaginibus in Veritatem, «Dalle ombre e dalle figure alla Verità». Davvero Newman fu uomo del dialogo, appassionato ricercatore di Dio, ma equilibrato e rispettoso; grande teologo e studioso dei padri della Chiesa, ma sempre alla ricerca di un punto d’incontro. Un riconoscimento, questo, venuto dagli stessi anglicani. Rowan Williams, già primate anglicano, a lungo docente a Cambridge ha detto: «anche gli anglicani hanno motivo di ringraziare per il riconoscimento dato a Newman», vedendolo come «un ponte tra la Chiesa cattolica e la Chiesa di Inghilterra e un campione dell’ecumenismo recettivo, che chiede a ciascuna tradizione cristiana di domandarsi che cosa può imparare dalle altre denominazioni».

Quale importanza riveste Newman per la Chiesa universale?

«Newman è un grande dono per la Chiesa universale»; sono le parole del postulatore generale dell’Oratorio di san Filippo Neri. Questo è vero non solo perché lo è ogni santo, ma perché il cardinale Newman ha una nota specifica di attenzione alla santità quotidiana, delle piccole cose, dei gesti semplici, possibile a tutti. È celebre il dialogo con un bambino che chiese: «Chi è più grande: un cardinale o un santo?». La risposta fu: «Vedi, piccolo mio, un cardinale appartiene alla terra, è terrestre; un santo appartiene al cielo, è celeste». L’importanza e l’attualità di questa figura di santo sta nel coniugare la fede e la ragione umana, nonostante le difficoltà, il primato della coscienza con l’obbedienza alla verità. È un cammino, certamente, pieno di rischi e ostacoli, ma possiamo percorrerlo, anche con l’aiuto di questo nuovo santo, passando “dalle ombre e dalle figure alla Verità”.

Madre Vannini fu la fondatrice delle figlie di San Camillo, istituto religioso femminile ospedaliero. Qual è il ruolo della donna in un ambito così delicato come il servizio ai malati?

Il carisma dell’opera di madre Giuseppina Vannini, fondatrice della congregazione delle figlie di San Camillo, dopo più di un secolo, è ancora vivo e attuale. Nel servizio ai malati e più in generale alle persone in bisogno, il ruolo della donna è particolarissimo e quanto mai prezioso, non solo per alleviare le sofferenze, dare vicinanza e conforto, ma anche per essere testimonianza e presenza amorevole della “Chiesa-grembo di misericordia”. Così si è espresso Papa Francesco nell’omelia alla vigilia di Pentecoste di quest’anno: «Quanto vorrei che la gente che abita a Roma riconoscesse la Chiesa, ci riconoscesse per questo di più di misericordia — non per altre cose —, per questo di più di umanità e di tenerezza, di cui c’è tanto bisogno!». È questo il mandato lasciato da Madre Vannini per le sue figlie: «Abbiate cura dei poveri infermi con lo stesso amore, come suole un’amorevole madre curare il suo unico figlio infermo». Credo sia difficilmente misurabile la quantità e la qualità dei mille servizi resi dalle donne, non solo consacrate, nei confronti dei malati, umanizzando la cura. Le figlie di san Camillo hanno un motto significativo per il loro ospedale romano: «Scienza nuova, carità antica». Una grande croce rossa è cucita sull’abito di queste suore, segno di quanto Madre Vannini ripeteva spesso: «La carità sia la vostra divisa». Vale per le figlie di san Camillo, ma anche per ogni donna al servizio dei malati.

Madre Mankidiyan fu la fondatrice della congregazione delle Suore della Sacra Famiglia nello stato indiano del Kerala, in seno alla Chiesa siro-malabarese. Il suo esempio può servire per il dialogo interreligioso?

Il dialogo interreligioso di suor Maria Teresa Chiramel Mankidiyan sta nella sua vita interamente dedicata al servizio dei poveri e dei malati di ogni casta e religione, senza alcuna distinzione. Anche in lei si riscontra una somiglianza con madre Teresa di Calcutta proprio per il servizio ai poveri, ai malati, agli emarginati, ai moribondi; entrambe hanno vissuto la virtù della carità in modo eroico, pur essendo entrambe delle vere mistiche. La vita di madre Mankidiyan è stata piena di penitenza, preghiera e digiuno e la congregazione da lei fondata oggi conta circa duemila suore e 200 novizie. L’ordine gestisce scuole, ospedali, scuole d’infermieristica, licei, ostelli, case per disabili mentali e fisici, centri sociali e cliniche omeopatiche. Il dialogo interreligioso più efficace è questo della vita e della testimonianza delle opere, per tutti, senza eccezione alcuna.

Lopes Pontes della congregazione delle Suore missionarie dell’Immacolata concezione della Madre di Dio, è ricordata per le sue opere di carità a favore dei bisognosi della città brasiliana di Bahía. Quale messaggio rivolge al mondo di oggi?

Alla sua morte fu proposta per il Nobel della Pace; è stata dichiarata «la donna più ammirevole del Brasile» da un quotidiano di San Paolo e «la personalità religiosa più influente del Brasile nel xx secolo» da un’altra rivista. Eppure iniziò prendendosi cura dei più poveri nel pollaio del suo convento. È chiamata anche la “madre Teresa brasiliana”. Suor Dulce si impegnò a fondo anche nell’istruzione degli operai, ma fu soprattutto nell’assistenza e nella cura degli ultimi e dei più sofferenti che svolse il suo generoso servizio. Come non bastasse, gli ultimi anni della sua vita furono segnati dalla malattia e tante sofferenze. Quando nell’ottobre 1991 Giovanni Paolo ii si recò a Bahia e volle visitarla, più volte disse: «Questa è la sofferenza dell’innocente. Eguale a quella di Gesù». La carità di suor Dulce fu materna e tenera e aveva la sua radice nel rapporto soprannaturale con il Signore; non istigò alcuna contrapposizione fra le classi, ma ricordò ai ricchi l’esigenza evangelica di spezzare il pane con l’affamato. Tutta la sua vita è uno splendido messaggio universale per il mondo di oggi.

Si può definire come santa del quotidiano la terziaria francescana Bays che ha esercitato in famiglia il mestiere di sarta e si è adoperata per i bisogni del prossimo nel cantone svizzero di Friburgo?

Quella di Margherita Bays fu un’esistenza semplice: sarta, casalinga e catechista, si prese cura dei diversi bisogni del prossimo, soprattutto in famiglia e nel suo villaggio, senza mai trascurare la preghiera. Nel tempo libero si dedicava alle visite ai malati e all’istruzione catechistica dei bambini. In questo senso si può parlare di una “santa del quotidiano”; non divenne religiosa, preferendo rimanere nubile e santificarsi in seno alla sua famiglia e presso la sua parrocchia. Il suo quotidiano era riempito da gesti semplici accompagnati dalla costante preghiera: visita a malati e morenti, soccorso ai poveri che chiamava “i preferiti di Dio”. In ogni cosa viveva costantemente alla presenza di Dio. Negli ultimi anni fu visitata da dolore intenso e continuo; sopportò ogni cosa senza mai lamentarsi, in totale abbandono alla volontà di Dio. La “santità del quotidiano” non è una via minore, ma una via universale, come ci ha ricordato Papa Francesco nella Gaudete et exsultate al numero 63: «Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. Esse sono come la carta d’identità del cristiano». E ancora: «Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”, la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita».