Circondati da una «nube di testimoni»
«Et alibi plurimorum sanctorum…»: con queste parole si concludeva ogni giorno la lettura del Martirologio Romano nella sua versione latina, offrendo nella vita quotidiana la visione di una Chiesa terrena circondata da una «nube di testimoni» che hanno raggiunto la meta. Il ricordo di questi fratelli e sorelle, la cui esistenza terrena si è già realizzata nella gloria, non è mai stata per i cristiani pura cronaca storica, ma un ininterrotto accompagnamento nel nostro cammino verso la pienezza.
I santi — nostri fratelli e sorelle — hanno saputo offrire con la loro vita una risposta luminosa alle domande che inevitabilmente sfiorano il cuore di ogni uomo: «Chi sono io?», «Per chi esisto?», «Quale senso ha la mia sofferenza?». La loro vita, consumata nell’amore, ci rimanda senza esitazioni all’amore di Dio manifestato in Cristo, che ha dato sé stesso per noi. È nella comunione dei santi che scopriamo la fonte della grazia che ci dà nuova vita, il sangue che ci redime e il soffio che, pure a ciascuno di noi, permette di dire con slancio: «Voglio essere santo».
Questo anelito del cuore umano, tuttavia, può essere sostenuto solo dalla grazia che viene costantemente implorata e accolta; per questo, la preghiera della Chiesa e la testimonianza dei nostri fratelli e sorelle che ci hanno preceduto ci vengono in aiuto come un sostegno indispensabile.
Papa Francesco, con uno sguardo lungimirante e in vista del presente Anno giubilare dedicato alla speranza cristiana, volle rilanciare con forza questa memoria della santità, riconducendola al cuore pulsante delle Chiese particolari, là dove la fede ha germogliato in gesti concreti e vite esemplari. Con la Lettera del 16 novembre 2024 ha posto una pietra miliare nella storia delle Cause dei Santi, offrendo alle Chiese locali uno strumento prezioso per riscoprire e onorare i propri campioni di fede.
Il Santo Padre non si limitava a un invito, ma offre un discernimento profondo sulla natura della santità che ci circonda, richiamando tutti i fedeli a lasciarsi stimolare da questi modelli, tra i quali spiccano i martiri, i beati e i santi, ma anche i venerabili, di cui è riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù, e i servi di Dio, le cui Cause sono attive.
servi di Dio, venerabili, beati e santi non rappresentano tre stadi crescenti di santità, bensì le progressive tappe della nostra conoscenza di una persona che ha vissuto in pienezza la vita cristiana e della proposta che ne fa la Chiesa alla comunità universale. L’esperienza di grazia è completa nella persona, ma la nostra comprensione e il riconoscimento pubblico crescono. Tutto inizia con il servo di Dio: l’origine, un’eco non ancora amplificata della sua santità. L’apertura della sua causa è l’atto con cui la Chiesa particolare si interroga: «C’è, in mezzo a noi, un’esperienza di grazia così singolare da meritare di essere offerta all’universale?». La risposta non arriverà subito, sarà frutto di un lungo discernimento.
Una prima certezza viene con la dichiarazione di venerabile: un sussurro di eccellenza. Questa tappa è il riconoscimento che l’eroicità delle virtù non è più una semplice intuizione, ma un dato di fatto accertato. È la prima, ferma impronta sulla roccia, la sicurezza che la vita del servo di Dio è stata un’autentica risposta al Vangelo, un pilastro di fede che, pur ancora legato a un giudizio prudente, proietta già un’ombra santa.
Successivamente, nella beatificazione, il mistero si fa segno tangibile: la persona viene proposta come modello e ponte tra cielo e terra, la cui intercessione fiorisce in un miracolo riconosciuto. La beatificazione è la festa del particolare, un onore concesso a una diocesi o famiglia spirituale, con un culto limitato ma fervido, il primo incendio acceso sui mappamondi della fede: una luce che, non essendo ancora universale, è ormai innegabile.
La canonizzazione è la dichiarazione irrevocabile che quell’anima dimora per sempre in Dio. Offerto come universale, perenne faro, il santo incarna la perfetta carità in maniera esemplare. Il miracolo finale non è solo la prova dell’intercessione, ma il sigillo divino su una vita trascendente. Il santo non appartiene più a un luogo, ma all’eternità della Chiesa; è una gemma incastonata nel tessuto stesso della fede, un nome che risuona senza confini, un potente invito a trascendere il terreno.
Questo percorso non è solo il riconoscimento di un individuo eccezionale, ma la manifestazione e la concretizzazione della santità che permea il tessuto di una Chiesa particolare o di un istituto religioso. Il servo di Dio è il primo, prezioso indizio che la vocazione universale alla santità ha messo radici nella comunità: egli rende visibile l’argilla della fede con cui essa modella il proprio vissuto quotidiano. Nel venerabile, la diocesi e l’istituto trovano un riflesso nitido di sé, un esempio vivente di come il proprio carisma o apostolato può fiorire, ricordando a tutti la propria essenza più pura. Con la beatificazione, la comunità è onorata e spiritualmente legittimata: è il riconoscimento pubblico che la grazia ha maturato i suoi frutti qui, un inno di giubilo che rende la santità localmente tangibile. Infine, il santo canonizzato, pur divenendo faro universale, rimane come gloria indelebile della comunità d’origine: i suoi figli, raggiungendo gli altari, non solo illuminano il mondo, ma certificano che la diocesi o l’istituto è stata la culla spirituale della loro santità.
La visione del Papa era quella di un mosaico dove ogni Chiesa particolare può riconoscere i propri volti luminosi, coloro che in singolari circostanze hanno saputo fare della loro esistenza un’offerta d’amore.
Si tratta di figure che hanno impresso un segno vivo della presenza del Signore risorto nella propria terra, agendo da guide sicure nel comune itinerario verso Dio. La loro storia è tessuta nelle trame delle comunità, nei loro quartieri, nei loro campi di lavoro e nelle loro famiglie; la loro santità è, dunque, una santità di prossimità, un Vangelo vissuto nella porta accanto e — perché no? — anche nella nostra porta.
Francesco esortava le Chiese locali a istituire una solenne commemorazione annuale, fissata significativamente al 9 novembre, Festa della Dedicazione della basilica Lateranense. Questo gesto lega il ricordo dei discepoli di ogni luogo alla «madre e capo di tutte le chiese», in un profondo e potente senso di comunione universale. La proposta, che alcune Conferenze episcopali hanno accolto con la pubblicazione di guide pastorali, arriva a noi in questa prima commemorazione come un’offerta preziosa di modelli accessibili da imitare: celebrare coloro che, pur avendo raggiunto la meta, sono vicini geograficamente e culturalmente, può aiutare a fortificare la propria vocazione. Inoltre, dare visibilità a coloro che attualmente percorrono la via verso gli altari evidenzia la vitale spiritualità della Chiesa particolare ma anche, al contempo, alimenta la conoscenza che conduce alla devozione verso questi nostri fratelli e sorelle.
L'Osservatore Romano, domenica 9 novembre 2025
Alberto Rojo Mejía
Promotore della Fede