Carmelo Pellegrino - Il miracolo: accertamento scientifico e dimensione teologica

(TESTO PROVVISORIO)

 

Il miracolo: accertamento scientifico e dimensione teologica

 

“Anche i miracoli di Gesù provano che il regno è arrivato sulla terra: «Se con il dito di Dio io scaccio i demoni, allora è già pervenuto tra voi il regno di Dio» (Lc 11,20; cfr. Mt 12,28)” (Lumen Gentium 5). Il Concilio può introdurre al meglio questo semplice contributo con cui, dopo una breve esposizione dello sfondo biblico sull’argomento, si intende presentare una sintesi sull’esame dei miracoli compiuto nel Dicastero delle Cause dei Santi. Il titolo che mi è stato affidato inquadra il miracolo tra la “dimensione teologica” e l’“accertamento scientifico”, che rimanda evidentemente all’approccio medico/tecnico, su cui mi limiterò a offrire qualche cenno.

 

1. LO SFONDO BIBLICO

1.1 Antico Testamento

Nella Bibbia ebraica il “segno” profetico viene identificato dal termine 'ot, normalmente tradotto in greco dalla LXX con semeíon. Tra i miracoli dell’Antico Testamento si distinguono quelli dei profeti Elia ed Eliseo, a cui fa poi riferimento anche Gesù nel vangelo (Lc 4,16ss). Nell’AT il miracolo non è un atto magico, ma un segno volto a mostrare la potenza di Dio – spesso attraverso un suo inviato – per il bene del popolo. Di per sé il miracolo si presenta come un fatto ambiguo: constano anche prodigi di taumaturghi estranei o contrari al piano di Dio (Es 7,12; Dt 13,2-6). Pertanto già nell’AT il miracolo deve essere associato a un messaggio salvifico. Proprio il fatto e il suo significato, la guarigione in sé e l’evento salvifico annesso rappresentano i due ambiti dell’esame che viene svolto nel nostro Dicastero: l’ambito medico o tecnico (con cui si accerta la consistenza di un fatto inspiegabile) e quello teologico (che lo “spiega” verificando l’intercessione efficace in risposta alla fede orante). La fede e il suo messaggio non creano l'evento ma lo riconoscono per quello che è. Costantemente l’AT evidenzia che i miracoli non sono opera delle mani dell’uomo, ma procedono sempre e solo da Dio, che può servirsi anche di mediazioni umane.

1.2 Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento i termini greci usati più frequentemente sono dýnamis (“atto di potenza”) e il summenzionato semeíon (“segno”)[1]. Nei vangeli i miracoli procedono a tre livelli: a) Dio agisce come Signore della storia umana e del creato. b) Gesù compie miracoli in prima persona, con autorità divina, sulla natura (moltiplicazione dei pani, tempesta sedata), operando guarigioni e resurrezioni (il cieco nato, Lazzaro di Betania), compiendo epifanie o apparizioni (trasfigurazione, cristofanie post-pasquali). c) Anche i discepoli sono rivestiti da Gesù della capacità di compiere miracoli. Dalle narrazioni del NT risulta chiaro che quanto era stato prefigurato dai miracoli dell’AT, si compie nell’evento-Cristo, in cui il miracolo esprime la venuta del Regno e la redenzione dell’umanità.

1.2.1 Compimento

Un esempio può aiutare a comprendere. Il compimento delle Scritture è annunciato da Gesù in Lc 4,16-31 nella sinagoga di Nazaret, dove, dopo aver letto le parole di Isaia – “Lo Spirito del Signore è su di me…” (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-2; 58,6) – aggiunge: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi” (Lc 4,21).

Subito dopo Gesù cita due profeti dell’AT: Elia che soccorre miracolosamente la vedova di Sarepta di Sidone; Eliseo che guarisce dalla lebbra Naaman il Siro (Lc 4,25-27)[2]. Anche questi riferimenti implicano che quanto era stato prefigurato da Elia e Eliseo, si adempie in Gesù. Infatti più avanti – in Lc 5–7 – Cristo compie proprio i miracoli di Elia e Eliseo: Gesù guarisce un lebbroso (come Naaman) ed un paralitico (Lc 5,12-16.17-26), poi risuscita il figlio unico di una vedova (come il figlio della vedova di Sarepta, Lc 7,11-17). I miracoli di Gesù non hanno un senso solo “fisico” ma significano la salvezza integrale dell’umanità, l’affrancamento dal peccato e dalla morte. Infatti i miracoli di Lc 5 – guarigione del lebbroso e del paralitico – con la successiva chiamata di Levi[3] sono uniti da un legame progressivo: la sanazione del lebbroso è fisica e va notificata al sacerdote (Lc 5,13-14); anche quella del paralitico è fisica ma serve come prova per la guarigione spirituale portata da Gesù col perdono dei peccati (Lc 5,20); la chiamata del pubblicano Levi, poi, è commentata dal Signore proprio con la metafora del medico e dei malati (Lc 5,31). Con questa progressione, Luca esprime il senso della guarigione portata da Gesù: egli libera dai mali del corpo per manifestare la sua capacità divina di guarire i mali dell’anima e trasformare i peccatori in discepoli. Ma se Lc 5,12-32 insegna che Gesù salva da ogni “malattia” (fisica e spirituale) e conduce alla vera salute, con l’evoluzione di Lc 7,1-50 si mostra che Gesù salva addirittura da ogni “morte” (fisica e spirituale) e conduce alla vera vita. Vi è infatti una progressione tra il moribondo guarito di Lc 7,1-10, il morto risuscitato di Lc 7,11-17 e la peccatrice perdonata di Lc 7,36-50[4].

Più avanti, nell’Opera lucana, proprio questi miracoli di Gesù vengono operati da Pietro e da Paolo, protagonisti degli Atti degli Apostoli[5]. Gesù guarisce il paralitico (Lc 5,17-26), ma anche Pietro guarisce lo storpio alla Porta Bella (At 3,1-10) e Paolo guarisce lo zoppo di Listra (At 14,8-18)[6]. Gesù risuscita il figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-17), ma anche Pietro risuscita Tabità (At 9,36-42) e Paolo risuscita il giovane Eutico, addormentatosi durante una sua predica (!) e cascato dalla finestra del terzo piano dove si era incautamente seduto (At 20,7-12)[7].

Anche attraverso questi confronti sinonimici, i miracoli, le parole e le opere di Gesù mostrano che Egli è venuto a portarci la vera salute e la vita eterna e che il suo ministero continua efficacemente nella Chiesa.

1.2.2 Appello alla fede

I miracoli del NT non sono eventi fini a sé stessi, come i fatti leggendari e quasi magici degli apocrifi. Nei vangeli canonici i miracoli sono sobri, Gesù li compie talvolta con ritrosia (Mc 7,24-30), impone anche il silenzio ai miracolati per non indurre un’idea erronea sul suo messianismo: è il cosiddetto “segreto messianico”.

Pertanto, i miracoli di Gesù rispondono alla fede e sono finalizzati alla fede (Mt 11,20-24)[8]. Al di fuori di questo quadro Gesù non compie miracoli, come avviene dinanzi alla curiosità di Erode[9], all’incredulità dei compaesani di Nazaret[10] o alla sfida di alcuni: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11,29-30). In Luca il “segno di Giona” è l’appello alla conversione, ma in Mt 12,40 è la morte e resurrezione di Gesù: “Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra”. I miracoli, pertanto, sono sempre un appello alla conversione, all’obbedienza della fede, anche la stessa resurrezione di Gesù, il miracolo più eccelso e paradigmatico. Senza fede, persino la resurrezione resta inefficace, come si spiega nella parabola del povero Lazzaro: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti" (Lc 16,31).

Per accogliere, interpretare e compiere il miracolo è quindi necessaria la fede, cioè aprirsi a qualcosa di più grande delle proprie possibilità. L’umanità ha il suo possibile, ma può decidere di affrontare la propria incompiutezza credendo alla potenza di Dio. Nell’Annunciazione Maria dice di essere vergine, nell’impossibilità a generare (Lc 1,34). Aprirsi alla potenza di Dio è aprirsi alla sua capacità di generare vita in un grembo vergine, di risuscitare un morto, di far sorgere vita dove non ci può essere. L’impossibile, lo straordinario sono le categorie della fede, anche per la condotta cristiana: “E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,47) . Tutte le volte che l’umanità si apre alla fede, aggancia la capacità di Dio di dare vita dove non c’è. Nei vangeli i discepoli non possono compiere miracoli se sono increduli o deboli nella fede (Mt 14,31;17,19-20). D’altro canto, Gesù afferma che chi crede in Lui farà le stesse opere che egli ha fatto e ne farà anche di più grandi (Gv 14,12).

1.3 Segni del Regno

Cosa sono, quindi, i miracoli? Sono segni del Regno di Dio. Si tratta certamente di eventi non attribuibili a cause naturali ma a Dio, il quale realizza e custodisce l'ordine della natura ma può anche sottrarre, limitare o modificare il corso naturale degli eventi sospendendo l'applicazione delle sue leggi al caso particolare. Tuttavia non sono correzioni dell'ordine del cosmo ma anticipi della perfezione futura del Regno, come si legge nel summenzionato brano di LG 5. Essi manifestano che in Gesù il Regno è già presente, attestano che Egli è il Messia, il Figlio di Dio mandato dal Padre. Liberando gli uomini dalla fame, dalla malattia e dalla morte, Gesù non elimina magicamente tutti i mali terreni, ma pone segni che rimandano alla liberazione dal male più grave, il peccato (Gv 8,34-36), che si compirà per mezzo del mistero pasquale. Perciò i miracoli dicono sempre anche la sconfitta del regno di Satana (Mt 12,26-28)[11].

Tradizionalmente i miracoli erano classificati tra i “motivi di credibilità” della fede[12]. Il Concilio Vaticano II ha preferito parlarne in termini di “segni di salvezza”, perché il loro utilizzo apologetico non venisse separato dal significato salvifico in Cristo. Fine primario dei miracoli è corroborare la testimonianza che, in Gesù, Dio è con noi per darci la vita eterna. Ci sono poi fini secondari: ad esempio, la guarigione di una persona produce il suo benessere. A volte i miracoli sono operati da Dio attraverso l'intercessione di candidati all’onore degli altari: allora, tra i fini secondari dei miracoli, vi è anche quello di offrire alla Chiesa la conferma divina per il riconoscimento della santità di un cristiano[13]. Il miracolo può essere il “dito di Dio” (Lc 11,20) con cui sappiamo che la persona invocata è in Paradiso e intercede efficacemente per i suoi fratelli della Chiesa militante.

 

2. NELLE CAUSE DEI SANTI

Il Magister delle Cause dei Santi è Papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini, 1675-1758), già Promotore della Fede dell’allora Congregazione dei Riti, il quale, nella sua celebre Opera De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione afferma la necessità dei miracoli[14] come prova della volontà divina di glorificare un fedele[15]. Papa Lambertini constata che la maggioranza di questi fatti sono delle guarigioni ed elenca i criteri perché la Chiesa possa attestarne la straordinarietà:

a) occorre che la malattia sia considerata grave, seria, e che la sua cura sia impossibile o assai difficile;

b) il fatto ritenuto straordinario non può sovrapporsi all’inizio di una guarigione naturale;

c) non devono essere state realizzate cure mediche e, se applicate, queste non devono aver recato un effetto adeguato alla risoluzione del caso;

d) la guarigione deve avvenire in modo immediato (criterio dell’istantaneità); ciò non viene richiesto per tutti i miracoli ma quando l’inspiegabilità scientifica di una guarigione riguarda la sua modalità (3° grado);

e) la guarigione deve essere avvenuta in modo totale e definitivo (criterio della completezza);

f) la guarigione non deve essere avvenuta a seguito di crisi fisiologiche che talvolta risolvono certe patologie in modo inaspettato (ad es. per l’espulsione di corpi estranei o umori dannosi, ecc.);

g) la malattia non deve ripresentarsi dopo un certo tempo[16] (criterio del carattere duraturo); occorre considerare bene, quindi, il tipo di malattia, giacché alcune possono ricomparire anche parecchi anni dopo la guarigione, come avviene nei tumori;

h) le cicatrici non sono incompatibili con il riconoscimento del miracolo (nel 2º e 3º grado);

i) se si hanno due guarigioni da malattie specificamente differenti, possono verificarsi due miracoli nello stesso soggetto.

Sebbene risentano del linguaggio del tempo, i criteri di Papa Lambertini mostrano un notevole rigore e sono ancora oggi parametri validi per chi deve discernere teologicamente il carattere miracoloso di una guarigione.

2.1 Approccio interdisciplinare

L’esame teologico del miracolo nelle Cause dei Santi subentra nella fase successiva alla dichiarazione dell'eroicità delle virtù di un Servo di Dio: nell’iter verso la Beatificazione si richiede il riconoscimento di un miracolo attribuito alla sua intercessione efficace; il miracolo non è richiesto per il riconoscimento del martirio. Successivamente, il miracolo viene nuovamente richiesto per la canonizzazione di un Beato, anche martire. Quando si riconosce un miracolo si indica che qualcuno, in un momento di seria necessità, ha pregato un candidato alla gloria degli altari affinché il Signore, per sua intercessione, concedesse quanto richiesto con fede, venendo in soccorso con un evento inspiegabile.

Nell’approfondimento preliminare di un possibile miracolo è importante sincerarsi della sua consistenza scientifica, facendo preparare almeno una Perizia previa da parte di uno specialista che abbia anche dimestichezza con i nostri accertamenti canonici. Procedere con casi sin dall’inizio claudicanti per carenza di documentazione o per fragilità intrinseca espone a perdite di tempo, energie e denaro. Poi, se si tratta di una guarigione, occorre che la Consulta Medica del Dicastero, composta da 7 Periti, cattedratici di alto profilo, la giudichi scientificamente inspiegabile almeno a maggioranza qualificata (5 su 7), rilevandone il carattere istantaneo (o almeno rapido, nei casi di 3° grado), completo e duraturo.

Oltre alla medicina, lo studio può coinvolgere altre discipline. Ad esempio, per l’esame del miracolo che portò alla Beatificazione della Venerabile Maria di Gesù Crocifisso Petkovic (1892-1966), avvenuto in un sottomarino inabissatosi nelle acque peruviane nel 1988, si fece ricorso ad esperti di fisica: ad una profondità di 15 metri, con una pressione dell’acqua di 3,8 tonnellate, il comandante, che aveva invocato l’aiuto della Serva di Dio, riuscì ad aprire con estrema facilità il portellone del sottomarino e a salvare così l’equipaggio. In un’occasione troviamo addirittura l’intervento delle belle arti, come nel caso del miracolo che portò alla Beatificazione di Suor Eusebia Palomino Yepes (1899-1935): un artista invalido riuscì a dipingere con i piedi un quadro della religiosa in tempi assolutamente straordinari. Non sono mancati episodi di moltiplicazioni prodigiose, come la moltiplicazione del riso avvenuta in una mensa dei poveri in Spagna per intercessione di fra Juan Macias (1585-1645), e che lo portò alla canonizzazione nel 1975; o il caso della Beatificazione di Suor Irene Stefani (1891-1930): nel 1989, in Mozambico, molte persone, per fuggire da una delle fazioni armate coinvolte nella guerra civile, si era rifugiato nella chiesa parrocchiale per alcuni giorni; dopo aver pregato la religiosa, l'acqua del fonte battesimale si moltiplicò permettendo a tutti la sopravvivenza: da quel fonte privo di collegamenti con l’esterno erano usciti almeno 200 litri di acqua.

2.2 Esame teologico

Verificate le caratteristiche della guarigione inspiegabile – o del caso straordinario che coinvolga qualsiasi altra disciplina – si accertano i requisiti teologici. Anzitutto, occorre verificare se l'invocazione del Servo di Dio sia stata elevata chiedendo la sua intercessione presso il Signore.

2.2.1 Invocazione

Benché sia impossibile una prova assoluta[17], Benedetto XIV stabilisce la necessità di accertare il nesso causale tra l’invocazione ed il presunto miracolo, secondo precise caratteristiche:

a) l'invocazione deve essere stata fatta chiedendo esplicitamente l’intercessione del Servo di Dio o del Beato presso il Signore per ottenere il miracolo in oggetto;

b) l'invocazione deve essere antecedente rispetto all'asserito miracolo (deve precedere il viraggio favorevole del decorso clinico);

c) l'invocazione deve essere univoca o almeno prevalente rispetto ad eventuali invocazioni di altri Intercessori.

 La possibilità che ci siano diverse invocazioni capita soprattutto quando c'è molta gente che prega per un malato. A volte è difficile sapere con certezza da chi un soggetto abbia ricevuto l'intercessione efficace. In questi casi, per provare il miracolo occorre accertare quale sia stata l'invocazione principale, di maggiore intensità rispetto alle altre. Per stabilirlo, tra i possibili criteri si considera l’eventuale apposizione di una reliquia sul malato o l'aver fatto una novena. Prevale la preghiera rivolta da più persone ad un Servo di Dio, cioè il criterio della coralità, che rappresenta il carattere ecclesiale della preghiera rispetto a invocazioni sporadiche o isolate ad altri Servi di Dio. In certe circostanze può essere riconosciuta come efficace anche l’invocazione elevata da una sola persona. Benedetto XIV stabilisce anche il criterio della temporalità: se la malattia è stata lunga e sono stati invocati diversi Servi di Dio, si dovrà vedere concretamente quale Servo di Dio è stato invocato al tempo dell'inizio della guarigione[18]. Infine, il Magister stabilisce il criterio della graduatoria[19]:  se si invoca un Santo e un Beato, l'invocazione del Santo prevale su quella del Beato. Un caso particolarmente intricato, in questo senso, risultò il miracolo della canonizzazione di S. Geltrude Comensoli, Fondatrice delle Sacramentine. Era stata collocata sotto il cuscino dell’ammalato la reliquia di Padre Pio e della Comensoli, all’epoca beati. Fu però certificata la prevalenza dell’invocazione rivolta alla Comensoli: per Padre Pio non era stata assunta un’iniziativa simile alla preghiera corale e perdurante delle Suore Sacramentine per invocare la loro Fondatrice.

Questi criteri devono essere integrati tra loro con sapienza: ad esempio, se una persona ha sporadicamente pregato un Santo e un’intera comunità ha fatto una novena ad un Beato, è possibile attribuire al secondo l’intercessione efficace. Dio può ovviamente fare miracoli senza particolari intercessioni. Quanto alla Vergine Maria, ella intercede efficacemente nel primo segno di Gesù, quello delle nozze di Cana (Gv 2,1-11), perciò la sua intercessione è considerata quasi strutturale e non pone alcun problema nel caso in cui risulti concomitante all’invocazione di un Servo di Dio o un Beato.

I miracoli dei Santi e dei Beati spesso mostrano attinenza al loro vissuto: ad esempio, S. Giovanni XXIII muore per tumore allo stomaco e il miracolo per la sua beatificazione era una guarigione da tumore allo stomaco. Per la beatificazione della missionaria Suor Maria Carola Cecchin è stato riconosciuto il miracolo di spontanea comparsa e normalizzazione, dopo 30 minuti, delle funzioni vitali in un bimbo nato senza segni vitali con assenza di attività cardiaca, tono muscolare estremamente flaccido e colorito cianotico, avvenuto di notte in jeep, durante un viaggio disperato di ore in una selva africana, verso un ospedale. Non risolutivi eppure importanti sono altri elementi che possono accompagnare un miracolo. Talvolta si verificano sogni in cui il Servo di Dio preannuncia l’esaudimento dell’invocazione o invita a pregare. Questi elementi hanno un retroterra biblico e non vanno sottovalutati. Tuttavia, occorre evitare esagerazioni miracolistiche che screditano la serietà di un caso.

2.2.2 Gradi

San Tommaso d’Aquino, dopo aver ricordato – sulla scia di S. Agostino – che i miracoli non agiscono contro le forze della natura ma le superano, spiega che essi possono farlo in tre modi[20]. Pertanto, i miracoli vengono normalmente distinti in tre gradi: 1° grado (quoad substantiam): l’acqua trasformata in vino, il corpo umano divenuto glorioso; 2° grado (quoad subiectum): si tratta di fatti che superano le forze della natura non per la cosa prodotta, ma per il soggetto in cui viene prodotta: la resurrezione dei morti, la guarigione di un cieco, una qualche inspiegabile restitutio ad integrum. Siccome questo grado di miracolo fa riferimento alla persona che lo riceve e non al modo in cui si compie, non si richiede l’istantaneità; 3° grado (quoad modum): si tratta di fatti che superano le forze della natura per il modo in cui si verificano. La maggioranza dei casi riguarda proprio guarigioni eccezionalmente rapide in relazione alla malattia esaminata. Le classificazioni sono convenzionali e a volte ci si trova dinanzi a miracoli difficili da catalogare, come quando si combinano elementi di straordinarietà quoad subiectum e quoad modum. Vi sono poi i cosiddetti “miracoli negativi”, oggi comunemente considerati casi di scampato pericolo[21]. Benedetto XIV scrive che, secondo qualche autore, essi non erano ammessi a motivo del loro difficile accertamento; secondo altri autori, invece, anche i miracoli negativi sono ammissibili. Infatti, mentre Lambertini svolgeva il ruolo di Promotore Generale della Fede nella Causa di S. Giacomo della Marca, venne discusso il caso di una bambina caduta da notevole altezza senza riportare danni; il fatto venne approvato come miracolo perché furono accertate tutte le caratteristiche dell'evento straordinario. A questo proposito risulta particolarmente interessante e insolito il miracolo che ha spianato la strada per la Canonizzazione di S. Charles de Foucauld.

Il 30 novembre 2016 un apprendista carpentiere ventunenne cadde da un’altezza di 15,50 metri. Stava lavorando tra il tetto e la volta della cappella di un Collegio/Liceo a Saumur, nella diocesi di Angers, quando, porgendo un attrezzo ad un altro operaio, per il cedimento della vol­ta cadde nel vuoto. La caduta si concluse nella navata della Cappella sopra il montante di un banco di legno lungo 90 cm e con una sezione di 45 mm. Nel violento impatto il banco quasi esplose, mentre il montante entrò dall’ipocondrio sinistro del giovane, attraversando il diaframma e uscendo posteriormente, alla base toracica sinistra. La definizione conclusiva dei Periti del Dicastero rilevò all’unanimità: “La paucità delle lesioni riportate in rapporto alle modalità della ca­duta da 15,5 mt di altezza in forma libera non è scientificamente spiegabile e quindi va inquadrato come uno scampato pericolo”. I tempi rapidissimi in cui si svolse il fatto, però, avevano reso impossibile un’invocazione precedente, come si era potuto faticosamente verificare nei casi approvati per la Beatificazione della Madre Santocanale (oggi Santa) e per la Canonizzazione di S. Nicola da Longobardi. Il giovane operaio, d’altronde, era distante dalla fede e non aveva mai pregato Charles De Foucauld, né era mai stato affidato alla sua protezione da altre persone, come avvenne con la mamma del miracolato nel caso approvato per la canonizzazione di S. Ursula Ledochowska. Non vi era stato neanche un abituale affidamento all’Intercessore, in forma di devozione costante, come nei miracoli per la Beatificazione di Don Carlo Gnocchi o di Pina Suriano.

Tuttavia l’inchiesta ha permesso di accertare alcune circostanze che, benché irrilevanti se prese in maniera isolata, compongono insieme un quadro probativo sufficientemente coerente e solido. L’incidente accadde poche ore prima del 1° dicembre, memoria liturgica del Beato Charles de Foucauld, nel 2016, nell’anno e nel giorno in cui ricorreva esattamente il centenario della morte del Beato. In quell’anno tutta la “Famiglia spirituale Charles de Foucauld” innalzava preghiere speciali per ottenere la sua Canonizzazione. Il fatto avvenne nel territorio dell’unica parrocchia della Diocesi di Angers intitolata al Beato e nella cittadina di Saumur dove Charles de Foucauld aveva vissuto da militare. In quella parrocchia si recitava regolarmente la preghiera per ottenere la canonizzazione di Charles de Foucauld. La caduta del giovane avvenne mentre questi stava lavorando sulla volta della cappella di un liceo che era il luogo scelto dalla parrocchia per celebrare, con una specifica Novena, il centenario del transito di Charles de Foucauld e per accogliere i parrocchiani in occasione della festa parrocchiale del Beato. L’incidente avvenne proprio al termine della novena di preparazione immediata alla sua festa. Il miracolato è peraltro un non battezzato, in continuità con la missione peculiare di Charles de Foucauld presso i non cristiani. Anche le modalità “nascoste” con cui si realizzò la sua intercessione sembrano congruenti con la sua vicenda di sacerdote che scelse di vivere silenziosamente e segretamente come Gesù a Nazaret. Questa invocazione presenta quindi una singolare antecedenza che non riguarda il miracolato ma l’Intercessore. Le numerose circostanze del caso, del tutto singolari, convergenti e significative, hanno permesso di raggiungere la certezza morale, nella linea indicata dal noto discorso di Pio XII alla Rota Romana del 1° ottobre 1942[22].

2.2.3 Altri criteri

Tra i compiti del Teologo rientra anche il giudizio su tre requisiti della guarigione, che deve essere istantanea (o almeno rapida, nei miracoli di terzo grado), completa e duratura. Tale valutazione teologica trae inevitabilmente spunto dalle definizioni conclusive della Consulta Medica, ma non coincide esattamente con esse. Ad esempio, laddove il giudizio medico sulla completezza segnala la permanenza di sequele comunque non invalidanti, l’esame teologico può notare che la guarigione ha innescato la conversione di intere famiglie: ciò che clinicamente è non del tutto completo, può essere teologicamente perfetto. Per il requisito teologico dell’istantaneità, invece, sarà importante individuare il viraggio favorevole del decorso clinico e accertare che l’evoluzione positiva non sia stata solo graduale. Nei casi in cui il sanato è ormai deceduto al tempo della pubblicazione della Positio super miro sarà importante inserire nel volume un documento che certifichi l’indipendenza della causa mortis rispetto alla patologia dell’asserito miracolo, al fine di comprovare il carattere duraturo della guarigione.

Non si abbia timore di chiedere l’escussione di medici non credenti, non cristiani o non cattolici perché spesso proprio in base ai loro giudizi, indirettamente, il caso acquista maggiore solidità rispetto alle valutazioni – talvolta persino tecniche – inficiate da presupposti poco scientifici (cfr. il miracolo per la Beatificazione di Madre Antonia Maria Verna).

Non mancano guarigioni di non cristiani (cfr. il miracolo per la Canonizzazione di S. Daniele Comboni). Ogni caso va comunque valutato nel suo contesto: ad esempio, non è la stessa cosa che una guarigione si verifichi in un moderno ospedale europeo o in un sanatorio africano povero di attrezzature scientifiche. Inoltre, si noterà il ripetersi di certe patologie in alcune parti del mondo: ad esempio, non di rado vengono segnalate guarigioni da “piede torto” in alcune zone dell’India.

Questa considerazione vale a maggior ragione per i presunti miracoli “storici”, che ovviamente sono ammessi ma sempre salvaguardando determinate condizioni: ad esempio, molto vale uno specifico accertamento canonico fatto a suo tempo – magari durante l’Inchiesta super virtutibus – o la documentazione dell’epoca che possa suffragare un giudizio di merito. Soprattutto in casi storici si richiede un elenco di presunti miracoli recenti che dimostrino come la fama di segni del Servo di Dio non è ferma al tempo del miracolo di cui si tratta. Ad esempio, il miracolo per la canonizzazione di S. Stanisław Kazimierczyk, avvenuto nel 1617, fu suffragato da un copioso dossier di grazie insigni attribuite alla sua intercessione già dal 1489 e, poi, fino al 2008. Ovviamente nell’accertamento di un miracolo antico concorrono altri elementi di giudizio: ad esempio, la guarigione istantanea di una setticemia certificata clinicamente in epoca pre-antibiotica va giudicata con uno sguardo differente rispetto al nostro. Fatti del genere vanno valutati caso per caso.

 

3. CONCLUSIONE

Le parole del Concilio, con cui abbiamo già aperto questo contributo, possono anche aiutarci a concludere. Quando Dei Verbum utilizza il termine “miracolo”, lo fa a proposito dell’autorivelazione di Dio in Cristo: “Perciò Egli (Gesù Cristo), vedendo il quale si vede il Padre, con il fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di Sé, con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua resurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito Santo, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna” (Dei Verbum n. 4).

La bella notizia inscritta nei miracoli è che Dio libera dalla morte eterna e dona la vita vera. Essi sono segno del “non-ancora” che è “già” e, nella nostra debolezza, ci animano e confortano, in cammino verso la pienezza del Regno.

 

Roma, Pontificia Università Lateranense, 11 novembre 2022

 

Mons. Carmelo Pellegrino

Promotore della Fede

 

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[1] Altri termini del NT sono: téras (“prodigio”), érgon (“opera”), thaumásia ("meraviglie"), parádoxa ("cose incredibili"). In At 2,22 Pietro, ai destinatari del discorso pentecostale, proclama Gesù come “uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene”.

[2] Questa duplice citazione del Signore rimanda a due noti fatti biblici. In 1Re 17,7-24 si racconta l’invio divino di Elia presso la vedova di Sarepta, dove egli garantisce il miracoloso nutrimento in tempi di carestia e risuscita l’unico figlio della donna. In 2Re 5,1-27, poi, si narra la purificazione del lebbroso Naaman, comandante dell’esercito di Aram, guarito dal profeta Eliseo.

[3] Lc 5,12-16.17-26.27-32.

[4] Il brano della vedova di Nain (Lc 7,11-17) e quello della peccatrice perdonata (Lc 7,36-50), pur non essendo consecutivi, sono uniti da profondi legami posti intenzionalmente dall’autore: due donne piangono; in questione vi è sempre il riconoscimento di Gesù come “profeta”; si menziona in entrambi il “tocco” che contamina (con un cadavere e con una peccatrice pubblica). In continuità rispetto al moribondo e al morto di Lc 7,1-10.11-17, la donna perdonata di Lc 7,36-50 è morta spiritualmente per la sua condizione di “peccatrice” (Lc 7,37). Infatti, in Lc 9,60, Gesù definirà “morti” i peccatori e nella parabola del figliol prodigo, la metafora del “morto” qualificherà la condizione di peccato del figlio minore (Lc 15,24.32).

[5] Pietro è protagonista nella prima parte di At (cioè nei capp. 1–12), per poi passare il testimone a Paolo nella seconda e conclusiva parte (At 13–28).

[6] Anche il senso di queste guarigioni trascende l’ordine meramente fisico: lo storpio della Porta Bella del Tempio guarito da Pietro è un ebreo, icona del popolo di Israele; lo zoppo di Listra sanato da Paolo è un pagano, immagine del paganesimo raggiunto dal Vangelo.

[7] Nella resurrezione operata da Paolo si menziona un “piano superiore” (da cui casca il giovane) e l’azione miracolosa dell’Apostolo, che si getta sul morto: questi dettagli evocano proprio il miracolo di resurrezione compiuto da Elia in 1Re 17,19.23, nonché un’altra resurrezione, con Eliseo protagonista, in 2Re 4,34.35.

[8] Nella trasmissione di questi fatti può aver agito una certa amplificazione degli eventi, ma non si può negare il nucleo storico: a favore della storicità delle narrazioni giocano il criterio di antichità (sono narrazioni redatte pochi decenni dopo i fatti), di molteplice attestazione (le fonti – persino ebraiche e successive – sono concordi nell'indicare Gesù come taumaturgo), il tono sobrio con cui sono descritti di miracoli di Gesù, talvolta reticente a compierli – come accennato – o severo nell'impedirne la divulgazione.

[9] “Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. 9Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla” (Lc 23,8). Questa radicale distanza posta da Gesù sembra affiorare talvolta nell’atteggiamento di Santi taumaturghi come Padre Pio, che si mostrava refrattario dinanzi a fedeli curiosi e privi di fede sincera.

[10] “E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi” (Mt 13,58).

[11] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 549-550. Tra i segni di Gesù vi sono anche esorcismi con cui egli libera alcuni dal tormento dei demoni. Essi anticipano la grande vittoria di Gesù sul “principe di questo mondo”.

[12] Cfr. DH 2779, 3034, 3876.

[13] Cfr. F. Spedalieri,  De Ecclesiae infallibilitate in canonizatione Sanctorum, Romae 1949

[14]  Benedetto XIV, De servorum beatificatione et beatorum canonizatione  IV, Prato, 1839-1842, vol. 1, 5

[15]  Cfr. Ibid., vol. IV, 5, 3

[16]  Cfr. Ibid.,  IV, 8, 2; vid. IV, 5; IV, 1, 6; IV, 8, 15; IV, 8, 21.

[17] Benedetto XIV, De servorum beatificatione et beatorum canonizatione  IV, 1, 5, 23

[18]  Cfr. Benedetto XIV, De servorum beatificatione et beatorum canonizatione  IV, 1, 5, 21-22

[19]  Cfr. Ibid., IV, 1, 5, 20

[20] I tre tipi di miracoli secondo l’Aquinate sono i seguenti: a) quanto alla sostanza (quoad substantiam) come la trasformazione dell'acqua in vino, "e tali fatti tengono il primo posto fra i miracoli"; b) quanto al soggetto (quoad subiectum), come la resurrezione di un morto, "non per la cosa prodotta, ma per il soggetto in cui viene prodotta", e aggiunge che "questi fatti occupano il secondo posto fra i miracoli"; c) quanto al modo (quoad modum), come una guarigione istantanea "soltanto per il modo e per il procedimento con cui è prodotto" (San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 105, a. 8; cfr. ID., Contra Gentiles, III, c. 101).

[21] Di per sé i miracoli negativi non rientrano in un grado determinato, tuttavia potrebbero essere assimilati a quelli di terzo grado: per esempio, il fatto che una persona cada senza riportare alcun danno non è straordinario a motivo della caduta ma a motivo delle circostanze in cui essa è avvenuta (un'altezza considerevole e un terreno duro). Infatti, le circostanze possono essere considerate in modo analogo a quello impiegato per valutare la modalità (la modalità, quomodo, è una circostanza).

[22] “Talvolta la certezza morale non risulta se non da una quantità di indizi e di prove, che, presi singolarmente, non valgono a fondare una vera certezza, e soltanto nel loro insieme non lasciano più sorgere per un uomo di sano giudizio alcun ragionevole dubbio. Per tal modo non si compie in nessuna guisa un passaggio dalla probabilità alla certezza con una semplice somma di probabilità; il che importerebbe una illegittima transizione da una specie ad un'altra essenzialmente diversa: eis állo génos metábasis; ma si tratta del riconoscimento che la simultanea presenza di tutti questi singoli indizi e prove può avere un sufficiente fondamento soltanto nell'esistenza di una comune sorgente o base, dalla quale derivano: cioè nella obbiettiva verità e realtà. La certezza promana quindi in questo caso dalla saggia applicazione di un principio di assoluta sicurezza e di universale valore, vale a dire del principio della ragione sufficiente. Se dunque nella motivazione della sua sentenza il giudice afferma che le prove addotte, considerate separatamente, non possono dirsi sufficienti, ma, prese unitamente e come abbracciate con un solo sguardo, offrono gli elementi necessari per addivenire ad un sicuro giudizio definitivo, si deve riconoscere che tale argomentazione in massima è giusta e legittima” (dal discorso di Pio XII alla Rota Romana, 1° ottobre 1942).