Prof. Luca Carboni
Archivista - Archivio Apostolico Vaticano
N.B. Si mantiene volutamente il tono discorsivo della presentazione, un testo non pensato originariamente per la divulgazione scritta. Si è intervenuto solo con qualche modifica di forma ma non di contenuto e l’inserimento di note esplicative o di rimando.
È per me un onore presentare il libro di Simona Durante, che fu mia allieva quasi venti anni or sono alla Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica e che oggi è oramai un’affermata collega di lavoro. Ed è un onore ancora più grande presentarla dopo padre Vincenzo Criscuolo: mi piace pensare – dando un senso al nostro lavoro, sull’esempio di padre Potenza – che un filo leghi queste tre generazioni di archivisti al servizio di Santa Romana Chiesa che avete davanti a voi, anche se mi scuso per ridurre la figura di Padre Vincenzo a quella di noi due, io e Simona, semplici archivisti.
Tanti sono gli spunti che mi ha dato la lettura di questo volume.
Innanzi tutto la quantità degli archivi compulsati, vaticani, religiosi e privati, senza contare i singoli fondi archivistici al loro interno. Dagli Archivi Vaticani - perché non esiste solo l’Archivio Vaticano ma gli Archivi Vaticani: Archivio Apostolico; Archivio del Dicastero per le Cause dei Santi; Archivio del Dicastero per la Dottrina della Fede; per passare o meglio partire dall’Archivio generale dell’Ordine dei Carmelitani e poi gli archivi carmelitani “particolari”: quello della Postulazione Generale; quello Conventuale dei Santi Silvestro e Martino ai Monti di Roma; quello Generale delle Carmelitane delle Grazie di Bologna; per giungere ad “archivi minori” e privati: l’Archivio del Conservatorio della SS. Concezione di Roma e la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale (a Bologna), l’Archivio storico dell’Accademia dell’Arcadia (presso la Biblioteca Angelica di Roma).
E nonostante tanto lavoro – quasi 400 pagine di notizie minuziose e dettagliate – questo sguardo su padre Potenza può essere punto di partenza per tanti altri lavori, perché la ricerca dell’archivista sugli archivi non finisce mai, perché le tracce che un uomo ha lasciato nel corso della sua vita si intrecciano a quelle di altri uomini e quindi di altri percorsi che in altri archivi e fondi archivistici troveranno riscontri e nuove piste da seguire.
Qui mi vorrei riallacciare all’importanza della conservazione della memoria, importanza segnalata e ribadita da Padre Serafino nel corso di tutta la sua vita, con i richiami alla cattiva e alla buona conservazione.
A p. 347 ad esempio, quando Potenza si sta occupando di un processo “antico”, quello sul beato Ludovico Morbioli (bolognese, morto nel 1480), giunge notizia di un processo redatto nel 1654/55 dal cardinale Girolamo Boncompagni, citato dal Lambertini, ma non rintracciato. Cito dal testo: «Era andato smarrito. È per questo che Potenza scriveva al Salvi in merito al lavoro degli archivisti e bibliotecari e di quanto fosse necessario che svolgessero tale ruolo nel modo più diligente possibile» e il Potenza arrivava a chiedere la scomunica per chi non ottemperasse alle buone norme sulla tenuta degli archivi «Trattandosi di queste cose si suole ancora essigere la scomunica a tutti gli archivisti, bibliotecari ed altre persone così che hanno scritture del pubblico che private, che facendo diligenza nei loro archivi e in altri luoghi eccetera siano tenuti a darne notizia di tutti i luoghi che di esso si parla, dalle quali notizie, o in questo in altra maniera cavate, se ne formano gli articoli da provarsi colli documenti». Grazie al padre Salvi nel 1749, quasi cento anni dopo la redazione, e otto anni dopo l’inizio delle ricerche, il processo viene ritrovato: «Finalmente si è ritrovato in questo archivio dell’arcivescovo il processo del nostro beato Morbioli con l’occasione di mettersi in ordine».
E questa vera e propria ossessione per l’ordinamento e la tenuta delle carte d’archivio, per permettere la conservazione della memoria e la futura ricerca, ci è rappresentata dalla lettera che gli scrive suor Letizia del Cielo del Monastero del Santissimo Salvatore di Capri (di Suor Serafina di Dio), dove descrive come le monache diligentemente tengono in appositi libri i dati per la storia del monastero e per quella delle singole monache. Siamo nel 1736, cfr. p. 245:
«Noi tenemo nel nostro archivio tutti li libri che vostra paternità c’insegna, libri legati in foglio che nel primo libro sta scritta tutta l’istoria della fondazione et altri successi e progressi del monastero. Nel 2° libro si noteno tutte le monache sotto converse et educande, in alfabeto con li loro nomi, patria, età e nomi dei loro genitori. Nel 3° libro si scrive il giorno et anno che si prende l’abito e chi la vestiva e sotto la sua solenne oblazione e doppo nel medesimo luogo e si fu priora anco si nota. Nel 4° libro si fa Plateo di tutti i beni stabili che possiede il monastero. Nel 5° libro si fa Platea di tutti l’avvenimenti et annue entrate che possiede il monastero. Nel 6° librone si scrive tutto quello che si esige e nome delli debitori e procuratori con le loro firme e sigilli. Nel 7° libro si registrano le cappellanie il nome del cappellano e chi le lasciò dette cappellanie e legati. Nel 8° libro si è scritta la fabbrica con tutte le elemosine che si sono ricevute, come anco le soppellette donate alla chiesa. Nel 9° libro si scriveno tutte l’elemosine di robbe comestibile che si ricevono da devoti. Di più, ogni priora fa il suo libro a parte, dove nota tutto quello che esige nel suo triennio e la spesa cotidiana che fa acciò, poi, finito il priorato si presentano li conti per ricevere dal vescovo e suo vicario il decreto et assoluzione. Abbiamo fatto di più, un libro grande legato in foglio, dove sono scritte minuto l’altre sei fondazioni fatte dalla venerabile madre Serafina di Dio, con un racconto nel fine delle sue virtù. Le fedi, poi, di battesimo, cresima e matrimonio della madre, di ciascuna religiosa si tennero affasciate in archivio con la fede del capitolo della monacazione e professione»
Siamo, dicevo, nel 1736 ed è importante segnalare come solo pochi anni prima Benedetto XIII – il “papa archivista” come lo definì Ermanno Loevinson, archivista tedesco naturalizzato italiano, rastrellato al ghetto di Roma e vittima della Shoah, in un suo articolo del 1916[1] – avesse emanato la Costituzione apostolica Maxima Vigilantia (14 giugno 1727), che estendeva a tutti gli archivi ecclesiastici quanto prescritto due anni prima nel Concilio Romano del 1725 sulla tenuta degli archivi diocesani. Prescriveva a tutti gli Ordinari, ai capitoli, ai superiori maggiori d’Italia di erigere un proprio archivio «in loco apto» e di provvederlo di un archivista, di redigere l’inventario-catalogo generale in duplice copia da autenticare, di aggiornarlo ogni anno nel mese di gennaio, la custodia del locale con chiusura a chiave, il dovere dei vescovi e dei visitatori ordinari di ispezionare l’archivio, il divieto di estrarre documentazione senza autorizzazione superiore (e solo per un tempo limitato), con una famosa Istruzione in italiano per le scritture da riporsi e conservarsi in tutti gli archivi. Con la Maxima Vigilantia, il tradizionale interesse legale e patrimoniale delle carte venne connesso con la finalità religiosa dei beni della Chiesa. L’ordinata scrittura, il deposito e la conservazione degli atti, presupponeva e attestava nel corpo ecclesiale (secolare e religioso) italiano, il conseguimento di una nuova consapevolezza relativamente alla continuità e all’incidenza della propria e altrui azione pastorale nella circoscrizione ecclesiastica. In sette paragrafi l’Istruzione allegata conteneva le serie di scritture che dovevano essere conservate negli archivi vescovili, capitolari, delle collegiate, dei seminari, delle congregazioni, delle confraternite, ospedali, luoghi pii, conventi e monasteri, parrocchie... Il paragrafo I indicava le otto serie di scritture dalle tavole di fondazione ai carteggi delle cause dibattute nei tribunali da conservarsi in tutti gli archivi ecclesiastici; il paragrafo II indicava le trentotto serie specifiche per gli archivi dei vescovi con giurisdizione (in cui comunque si riprendeva il Catalogo del 1725 con lo schema di riferimento alle persone, luoghi sacri, cose sacre e cause civili e criminali); il paragrafo III le serie per gli archivi delle collegiate e dei capitoli cattedrali; il paragrafo IV quelle per le chiese parrocchiali; il paragrafo V quelle per i monasteri e i conventi; il paragrafo VI quelle per i monasteri femminili e i conservatori annessi; il paragrafo VII quelle per le confraternite. Per quel che ci riguarda il paragrafo VI recitava[2]:
Scritture particolari da riporsi, e conservarsi in tutti gl’Archivj de’ Monasteri di Monache, e de’ Conservatorj, oltre alle sudette nel §. I.
1. La Fondazione del Monastero, e il Decreto della Sagra Congregazione, o Breve Apostolico per la Clausura.
2. L’Esemplare delle Regole, e Statuti di esso Monastero.
3. Lo Stato del Monastero, e la prefissione del numero delle Monache, e Converse, fatto dall’ordinario secondo il Sagro Concilio di Trento ‘ con la Dote delle Monache numerarie.
4. Un Libro, nel quale si registri l’ingresso delle Novizie, e le Professioni delle medesime.
5. Le Professioni originali delle Monache da conservarsi diligentemente.
6. Un Libro delle Risoluzioni Capitolari.
Padre Potenza quindi non solo come esecutore/ricettore di quanto stabilito da Benedetto XIII, ma come “figura esemplare”/specchio (forse anche precursore) dell’atmosfera archivistica dell’epoca. E non mi soffermo sull’importanza da lui attribuita alla ricerca storica rigorosa basata sulle fonti – sulla quale si è soffermato padre Criscuolo prima di me – che lo pose all’avanguardia per il periodo storico, ma che gli procurò anche molti nemici, più attenti alla “politica” dei tempi, che alla ricerca del vero (i politici sono, scrive il Potenza al Salvi, «la più perniciosa setta che sia in questo mondo»).
Per continuare sugli spunti offerti dalla lettura del volume della Durante, mi piace riannodarmi a Eugenio Casanova, il padre dell’archivistica italiana (e non solo) del Novecento. Quando Armando Lodolini ne traccia un profilo dopo la morte (avvenuta nel 1951), lo ricorda anche, oltre che come archivista, come esponente di quella che chiama “ricerca archivistica sociale” che, cito testualmente[3]:
«ci dà degli archivi, più che il cimelio prezioso e il pezzo da museo, il contenuto che riguarda un gruppo, un ceto, un periodo, il dato sociale in una parola” [cfr. Armando Lodolini, Pensiero e stile di Eugenio Casanova, in «Notizie degli Archivi di Stato», 13/1 (1953), pp. 8-15: 12] con un attenzione particolare per gli uomini che vissero senza nome e pur crearono le Amministrazioni e gli Stati, i semplici funzionari dello Stato: “La vita degli uomini che non fecero parlare di sé, non è meno interessante di quella dei personaggi, che furono gli attori evidenti dei fatti loro contemporanei; né meno di questa contribuisce a compiere l’idea, che ci formiamo, della società e degli anni, a’ quali appartennero”» [cfr. Ibid. p. 10]; con un’attenzione particolare «alle anonime quasi senza eccezioni, le donne» [cfr. Ibid., p. 11]
Ed ecco i due richiami che ritrovo nel testo della Durante:
il primo quello del semplice funzionario dello Stato, a cui mi piace mettere in parallelo (sostituendo allo Stato, l’Ordine Religioso e la Curia Romana) il ruolo e la vita di padre Potenza. Se le sue cause non ebbero, lui in vita, il successo sperato, il suo lavoro non è perduto, ma resta e dà frutto nelle persone che gli succedono (nel ruolo nell’Ordine e in Curia Romana); la sua apparente “sconfitta” in vita, ritrova un senso in coloro che riutilizzano il suo lavoro ma anche solo il suo esempio decenni e secoli dopo. E questa visione dà anche un senso al nostro lavoro di archivisti/funzionari/impiegati a servizio di Santa Romana Chiesa o del nostro Ordine. Qui ritrovo quel “fil rouge” che mi lega a padre Vincenzo Criscuolo e a Simona Durante, come dicevo all’inizio, e che lega padre Potenza a voi Carmelitani, al direttore generale dell’archivio, padre Mario Alfarano, all’archivista Simona Serci e alla postulatrice generale dell’Ordine Giovanna Brizi, passando per il nome e la vita di un grande archivista ecclesiastico che, credo, impregni questi luoghi, il nome di Emanuele Boaga.
Il secondo richiamo è quello dell’attenzione particolare alle “anonime quasi senza eccezioni, le donne”. La parte forse più coinvolgente del libro di Simona è quella relativa ai quinterni dedicati alle penitenti di padre Serafino: la penitente romana Angela Casari (per gli anni 1733-1745), cfr. le pp. 32-54 e la penitente e pellegrina slovena Maria Chedca (per l’anno 1735, con notizie dei suoi pellegrinaggi), cfr. pp. 55-61. Qui la Durante apre tutto un capitolo sulla storia della devozione femminile nel Settecento, sulla scrittura delle donne, sui conservatori, e sulla realtà che Giancarlo Rocca chiama realtà cosiddette ‘semi-religiose’, di quelle donne, cioè, che facevano vita comune senza emettere i voti, per poi estendersi alle grandi “fondatrici” con le storie di Serafina di Dio (da Capri, dal monastero del Santissimo Salvatore) e di Rosa Maria Serio (dalla Puglia), cfr. capitoli V e VI, pp. 221-304.
Se i quinterni danno voce a chi non ne avrebbe mai avuta e lasciano una flebile traccia, un ricordo, di vite altrimenti ignote – e sarebbe bellissimo che la Durante o qualche altro ricercatore si dedicassero a scoprire altri legami in altri archivi delle due penitenti potenziane: la storia della pellegrina slovena è veramente particolare –, è significativo che per le due mistiche carmelitane, famose in vita e ancora nella memoria, vi sia stata una sorta di tentativo di damnatio memoriae, come se le donne non potessero alzarsi alla dignità dei padri fondatori, per la mistica poi, sempre più di un dubbio metteva il Santo Officio (e questo marchio del dubbio le ha segnate, per gli esiti processuali, ancora ai nostri giorni).
E, sempre per l’attenzione veramente all’avanguardia, per la storia intellettuale e spirituale femminile da parte di padre Serafino Maria Potenza, è interessante segnalare tra le sue opere mai giunte a conclusione, quella di una innovativa “Biblioteca delle donne” che doveva essere una raccolta di scritture femminili. Potenza ha il merito di essere tra i primi a dare risalto alle donne “intellettuali” del suo Ordine (cfr. pp. 88-90) e di scoprire, come scrive la Durante un “tesoro nascosto nell’Ordine” (penso a quanto potranno “rubare” da questo libro e dalle carte di Potenza gli storici e ricercatori della scrittura femminile in età moderna e tutto il filone di studi sulla storia della pietà).
Un ultimo spunto lo traggo dal rapporto di amicizia tra padre Serafino e padre Ferdinando Salvi, scavando nel loro epistolario tra Roma e Bologna, l’amicizia come luogo di salvezza (si veda a p. 165 una lettera di Salvi del 1736, in cui padre Ferdinando rammenta a padre Serafino un patto che avevano stretto ben 16 anni prima: “Ricordarsi scambievolmente a Dio nella Santa Messa cotidianamente”). In un mondo odierno di solitudini: in un mondo ecclesiale – penso a quello vaticano – dove spesso il “lavoro” va a scapito della vita pastorale e comunitaria, rischiando solitudine e in un mondo della comunicazione fatto oggi di mail, sms e whatsapp, mi torna alla memoria un mondo, non troppo lontano – è anche quello della mia/nostra giovinezza – dove si scrivevano ancora le lettere a mano, e si doveva perdere del tempo per comunicare con l’altro. E a proposito di quanta vita può uscire da una lettera, si veda quanta dolcezza può ricavarsi da un post scriptum (cfr. a p. 207):
«del restante denaro, fatto il complimento al padre archiviario di Traspontina per le diligenze promesse praticate a favore della nostra provincia [si sta parlando della riforma siciliana di Santa Maria Scala del Paradiso], se ne potrà liberamente servire, per comprarsene tanta cioccolata e prendersela per amor nostro».
Qui mi fermo, molti sarebbero gli altri spunti, gli incontri e le vicissitudini del personaggio. Il compito di un archivista è quello di permettere che dalla polvere delle scaffalature colme di carte e pergamene torni per un attimo in vita il residuo della memoria del nostro passato, e l’autrice di questo volume con perizia e, permettetemi di aggiungere un termine “poco scientifico”, con sentimento, è riuscita a “far rivivere” le carte. L’archivio e i documenti in esso conservati non sono un “luogo” e un “fatto” statici. Un documento d’archivio può essere letto nel tempo con occhi diversi e sotto diversi punti di vista (cambiano le mode storiografiche, cambiano i fruitori delle ricerche), proprio per questo l’archivio è senza tempo, ognuno di noi può, partendo da una singola nota, partire per lidi lontani, diversi a secondo della cultura, della memoria, dell’esperienza e delle passioni di ognuno di noi. Grazie dunque a Simona Durante per avermi invitato e per avermi permesso di viaggiare insieme a lei tra carte, luoghi e vite del passato. Il suo lavoro serve a ribadire ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, come l’archivista ben lungi dall’essere quell’animaletto innocuo e benefico di crociana memoria, ha il compito di costruire un ponte tra tempi e luoghi lontani, spiegando la complessità degli archivi, esplicitandone lacune e presenze, sedimentazioni, contestualizzando la loro documentazione, rendendo gli archivi qualcosa di più di “bianche e tacite case dei morti”[4], per consentire allo storico di attraversare quel ponte con sguardo consapevole sul prezioso, durevole valore della testimonianza delle carte, sottratte all’oblio della memoria.
Grazie per l’attenzione, mi complimento ancora con la collega Simona Durante e con il Centro Internazionale Sant’Alberto e l’Ordine Carmelitano per aver promosso e incoraggiato lavori di tal fatta.
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[1] cfr. Ermanno Loevinson, La costituzione di papa Benedetto XIII sugli archivi ecclesiastici: un papa archivista, in «Gli Archivi Italiani», 3 (1916), pp. 159-296
[2] cfr. Enchiridion Archivorum Ecclesiasticorum, Città del Vaticano 1966, p. 336
[3] cfr. Armando Lodolini, Pensiero e stile di Eugenio Casanova, in «Notizie degli Archivi di Stato», 13/1 (1953), pp. 8-15, in particolare il virgolettato rispettivamente alle pp. 12, 10, 11.
[4] cfr. Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari 1920, (seconda ediz. riveduta), p. 16.