I culti ab immemorabili
La mia relazione che si intitola “I culti ab immemorabili”, chiama in causa inevitabilmente i culti antichi disciplinati da papa Urbano VIII tramite i suoi decreti[1], confluiti nella Costituzione Apostolica Caelestis Hierusalem Cives, del 5 luglio 1634[2].
Urbano VIII, infatti, per evitare culti indebiti, con i decreti citati, proibì il culto di coloro che non fossero stati beatificati o canonizzati dalla Sede Apostolica, prevedendo, però, alcune eccezioni. Si riconosceva il culto come lecito a tutti coloro che, pur non essendo stati beatificati o canonizzati dalla Santa Sede, “erano venerati o per il comune consenso della Chiesa, o per un corso immemorabile di tempo, o in base agli scritti dei padri e di uomini santi, oppure finalmente con la conoscenza per lunghissimo tempo e la tolleranza da parte della Sede Apostolica o dell’ordinario”[3].
A questi si aggiunsero altri due titoli di legittimità: che il culto fosse stato tributato in base ad un indulto dei sommi pontefici, oppure con il permesso della Sacra Congregazione dei Riti[4].
Pertanto, in vista della canonizzazione di candidati antichi, si poteva procedere seguendo la via del non culto, che era la via ordinaria, oppure seguendo la via del culto, che rappresentava l’eccezione limitata ai casi sopradescritti[5].
Con la prima via si doveva dimostrare, tramite una positio super non cultu, che non si era di fronte a culto indebito; con la seconda mediante una positio super cultu (o super casu excepto) si doveva provare l’esistenza di un culto lecito, perché previsto da una o più eccezioni.
Se le prove erano valide, la Sacra Congregazione dei Riti, cioè la Sede Apostolica, emetteva nel primo caso un decreto sulla non esistenza di un culto indebito, nel secondo un decreto di conferma di culto lecito, ratificato dal pontefice, perché rientrante nelle fattispecie previste da Urbano VIII. In quest’ultimo caso si riconosceva e si confermava di essere dinanzi ad un antico beato. Al candidato -ufficialmente confermato come beato- si apriva la prospettiva della canonizzazione, per essere eventualmente riconosciuto come santo.
Poteva, però, succedere che per vari motivi nessuno fosse interessato a che un beato antico, pur rientrante tra le eccezioni, arrivasse alla canonizzazione. A questo punto, poteva verificarsi la possibilità che nessuno richiedesse il riconoscimento formale alla Sacra Congregazione dei Riti. La situazione prospettava il dubbio se, in mancanza dell’approvazione ufficiale, il culto tributato al beato antico fosse da rimuovere. Assolutamente no, sosteneva Prospero Lambertini, il Magister nelle Cause dei Santi; questo rimaneva beato e pertanto si poteva lecitamente venerare a livello locale[6]. Inoltre, poteva accadere che l’Ordinario richiedesse per l’antico beato direttamente l’approvazione dell’ufficio e della messa in suo onore, se questi già si celebravano da tempo immemorabile. Tale concessione rappresentava essa stessa una conferma di culto[7].
Per affrontare l’argomento relativo al culto ab immemorabili, dunque, si intuisce che non si può trascurare il concetto di “conferma di culto”, con cui si intende che l’antico culto tributato ad un “antico beato” è stato confermato dalla Santa Sede, cioè dal papa, sulla base del lavoro di studio svolto dalla Sacra Congregazione dei Riti. Conferma di culto funzionale alla sua canonizzazione.
I decreti di Urbano VIII furono codificati nel Codice di diritto canonico del 1917[8]. È pur vero che, prima dello stesso, diversi furono gli interventi atti a chiarire ed ad affinare la normativa urbaniana, che può essere ben compresa e approfondita leggendo l’opera del Magister, papa Benedetto XIV[9].
Ma da un punto di vista temporale cosa si intende per culti antichi?
Urbano VIII stabilì per antico quel culto tributato ad un servo di Dio morto in odore di santità e venerato ab immemorabili tempore e precisamente da almeno 100 anni prima dell’emanazione della sua Caelestis Hierusalem Cives.
Vale la pena osservare che il Codice del 1917 e precisamente al 1° comma del canone 2125, definisce l’intervallo temporale di antichità, finalizzato al riconoscimento del culto, stabilendolo tra la fine del pontificato di Alessandro III, morto il 30 agosto 1181[10], e 100 anni prima del 5 luglio 1634, data di promulgazione della suddetta Costituzione apostolica.
È probabile che il Codice recepisse la tradizione della Chiesa, che storicamente riconosceva in Alessandro III il papa che riservò al pontefice l’esclusività nella trattazione delle procedure di beatificazione e di canonizzazione. Gregorio IX, infatti, nelle sue decretali del 1234[11], fa riferimento proprio ad Alessandro III e al suo Audivimus, per fissare l’argomento e far sì che il decreto del suo predecessore acquisisse forza di legge per la Chiesa Universale[12].
Di fatto, la procedura della “conferma di culto”, che si concentrava esclusivamente sulla prova dell’esistenza dell’antico culto tributato al candidato alla canonizzazione, rimase nella sostanza invariata fino al 1983. Benedetto XIV certamente aveva approfondito i decreti di Urbano VIII e, nell’approfondire i singoli casi, ne aveva facilitato l’applicazione. Pio X, poi, con il decreto Cum in agendis[13] aveva ribadito canonicamente la procedura da seguire nei casi eccettuati e, finalmente, nel 1983 Giovanni Paolo II, con la sua Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister[14], gettò le basi per fissare la medesima procedura, in modo definitivo.
La Costituzione apostolica del 1983 è la fonte normativa dalla quale il Dicastero delle Cause dei Santi trae il fondamento per emanare le norme peculiari, disciplinanti lo svolgimento delle inchieste diocesane o eparchiali, che riguardano la vita, le virtù e la fama di santità e di segni, oppure la vita, il martirio e la fama di martirio e di segni dei servi di Dio, ed i presunti miracoli attribuiti all’intercessione dei beati e dei servi di Dio, ed eventualmente il culto antico di un servo di Dio[15]. Si tratta delle Normae Servandae in Inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum del 7 febbraio 1983[16], e poi della istruzione Sanctorum Mater del 2007[17], che regolamentò più dettagliatamente anche i processi delle Cause relative a culti ab immemorabili. In particolare, si stabilì che, oltre a dimostrare che ad un candidato alla canonizzazione venisse tributato un culto ab immemorabili tempore, bisognava altresì verificare che il servo di Dio avesse esercitato le virtù in modo eroico. Fino a questo momento, infatti, nello studio dei casi eccettuati, si era fatto solo accenno alle virtù in genere, ma non si era mai entrati nel contesto delle virtù in specie. Si consolidava così il concetto che -in vista della canonizzazione- il semplice riconoscimento del culto non fosse più sufficiente per confermare come beato un antico candidato alla canonizzazione[18]. L’Istruzione, infatti, è chiara quando sostiene all’art. 34: “Qualora sia stato pubblicato il decreto di conferma di culto dell’antico Beato, come è accaduto nel passato, senza la previa dimostrazione delle virtù eroiche o del martirio, in vista della canonizzazione il vescovo procede all’istruzione dell’inchiesta sulla vita e sulle virtù eroiche o sul martirio, seguendo la procedura stabilita dalle Normae Servandae[19] per le Cause antiche”[20]. Inoltre, specifica all’art. 35: “Promulgato il decreto sulla conferma di culto e sulle virtù eroiche o sul martirio del Beato, si procede alla canonizzazione con l’approvazione di un miracolo, avvenuto dopo la conferma di culto”[21].
Ma entriamo nel dettaglio. Cosa cambiò effettivamente nel 1983?
La prima positio di un “antico beato” elaborata dopo il 1983 fu quella super fama sanctitatis virtutibus et cultu ab immemorabili praestito di Juan Diego, veggente della Madonna di Guadalupe[22] (†1548), del 1989[23]. Come si desume fin dal titolo, le virtù hanno un posto di primo piano. Ad esse è dedicato un paragrafo della Informatio[24] del relatore generale, mons. Giovanni Papa[25] e un intero capitolo, di 24 pagine, del Summarium, dove le varie virtù sono chiaramente identificate una per una[26]. Esse sono riprese e valutate sulla base delle testimonianze raccolte tra i secoli XVII-XX[27].
Con questi approfondimenti, il 9 aprile del 1990 la Congregazione emetteva il decreto, con il quale riconosceva la santità di vita e “de peculiari culto” del servo di Dio[28]. A questo punto, previa approvazione del miracolo si poteva procedere alla canonizzazione.
Il secondo caso preso in esame dal dicastero è quello di Giovanni Duns Scoto (†1308)[29], per il quale, sempre nel 1989, fu elaborata la Positio super cultu ab immemorabili praestito. Sebbene le virtù scompaiano dal titolo del dossier, di fatto il loro studio è oggetto di attenta analisi. Basta sfogliare la positio, per vedere che l’esercizio delle virtù è trattato, come nel caso di san Juan, nel Summarium[30] e approfondito nella parte dedicata ai documenti e agli scritti, sintetizzati nel capitolo “Le virtù cristiane nel pensiero di Duns Scoto”[31]. In questo caso, infatti, come chiarito da un voto dei consultori storici per provare le virtù in specie, la positio si concentra sulla valutazione delle riflessioni personali del candidato, ricostruendo “il suo pensiero teologico circa ogni singola virtù”[32].
L’imponente lavoro di studio portò finalmente al decreto del 6 luglio 1991[33], con il quale si riconosceva la fama di santità di vita e di virtù del servo di Dio ed il culto ab immemorabili tempore. Il beato si avviava così verso la canonizzazione.
Da un punto di vista procedurale, si seguirono gli stessi criteri, per riconoscere il culto ab immemorabili di Stanislao Kazimierz[34], iter terminato con il decreto del 21 dicembre 1992[35].
Del 2001 è la Positio super virtutibus et super cultu ab immemorabili praestito di Giovanni Tavelli da Tossignano (†1446)[36]. Questa, dopo l’Informatio del relatore, padre Ambrogio Eszer, come per le positiones già analizzate, presenta un Summarium di sei capitoli: il primo sul valore ecclesiale e sulla spiritualità del beato, il secondo sulla vita, il terzo sulle virtù eroiche in genere, il quarto su quelle in specie, il quinto sulla fama di santità e dei miracoli e l’ultimo sul culto ab immemorabili. Segue l’apparato documentario, poi i voti dei censori teologi sui documenti antichi e, infine, quelli dei consultori storici. Così redatta, la positio passa allo studio dei consultori teologi. Superato lo scoglio dei consultori teologi, la Causa ottenne il decreto sulle virtù eroiche il 23 gennaio 2020[37]. Sebbene la positio si occupasse ovviamente anche della fama di santità e del culto ab immemorabili, il decreto sancisce solo l’eroicità delle virtù. Il culto lecito, infatti, era stato riconosciuto fin dal XVIII secolo, attraverso l’approvazione dell’ufficio e della messa, recitati ab immemorabili e confermati in diversi periodi e per diverse diocesi[38].
Nel 2015 è stata stampata la Positio super vita, virtutibus, fama sanctitatis et signorum nec non cultu ab immemorabili tempore praestito[39] di Bernardo di Baden (†1458). Essa, come le ultime citate, è finalizzata alla canonizzazione del beato e si basa sul processo ordinario super fama sanctitatis et cultu immemorabili celebrato a Torino tra il 1767 e il 1768; e l’Inchiesta sulle virtù nelle diocesi di Friburgo e Torino, avvenuta tra il 2011-2014[40]. L’Inchiesta diocesana era volta principalmente ad appurare l’esercizio eroico delle singole virtù. L’interrogatorio del promotore di giustizia riservava numerose domande da sottoporre agli esaminati, che riguardavano proprio le virtù. Lo stesso interrogatorio (e di conseguenza la positio), poi, era destinato a dimostrare la continuità della fama di santità e del culto, già confermato il 16 settembre 1769[41]. Alla fine dell’iter di studio relativo alla vita, alle virtù e al culto immemorabile, anche Bernardo di Baden si vedeva riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù, con decreto dell’8 novembre 2017[42].
In questo stesso anno fu data alle stampe la Positio super vita, virtutibus, fama sanctitatis et signorum nec non cultu ab immemorabili tempore praestito[43] di Michele Giedrojć (†1485).
La peculiarità di questa positio, tra le ultime elaborate dalla Congregazione delle Cause dei Santi sul culto ab immemorabili, consiste nel fatto che, nel corso dei secoli, questa Causa non aveva mai affrontato prima una procedura canonica per ottenere la conferma di culto immemorabile o la concessione di officio e messa risalenti all’antichità. Il candidato alla canonizzazione era semplicemente noto come beatus nuncupatus[44]. La positio, infatti, oltre ad avere lo scopo di presentare la sua biografia, dimostrare l’esercizio eroico delle virtù, la fama di santità e di segni goduta in vita e dopo la morte fino ai nostri giorni, aveva come precipua finalità quella di provare, in modo documentato, il culto a lui tributato dal popolo cristiano da tempo immemorabile, dimostrato e approvato il quale, la suprema autorità della Chiesa avrebbe annoverato Michele Giedrojć tra i beati, con tutti gli onori riservati a questa categoria (beatificazione equipollente)[45].
L’istituto della beatificazione equipollente, che trae le sue origini dai decreti di Urbano VIII, viene per la prima volta definito ufficialmente da Benedetto XIV[46]. Attraverso tale procedura e in particolare con l’emanazione del Decretum super virtutibus necnon cultu ab immemorabili tempore praestito del 7 novembre 2018[47], il titolo di beato già attribuito al Giedrojć, da tempi lontanissimi dal popolo cristiano, veniva pubblicamente e definitivamente riconosciuto anche dalla Sede Apostolica.
Attualmente il Dicastero delle Cause dei Santi sta studiando - tra altri - la vita, le virtù, la fama di santità e il culto tributato da tempo immemorabile di padre Gabriele Maria (al secolo: Gilberto Nicolas) (†1532), dell’Ordine dei Frati Minori. La procedura è la medesima degli ultimi casi analizzati.
In conclusione, nell’attribuzione del titolo di beato ad un candidato alla canonizzazione e venerato dal popolo di Dio da tempi immemorabili, dalle norme di Urbano VIII ai nostri giorni non vi è soluzione di continuità. Ciò che si osserva, però, è una certa rilassatezza della procedura canonica nello studio dei “casi eccettuati” e dell’istituto della conferma di culto, soprattutto a discapito dell’approfondimento delle virtù esercitate dall’antico beato, in particolare delle virtù in specie. Rilassatezza individuabile da un determinato periodo fino al 1983. Dopo Benedetto XIV e fino a Giovanni Paolo II, nonostante il tentativo di Pio X di arginare il fenomeno, si è assistito ad un aumento esponenziale di richiesta di conferme di culto dalla “più facile procedura”. Ne è dimostrazione il “Fondo Z Conferme di culto o Casus excepti”, custodito nell’Archivio del Dicastero delle Cause dei Santi, che conserva circa 240 fascicoli, prodotti durante il XIX secolo e principalmente tra il 1825 e il 1899.
In questo periodo, infatti, per essere riconosciuto ufficialmente beato, di prassi e non in punta di diritto, si è proceduto alla “beatificazione equipollente”, per dirla con il Lambertini, appurando l’antichità del culto, ma trascurando di dimostrare, attraverso lo studio approfondito dei documenti antichi, l’esercizio eroico delle virtù. Ciò, forse, perché si dava per scontato che un beato antico, per essere considerato tale (vox populi, da padri della chiesa o dal vescovo della diocesi dove veniva venerato o per indulto del pontefice), avesse esercitato naturalmente le virtù in modo eroico.
Volendo sintetizzare la procedura che attualmente si persegue, si può fare un’ultima osservazione. Assodato che il riconoscimento del culto ab immemorabili non è sufficiente per procedere alla canonizzazione, ma è necessario il riconoscimento delle virtù eroiche, come nei casi presentati, o del martirio o dell’offerta della vita[48] (se ci troviamo di fronte a cause che procedono per queste ultime vie) si può riassumere che oggi, in presenza di un “antico beato”, nel rispetto della Sanctorum Mater[49] (artt. 33-37) si possono evidenziare due vie procedurali per giungere ad una beatificazione equipollente, a seconda della presenza o meno di un decreto di conferma di culto. In assenza del decreto, il culto viene riconosciuto nello stesso momento in cui vengono provati o l’esercizio eroico delle virtù o il martirio, secondo le norme Norme Servandae per le Cause antiche[50] (art. 33 della SM). In questo caso, con un unico documento, vengono riconosciute le virtù eroiche (o il martirio) e il cultu ab immemorabili tempore. In tal modo, l’antico candidato alla canonizzazione è considerato “beato” a tutti gli effetti e si può procedere ad ulteriora. La pubblicazione del decreto, approvato necessariamente dal Santo Padre, esaurisce la procedura e rende quindi superfluo qualsiasi altro atto giuridico o liturgico, a differenza dei beati ordinari che hanno bisogno di una cerimonia (beatificazione) presieduta dal papa o da un suo delegato.
Nell’altro caso, cioè quando è stato pubblicato un decreto di conferma di culto senza previa dimostrazione del martirio o dell’eroicità delle virtù, occorre procedere con l’istruzione di un’inchiesta diocesana, atta a dimostrare la loro esistenza, secondo i dettami delle stesse Norme Servandae per le Cause antiche[51] (art. 34 della SM). In questo caso, emesso il decreto sulle virtù o sul martirio, previa approvazione del miracolo, si procede alla canonizzazione.
Prima di concludere, merita un breve cenno un caso particolare, preso in considerazione dalla Congregazione delle Cause dei Santi dopo il 1983: la Redintegratio cultus di san Meinardo.
La vita esemplare di san Meinardo (†1196), missionario e primo vescovo di Livonia e Lettonia, la fama di santità e l’antichità del culto a lui tributato, sono testimoniate dalle cronache a lui contemporanee e successive. Il suo culto post mortem durò a lungo, ma si interruppe (o rimase occulto) in occasione della “quasi completa protestantizzazione della Lettonia nel XVI secolo”[52], riprendendo forza solo nel XX secolo. D’altronde, poiché non si conosceva un atto papale per la sua beatificazione o canonizzazione, l’arcivescovo di Riga, mons. Janis Pujats, nel febbraio del 1993 chiese al papa il ripristino del culto a san Meinardo, il cui corpo riposa proprio nella cattedrale di Riga. Interpellata, la Congregazione delle Cause dei Santi, dopo approfonditi studi, si espresse in favore di un ripristino del culto, come, infatti, avvenne in occasione del viaggio apostolico di Giovanni Paolo II in Lituania e Lettonia. Con l’omelia dell’8 settembre 1993[53], tenuta nella capitale della Lettonia, il papa ristabilì formalmente e pubblicamente il culto a san Meinardo.
La procedura che esige l’approvazione delle virtù prima di procedere alla canonizzazione non solo contribuisce alla promozione della santità, ma anche alla conoscenza della storia della Chiesa, riflessa nella vita dei Santi.
Roma, Pontificia Università Lateranense, 11 novembre 2022
Simona Durante
Archivista del Dicastero
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[1] I decreti emanati da Urbano VIII tra il 1624 e il 1634, compresa la Costituzione apostolica Caelestis Hierusalem cives sono raccolti, nel volume Urbani VIII, Pontificis Optimi Maximi Decreta Servanda in Canonizatione et Beatificatione Sanctorum. Accedunt Instructiones et Declarationes quas Eminentissimi et Reverendissimi S. R. E. Cardinales Praesulesque Romanae Curiae ad id muneris congregati ex eiusdem Summi Pontificis mandato condiderunt, ex Typographia Rev. Cam. Apost., Roma 1642. Essi sono tradotti nell’ultima edizione curata da Vincenzo Criscuolo di Benedetto XIV (Prospero Lambertini), De beatificatione servorum Dei et beatorum canonizatione / La Beatificazione dei servi di Dio e la canonizzazione dei beati, Voll. I – IV /2, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010-2020, precisamente nel Vol. II/2, pp. 499-555. Urbano VIII, a solo un anno dalla sua elezione (1623), cominciò ad occuparsi della questione del culto e a mettere ordine nelle procedure di canonizzazione. I suoi primi interventi furono cristallizzati nei decreti del 13 marzo e del 2 ottobre del 1625 emanati dall’Inquisizione e nell’ultima disposizione datata 27 maggio 1631. Quest’ultimo decreto fu emanato dalla Sacra Congregazione dei Riti (d’ora in poi SCR). Il decreto fu inviato a tutte le diocesi perché recepissero “il modo dovrà da hor’inanzi tenersi in occasioni di far diligenze et esami sopra la vita di persone, che con opinioni o fama di santità passano dalla presente vita”, così come scriveva il vescovo di Santa Severina, mons. Fausto Caffarelli, al cardinal Carlo Emanuele Pio di Savoia, prefetto della SCR, il 20 luglio 1631, (cfr Archivio del Dicastero delle Cause dei Santi, (d’ora in poi ADCS), Fondo R 504, Decreta, dove si conservano 72 lettere di risposta al prefetto). L’argomento fu nuovamente trattato nel 1640, quando in seno alla SCR fu istituita una Commissione di cardinali e prelati atta, alla luce delle nuove esperienze, a revisionare le norme esistenti e ad approntare una nuova legislazione, che fu approvata dal Pontefice il 12 marzo 1642 e che fu pubblicata nel volume Decreta Servanda in canonizatione et beatificatione Sanctorum, sopra citato. Si veda anche Vincenzo Criscuolo, Evoluzione storica delle procedure, in Le Cause dei Santi, LEV, Città del Vaticano, 2018, pp. 210-224; Fabijan Veraja, La beatificazione. Storia problemi prospettive, Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, Roma 1983, pp. 69-71. Sulla commissione di studio che produsse i decreti di Urbano VIII e la sua Costituzione Apostolica del 1634, Miguel Gotor, I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Leo O. S. Olschki, Firenze 2002. Sull’Istituto della beatificazione si veda ancora Gaetano Stano, Il rito della beatificazione da Alessandro VII ai nostri giorni, in Miscellanea in occasione del IV Centenario della Congregazione per le Cause dei Santi (1588- 1988), Città del Vaticano 1988, pp. 367-422. Giovanni Papa, Le cause di canonizzazione nel primo periodo della Congregazione dei Riti (1588-1634), Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2001; Hieronim Fokciński, Confirmatio Cultus, alcune osservazioni in occasione della pubblicazione dell’index ac status causarum, quindicesima edizione in Apollinaris, 3, LXXVI (2003), 1-2, pp. 543-559; José Luis Gutiérrez, Nuovi studi sulle cause di canonizzazione, Giuffrè, Milano 2022, pp. 197 e ss.
[2] Caelestis Hierusalem Cives, in Bullarium Romanum, Tomo XIV (1628-1639), Torino 1868, pp. 436-440.
[3] Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, Vol. II/1, pp. 297-298.
[4] Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, Vol. II/2, p. 517. Sull’argomento si veda anche Fabijan Veraja, La beatificazione. Storia problemi prospettive, Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, Roma 1983, pp. 73-74 e pp. 84-85.
[5] L’argomento dei casi eccezionali, previsti da Urbano VIII, è trattato nell’opera di Benedetto XIV, De beatificatione servorum Dei et beatorum canonizatione / La beatificazione dei servi di Dio e la canonizzazione dei beati, Vol. II/1, pp. 297-739.
[6] Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, vol. II/1, pp. 310-312.
[7] Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, Liber IV, Pars II, Cap. V, Typographia Aldina, Prati 1841, pp. 456-463.
[8] Codex iuris canonici (d’ora in poi CIC), Typis Polyglottis Vaticanis, Roma 1917. La normativa che riguarda le Cause di beatificazione dei servi di Dio e le canonizzazioni dei beati si trova nella Pars secunda (cann. 1999-2141), pp. 553-578. In particolare, il Titolo XXV, “De processu beatificationis servorum Dei per viam cultus seu casus excepti”, è quello che ci riguarda più da vicino, p. 576.
[9] Benedetto XIV, De beatificatione servorum Dei et beatorum canonizatione / La beatificazione dei servi di Dio e la canonizzazione dei beati, Vol. II/1, pp. 181-296.
[10] Paolo Brezzi, Alessandro III, papa, in Dizionario Biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI), vol. 2, 1960, pp. 183-189.
[11] Cfr Emilio Ludovico Richteri (a cura di), Corpus Iuris Canonicii, pars secunda, Decretalium collectiones, Akademische Druck-Verlagsanstalt, Graz 1959, Lib. III, tit. XLV, cap. I, p. 650.
[12] Cfr Vincenzo Criscuolo, Evoluzione storica delle procedure, in Le Cause dei Santi, LEV, Città del Vaticano, 2018, pp. 165- 224, p. 199.
[13] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1912, 130.
[14] In Acta Apostolicae Sedis (d’ora in poi AAS), LXXV (1983), pp. 349-355.
[15] Divinus perfectionis Magister (d’ora in poi DPM), I, 2.
[16] AAS, LXXV (1983), pp. 396-403.
[17] AAS, ICIX (2007), pp. 465-510.
[18] La definizione di “antico beato”, infatti, è ripresa dalla “Istruzione” per lo svolgimento delle inchieste diocesane o eparchiali nelle Cause dei Santi; la Sanctorum Mater (SM), Roma, 2007, all’art. 33 del Capitolo III, comma I, che rimanda proprio al CIC del 1917, chiarisce nella nota 47 che: “Può essere considerato antico Beato il Servo di Dio che è oggetto di culto ex tollerantia dopo il pontificato di papa Alessandro III (1159-1181) e prima del tempo stabilito dalla costituzione di papa Urbano VIII (1623-1644): cfr. can. 2125 § 1 CIC 1917”.
[19] AAS, LXXV (1983), pp. 396-403, in particolare art. 10.
[20] SM, Capitolo III, all’art. 34.
[21] SM, Capitolo III, all’art. 35.
[22] Nell’Archivio Apostolico Vaticano (d’ora in poi AAV) si conserva il processo sulle virtù, istruito nel 1986, Fondo Riti, nn. 7691-7695.
[23] ADCS, Positio super fama sanctitatis virtutibus et cultu ab immemorabili praestito Ioannis Didaci Cuauhtlatoatzin, Roma 1989, D28b.
[24] ADCS, Positio super fama sanctitatis virtutibus et cultu ab immemorabili praestito Ioannis Didaci Cuauhtlatoatzin, Roma 1989, pp. IX-XII, D28b.
[25] Nominato relatore generale il 27 gennaio 1983 (ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1983, 41) rimase in carica fino alla nomina del successore, padre Ambrogio Eszer, il 21 gennaio 1990 (ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1990, 18).
[26] ADCS, Positio super fama sanctitatis virtutibus et cultu ab immemorabili praestito Ioannis Didaci Cuauhtlatoatzin, Roma 1989, pp. XI- LXII, D28b.
[27] ADCS, Positio super fama sanctitatis virtutibus et cultu ab immemorabili praestito Ioannis Didaci Cuauhtlatoatzin, Roma 1989, pp. 559- 569; 730-809, D28b.
[28] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1990, 87.
[29] Nell’AAV si conservano i processi ab immemorabili istruiti tra il 1706 e il 1709 e del 1906, Fondo Riti, nn. 484-485, nn. 8512-8513.
[30] ADCS, Positio super cultu ab immemorabili praestito Ioannis Duns Scoto, Roma 1989, pp. LVIII- LXXV, I6b.
[31] ADCS, Positio super cultu ab immemorabili praestito Ioannis Duns Scoto, Roma 1989, pp. 493-556, I6b.
[32] ADCS, Positio super cultu ab immemorabili praestito Ioannis Duns Scoto, Roma 1989, pp. 10- 11 della “Relatio et vota sulla seduta dei consultori storici tenuta l’11 aprile 1989”, I6b.
[33] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1991, 222.
[34] ADCS, Positio super fama sanctitatis virtutibus et cultu ab immemorabili praestito Stanislai Casimiritani, Tipografia Guerra srl, Roma 1991, E48b.
[35] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1992, 422.
[36] ADCS, Positio super virtutibus et super cultu ab immemorabili praestito Ioannis Tavelli a Tauxiniano, Nova Res srl, Roma 2001, B77b.
[37] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 2020, p. 65.
[38] ADCS, Decreta liturgica, vol. 1748-50, 40 (Ferrara); vol. 1807-1809, 369 (Ferrara); vol. 1831-32, 153 (Imola); vol. 1845-1847 (Ferrara e Imola); Decreta Servorum Dei 1757-60, 12 (monasteri di Siena e Firenze); vol. 1763-1765, 200-201 (monastero di Lucca);
[39] ADCS, Positio super vita, virtutibus, fama sanctitatis et signorum nec non cultu ab immemorabili tempore praestito Bernardi de Baden, Nova Res, srl, Roma 2015, D18b.
[40] Rispettivamente conservato nell’AAV, Fondo Riti, nn. 3102-3104 e nn. 16585-16589.
[41] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 1769-1771, 60.
[42] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol. 2017/II, 349.
[43] ADCS, Positio super vita, virtutibus, fama sanctitatis necnon cultu ab immemorabili tempore praestito Michaelis Giedrojć, Nova Res srl, Roma 2017, F5c.
[44] ADCS, Positio super vita, virtutibus, fama sanctitatis necnon cultu ab immemorabili tempore praestito Michaelis Giedrojć, Nova Res srl, Roma 2017, Praenotatio Relatoris Generalis, p. V, F5c.
[45] ADCS, Positio super vita, virtutibus, fama sanctitatis necnon cultu ab immemorabili tempore praestito Michaelis Giedrojć, Nova Res srl, Roma 2017, Praenotatio Relatoris Generalis, p. V, F5c.
[46] Nella sua opera, il Lambertini parla per la prima volta di beatificazione equipollente in Benedetto XIV, De servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione, Vol. I/1, p. 632.
[47] ADCS, Decreta Servorum Dei, vol 2018/II, 377.
[48] La Sanctorum Mater non contemplava la via della “offerta della vita”, in quanto il Motu Proprio Maiorem hac dilectionem dell’11 luglio 2017, che la istituiva è evidentemente successivo. Cfr AAS, CIX (2017), pp. 831-834. Sulla nuova via per la beatificazione si veda Marcello Bartolucci, L’offerta della vita nelle Cause dei Santi, in Le Cause dei Santi, LEV, Città del Vaticano, 2018, pp. 91-96. Si veda anche Marcello Bartolucci, Una quarta via per la beatificazione, in “L’Osservatore Romano”, 12 luglio 2017, p. 7; Nuova Via per la santità, intervista di Nicola Gori al cardinale Angelo Amato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in “L’Osservatore Romano”, 26 agosto 2017, p. 8. Questi contributi sono stati raccolti in L’offerta della vita nelle Cause dei Santi. Motu proprio “Maiorem hac dilectionem” di Papa Francesco. Testo e commenti, LEV 2017.
[49] SM, in AAS, ICIX (2007), pp. 465-510.
[50] AAS, LXXV (1983), pp. 396-403, artt. 7 e ss. Si veda anche Sergio La Pegna, Canonizzazione equipollente, canonizzazione formale e necessità dei miracoli, in “L’Osservatore Romano”, 25 marzo 2022, pp. 7-8.
[51] AAS, LXXV (1983), pp. 396-403, artt. 7 e ss.
[52] La documentazione che riguarda la reintegrazione del culto si conserva in ADCS, Fondo Protocollo, VAR. 2784/986.
[53] Cfr L’attività della Santa Sede 1993, LEV, Città del Vaticano 1994, pp. 737-738.