Vincenzo Criscuolo - La costituzione apostolica “Divinus Perfectionis Magister” (1983) di Giovanni Paolo II e l’Istruzione “Sanctorum Mater” (2007) di Benedetto XVI

 

La costituzione apostolica “Divinus Perfectionis Magister” (1983) di Giovanni Paolo II

e l’Istruzione “Sanctorum Mater” (2007) di Benedetto XVI

 

 

Il tema che mi è stato affidato, come risulta dal programma, ha per titolo: La Costituzione Apostolica “Divinus Perfectionis Magister” (1983) di Giovanni Paolo II e l’Istruzione “Sanctorum Mater” (2007) di Benedetto XIV. Forse in omaggio all’assioma della filosofia scolastica del tertium non datur, è stato omesso un altro documento, anch’esso di carattere legislativo, che è direttamente collegata alla Divinus Perfectionis Magister e anticipa la Sanctorum Mater. Si tratta delle Normae servandae in Inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum, di cui pur bisognerà tener conto nell’attuale impalcatura giuridica della Congregazione o Dicastero delle Cause dei Santi, dopo la riforma attuata da Giovanni Paolo II nel 1983.

Come è noto, la Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister dipende strettamente dall’auspicio di revisione del Codice di Diritto Canonico, formulato a piú riprese dai Padri del Concilio Vaticano II. Contrariamente al Codice Piano-Benedettino del 1917, ove alla struttura della Congregazione, alla composizione personale e alle procedure seguite nelle Cause di beatificazione e di canonizzazione erano dedicati ben 143 canoni [dal canone 1999 al canone 2141 del Libro IV De Processibus, che costituivano la sezione De causis beatificationis servorum Dei et canonizatione beatorum], il nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, riserva al nostro argomento il solo canone 1403, il cui § 1 recita: “Le Cause di canonizzazione dei Servi di Dio sono regolate da una legge pontificia peculiare”. Tale “legge pontificia peculiare” è costituita proprio dalla Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister, che fu effettivamente promulgata il 27 febbraio 1983, ma fu predatata al 25 gennaio dello stesso anno, per renderla contemporanea alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico.

Da alcuni studiosi la Divinus Perfectionis Magister è stata considerata come un documento che ha prodotto un cambiamento radicale o addirittura una rivoluzione copernicana nella struttura interna del Dicastero e nell’intera procedura relativa alle Cause dei Santi: con questa Costituzione Apostolica infatti viene a modificarsi sostanzialmente non solo l’assetto strutturale del Dicastero, ma anche la sua composizione personale e lo stesso iter procedurale, pervenendo in definitiva a una istituzione piú ragionata e a un innalzamento del livello critico, che provoca anche una semplificazione e uno snellimento delle procedure sia in fase diocesana sia in fase romana. Fondamentale nella riforma attuata con la Costituzione Apostolica è il ruolo insostituibile attribuito alla ricerca storica e all’investigazione archivistica.

Con la Divinus Perfectionis Magister la Congregazione delle Cause dei Santi perde definitivamente le funzioni e le caratteristiche di tribunale, che hanno connotato la sua attività non solo a partire dall’istituzione della Congregazione dei Riti il 22 gennaio 1588, ma che hanno contraddistinto le procedure anche nei secoli precedenti, almeno dalla fine del XII secolo con Innocenzo III, che pose a base della procedura giuridica per le Cause dei Santi la cosiddetta commissio inquisitionis. Dopo la Divinus Perfectionis Magister non si parla piú né di processi informativi o ordinari o diocesani, né di processi apostolici, processi praticati già dai primi anni del secolo XIII e resi piú organici e differenziati da Urbano VIII nei primi decenni del Seicento; e non si parla piú neanche del processo cognizionale, introdotto con la Sanctitas clarior del 19 marzo 1969 da Paolo VI, che aveva unificato nell’unico processo, definitivo appunto cognizionale, i due processi ordinari e apostolici, considerati per molti versi ripetitivi e ove normalmente erano chiamati a deporre gli stessi testimoni. Il termine “processo”, con pieno carattere forense e con forte contenuto giuridico, viene ufficialmente abbandonato e sostituito con il concetto meno rigido e impegnativo di “inchiesta”; mentre un lavoro di natura tipicamente investigativa, con la costituzione di un tribunale e le necessarie deposizioni testimoniali, viene riservato alla sola fase diocesana.

Al Dicastero viene affidato lo studio degli atti e dei documenti tramite un approccio non piú giuridico, ma di carattere e di contenuto storico-critico. Risulta cosí abolito per sempre all’interno del Dicastero il dibattimento processuale o il cosiddetto contraddittorio tra l’accusa, rappresentata dal promotore della fede – indicato normalmente come avvocato del diavolo ed equiparato al pubblico ministero nei processi civili – e la difesa, costituita dagli avvocati o patroni delle Cause. Tale dibattimento o contraddittorio veniva condotto per iscritto e si esprimeva nelle animadversiones o nelle novae animadversiones o ancora nelle novissimae animadversiones, formulate dal promotore della fede, e nelle conseguenti responsiones o novae responsiones o ancora novissimae responsiones da parte degli avvocati o patroni delle Cause. Questi ultimi – avvocati e patroni delle Cause – risultano definitivamente soppressi e aboliti nella nuova legislazione.

Lo spirito che anima la Divinus Perfectionis Magister tende a dare un nuovo assetto e a modificare profondamente il lavoro interno del Dicastero e il conseguente studio delle Cause, passando cosí da un indirizzo di carattere processuale-giuridico-testimoniale a un indirizzo di natura storico-critico-documentale e dando assoluto rilievo e fondamentale importanza alla ricerca storica e alla riflessione teologica.

Dopo queste premesse, ci avviciniamo direttamente alla costituzione apostolica Divinus Perfectionis Magister, promulgata ufficialmente da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983.

Essa risulta articolata in tre sezioni, precedute da un proemio di carattere generale.

Nel proemio si richiama la necessità di essere perfetti come il Padre Celeste e si sottolinea la chiamata universale alla santità, sancita nella Lumen gentium, n. 40. Si traccia quindi una brevissima linea storica su coloro che hanno seguito piú da vicino l’esempio di Cristo, a partire dagli apostoli e dai martiri, e si mette successivamente in evidenza il compito della Chiesa di proporre all’imitazione dei fedeli “gli uomini e le donne che si sono distinti per il fulgore della carità e delle altre virtú evangeliche”. Tale compito emerge con chiarezza nella trattazione delle cause di canonizzazione, affidate da Sisto V alla Congregazione dei Riti, perfezionate da Urbano VIII, sistematizzate da Benedetto XIV e codificate nel 1917 nel Codice Piano-Benedettino. Dopo aver ricordato gli ultimi interventi in tale ambito, e specificamente quelli di Pio XI con l’istituzione della Sezione Storica e di Paolo VI con la Sanctitas clarior, il legislatore, cioè Giovanni Paolo II, ritiene “opportuno rivedere ancora la procedura nell’istruzione delle cause e riordinare la stessa Congregazione per le Cause dei Santi in modo da andare incontro alle esigenze degli studiosi e ai desideri nei nostri Fratelli nell’episcopato”, tenendo presente anche la “dottrina della collegialità proposta dal Concilio Vaticano II”.

La prima sezione – che è anche la piú breve – riguarda le inchieste affidate ai vescovi: compete ad essi, su richiesta del postulatore della Causa, “il diritto di investigare sulla vita, le virtú o il martirio – e ora anche sull’offerta della vita – e sulla fama di santità o di martirio, sui presunti miracoli ed eventualmente sul culto antico di un Servo di Dio, di cui si chiede la canonizzazione”. Oltre a investigare sulla vita e sulla fama di santità del Servo di Dio, l’ordinario diocesano deve disporre la raccolta dei suoi scritti, che devono essere debitamente esaminati da censori teologi, e di tutti i documenti che sono collegati alla causa. Deve quindi istituire un tribunale, in cui si dovranno esaminare i testi indotti dal postulatore o convocati d’ufficio, e inviare alla Congregazione tutti gli atti processuali, con una dichiarazione sull’osservanza dei decreti di Urbano VIII.

La seconda sezione tratta della struttura interna del Dicastero. Sono lasciati quasi invariati i ruoli del prefetto, del segretario e del sotto-segretario. Una nuova istituzione, finalizzata – come dice la Costituzione Apostolica – allo “studio delle Cause”, è il “Collegio dei Relatori, a cui presiede un Relatore generale”. Compito dei Relatori è “studiare … le cause loro affidate” e curare la preparazione delle Positiones sulle virtú e sul martirio – ora anche sull’offerta della vita, sul culto antico, sulla canonizzazione equipollente e sul dottorato –, redigere eventuali chiarimenti storici e partecipare come esperti al Congresso dei teologi. Ben delimitato è anche il ruolo del Promotore della fede, piú realisticamente chiamato “Prelato teologo”, a cui spetta presiedere il Congresso dei teologi, stendere la relazione sullo stesso Congresso e partecipare come esperto alla Sessione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi. Per la discussione delle Cause viene previsto anche un discreto numero di Consultori, esperti rispettivamente alcuni in storia per le Consulte storiche, altri in teologia per le Consulte dei teologi.

La terza sezione della Costituzione Apostolica è dedicata al modo di procedere nel Dicastero. Dopo l’invio degli atti a Roma dalle varie diocesi, il sottosegretario deve verificarne la validità giuridica. La Causa viene quindi affidata a un Relatore, che provvederà alla stesura della rispettiva Positio. Spetta al Relatore generale sottoporre la Positio all’esame dei Consultori storici e provvedere al suo completamento con i chiarimenti richiesti. Successivamente la Positio sarà discussa dai Consultori teologi perché siano esaminate “eventuali questioni teologiche controverse”. La Positio e i voti dei teologi, con la relazione del Promotore della fede, “saranno sottoposti al giudizio dei Cardinali e Vescovi”. Una simile procedura viene riservata anche all’esame dei miracoli, per i quali un posto di rilievo è rivestito dal giudizio della Consulta medica.

Questo in breve il contenuto della Divinus Perfectionis Magister.

In stretta connessione, logica e cronologica, con la Costituzione Apostolica, sono le cosiddette Normae servandae in Inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum, cioè di un complesso di norme, destinate ad essere osservate soprattutto nell’ambito delle inchieste diocesane. Si tratta di un intervento legislativo ritenuto necessario dalla Congregazione delle Cause dei Santi e la cui opportunità era prevista già dalla Costituzione Apostolica. Tali norme, approvate da Giovanni Paolo II e promulgate il 7 febbraio 1983, erano frutto di una lunga gestazione, culminata nell’Assemblea plenaria del Dicastero del 22-23 giugno 1981, che aveva anche prospettato le linee guida della Divinus Perfectionis Magister.

Il tessuto delle Normae servandae risulta tracciato in modo sistematico e tiene presente l’intera procedura della fase diocesana delle Cause, dai primi passi iniziali fino alla trasmissione degli Atti a Roma. Chi promuove la Causa è la parte attrice, che agisce tramite un postulatore legittimamente costituito e approvato dall’ordinario diocesano. Spetta al postulatore inoltrare al vescovo competente un libello di domanda o libellus supplex, con il quale deve presentare una valida biografia del Servo di Dio, proporre l’eventuale elenco dei suoi scritti, stendere una relazione sulle virtú o sul martirio e soprattutto indicare in dettaglio una diffusa e fondata fama della santità, presentando un elenco di possibili testimoni e chiedendo quindi l’istruzione della causa. Le Normae indicano anche il tempo in cui tale libellus supplex deve essere inoltrato: non prima di 5 anni dalla morte del Servo di Dio e non oltre 30 anni dopo. Se quest’ultimo limite viene oltrepassato, il postulatore deve dichiarare e dimostrare che da parte degli attori non c’è stata alcuna frode o inganno nel procrastinare l’avvio della causa.

Dopo che il vescovo ha accettato il libellus supplex, egli deve consultare la rispettiva Conferenza episcopale sull’opportunità di iniziare la causa, rendere pubblica la petizione del postulatore tramite un editto e chiedere alla Congregazione romana il nihil obstat per la causa stessa. A questo punto l’ordinario diocesano può costituire un tribunale specifico, costituito da sé stesso o da un suo Delegato come presidente, dal Promotore di giustizia per l’interrogazione dei testi e da un notaio per la stesura degli atti. Contestualmente deve nominare una Commissione Storica costituita da esperti in storia e archivistica per la ricerca di tutti gli scritti del Servo di Dio e di tutti i documenti a lui relativi, e due teologi censori per l’esame degli stessi scritti. Spetta al promotore di giustizia prendere conoscenza della documentazione raccolta in modo da “preparare gli interrogatori utili ad indagare e mettere in luce la verità circa la vita, le virtú o il martirio, la fama di santità o di martirio del Servo di Dio”. Sulla base degli interrogatori viene programmata e condotta la deposizione dei testi: essi possono essere oculari o de visu, o anche de auditu e riguardare non solo i testi indotti dal postulatore, ma anche testi chiamati ex officio dal tribunale. Tra questi ultimi devono essere chiamati a deporre anche i membri della Commissione Storica.

Riguardo alla raccolta della documentazione e all’escussione dei testi, le Normae servandae raccomandano “somma diligenza e impegno”, perché “nella raccolta delle prove nulla venga omesso di quanto in qualunque modo abbia attinenza con la causa, tenendo per certo che il felice esito della causa dipende in gran parte dalla sua buona istruzione”.

Prima di terminare l’istruttoria, dei cui atti il postulatore ha facoltà di prendere visione, il tribunale deve “ispezionare diligentemente la tomba del Servo di Dio, la camera nella quale abitò o morí e altri eventuali luoghi dove si possano trovare segni di culto in suo onore” e deve stendere “una dichiarazione circa l’osservanza dei decreti di Urbano VIII sul non culto”. Di tutti gli atti dell’istruttoria diocesana vengono approntati tre esemplari, di cui ciascuna pagina deve essere provvista della firma e del timbro del notaio. Un esemplare, il cosiddetto archetipo, resta in diocesi; gli altri due devono essere trasmessi debitamente sigillati e per via sicura alla Congregazione romana: uno di essi, il transunto, sarà depositato nell’archivio del Dicastero, e l’altro, la copia pubblica, sarà consegnato alla Postulazione per i successivi adempimenti.

Un’ultima raccomandazione delle Normae servandae riguarda la proibizione di qualsiasi genere di celebrazione o manifestazione “sui Servi di Dio, la cui santità di vita è tuttora soggetta a legittimo esame”, e questo per non indurre i fedeli a ritenere che l’inchiesta, appena conclusa in fase diocesana, “comporti la certezza della futura canonizzazione del Servo di Dio stesso”.

La traduzione in pratica dei due documenti legislativi, cioè la costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister e le Normae servandae, negli anni immediatamente successivi non fu del tutto priva di incertezze e problemi interpretativi. Se il Dicastero si muní presto di un regolamento interno, con una prima redazione già nel 1983, ulteriormente elaborato e reso piú sistematico nel dicembre 2000, soprattutto in relazione alla procedura da seguire in fase romana, maggiormente bisognosa di interventi esplicativi e chiarificativi era in modo particolare la fase diocesana, ben presentata dalle Normae servandae, ma non sempre chiaramente interpretata soprattutto dai nuovi postulatori, a cui mancava in alcuni casi esperienza e competenza. Per questo motivo già il 2 giugno 1984 fu chiamato in vita lo Studium della Congregazione – ora Scuola di Alta Formazione in Cause dei Santi – con il compito precipuo di formare i postulatori e gli altri collaboratori sia per la fase diocesana, sia per quella romana. Nel 2007, dopo ben 24 anni dalla riforma del Dicastero, si avvertí la necessità di stendere una Instructio particolare, la Sanctorum Mater, che fu approvata da Benedetto XVI il 22 febbraio 2007 e promulgata il 17 maggio successivo con la pubblicazione del testo negli Acta Apostolicae Sedis.

La Sanctorum Mater, in quanto instructio del Dicastero, è un documento che può essere definito di carattere amministrativo, piú che di natura legislativa. Come risulta dall’introduzione della stessa instructio, essa “intende chiarire le disposizioni delle leggi vigenti, facilitare la loro applicazione e indicare i modi della loro esecuzione sia nelle cause recenti che in quelle antiche”. Sua finalità immediata è accompagnare, in maniera cronologica, “l’iter procedurale delle Inchieste diocesane …, stabilito dalle Normae servandae, evidenziando, in modo pratico e cronologico, la loro applicazione e salvaguardando la serietà delle Inchieste”.

L’instructio fu ufficialmente presentata il 18 febbraio 2008 nella Sala Stampa Vaticana dall’allora prefetto cardinale José Saraiva Martins, il quale ribadí la natura e le finalità del documento, ne riassunse il contenuto e soprattutto chiarí le motivazioni sottese alla formazione e alla promulgazione della Sanctorum Mater. Esse erano fondamentalmente quattro.

Il primo motivo – cosí affermava il cardinale Saraiva Martins – era costituito dal fatto che erano “ormai trascorsi venticinque anni dalla promulgazione da parte di Giovanni Paolo II delle leggi attualmente in vigore per le cause dei santi”. Si fa chiaro riferimento alla costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister del 25 gennaio 1983 e alle Normae servandae del successivo 7 febbraio. Tale lasso di tempo e l’esperienza specifica, pur confermando la bontà sostanziale della riforma, lasciava però intravedere che “alcune disposizioni di legge non erano state sempre intese e, quindi, messe in pratica in alcune diocesi con la dovuta precisione”, causando vari interventi del Dicastero per fornire opportuni chiarimenti e chiedere alle curie diocesane di correggere aspetti non condivisibili dell’iter, messo in atto in modo insufficiente.

Il secondo motivo era determinato dalla constatazione che non sempre tutte le diocesi del mondo potevano “contare su persone specializzate e con esperienza pratica per i diversi compiti inerenti a una causa di canonizzazione”, riguardanti in particolare il delegato vescovile, il promotore di giustizia, i censori teologi, i periti in materia storica e archivistica ai quali è affidata la ricerca dei documenti. Era quindi “evidente l’utilità, anzi la necessità di un documento applicativo – l’instructio appunto – che servisse da guida per seguire con sicurezza e precisione il dettato della legge” nell’iter procedurale specifico della fase diocesana. Per questo la Sanctorum Mater intende configurarsi come “un vademecum completo e sistematico, che fornisce orientamenti chiari e precisi per i passi che si devono compiere dall’inizio dell’istruttoria fino all’invio degli atti” alla Congregazione delle Cause dei Santi.

Il terzo motivo che ha consigliato la Congregazione a intervenire con una instructio particolare proveniva dalla constatazione che, in seguito alla nuova legislazione, si era diffusa l’idea che fosse stata superata del tutto la tradizionale metodologia processuale, ormai sostituita del tutto da una inchiesta di carattere esclusivamente documentario. In alcune diocesi infatti era possibile constatare vistose inadempienze delle esigenze processuali. Il Dicastero quindi riteneva necessario ribadire, tramite l’instructio, che ogni inchiesta diocesana deve saldamente essere basata su due colonne: l’apporto testimoniale e la ricerca documentaria, cioè testimonianze e documenti. Quindi si confermava la necessità e l’importanza di una rigorosa investigazione storica per raccogliere tutte le prove documentarie inerenti alla causa, ma si ribadiva con vigore la sostanza testimoniale delle cause, sottolineando con precisione le norme che dovevano essere osservate.

Il quarto e ultimo motivo della Sanctorum Mater era esortare alla verifica seria e scrupolosa dell’esistenza di una vera e diffusa fama di santità o di martirio, dal momento che la fama sanctitatis, e conseguentemente anche la fama signorum, costituisce un adempimento previo e assolutamente necessario per intraprendere qualsiasi procedura canonica finalizzata alla beatificazione e alla canonizzazione. Tale accertamento sulla fama di santità doveva assolutamente essere condotto in sede diocesana e nella fase preliminare della causa. Anzi si ribadiva che la “procedura non deve essere iniziata se non consta mediante prove inconfutabili che il servo di Dio, al quale si riferisce la causa in questione, è in concetto di santità o di martirio presso una parte consistente dei fedeli, i quali si rivolgono a lui nella loro preghiera e attribuiscono grazie e favori alla sua intercessione”.

A motivo dei tempi ristretti, non è possibile presentare specificamente e in tutti i suoi risvolti la struttura e il contenuto della Sanctorum Mater. Si può sinteticamente dire che essa descrive dettagliatamente e in alcuni casi forse troppo minuziosamente tutti i personaggi implicati nella inchiesta diocesana e tutti e singoli i passi che bisogna compiere per iniziare e portare a termine in modo sistematico e canonico la fase diocesana del processo di beatificazione.

L’instructio risulta costituita da 150 articoli e da un’appendice di 15 articoli. Essa è strutturata in sei parti cosí organicamente suddivise.

La prima parte va sotto il titolo generico di “Cause di beatificazione e canonizzazione”, ove si fa riferimento agli elementi preliminari dell’inchiesta e in primo luogo alla necessaria dimostrazione della fama di santità o di martirio e fama di segni, il cui accertamento spetta in modo particolare al postulatore della causa; si presentano successivamente la persona fisica o giuridica dell’attore della causa, il ruolo e i compiti del postulatore della causa e del vescovo competente per l’istruzione dell’inchiesta.

La seconda parte riguarda la “fase preliminare della causa”, ove rivestono un’importanza particolare la presentazione del supplice libello, la suddivisione delle cause in antiche e recenti, la diversificazione dell’iter in super virtutibus o super martyrio, o anche super oblatione vitae o super cultu ab immemorabili tempore praestito; quindi si accenna alla consultazione della Conferenza Episcopale, alla pubblicazione dell’editto e alla richiesta e concessione del nihil obstat da parte della Santa Sede.

La terza parte è anche genericamente indicata come “istruzione della causa”: si tratta in particolare del ruolo e delle competenze del presidente del tribunale, cioè l’ordinario diocesano o un suo delegato, del promotore di giustizia, del notaio, e del perito medico per quanto riguarda i miracoli, con un appunto sulla sede scelta per le sessioni dell’inchiesta.

La parte quarta si riferisce alla “raccolta delle prove documentali”, dove si parla in particolare dei teologi censori, almeno due, e dei periti in materia storica e archivistica, almeno tre, che costituiscono la cosiddetta Commissione Storica.

La quinta parte dell’instructio è dedicata alla “raccolta delle prove testificali”. Dopo aver accennato al processo Ne pereant probationes, necessario per evitare la perdita delle prove, si accenna a tutta una serie di problemi riguardanti la prima sessione, il notaio e il promotore di giustizia, e in modo particolare le persone dei testi, con la possibilità di testimonianze orali o dichiarazioni scritte, accennando infine alla possibilità di usare il registratore o il computer durante le escussioni testimoniali.

La parte sesta riguarda la “chiusura dell’inchiesta”, con la necessaria dichiarazione sul non culto, la pubblicazione e la traduzione degli atti, la collazione e confronto degli stessi atti (la famosa collatio et auscultatio), la nomina del portitore e la celebrazione dell’ultima sessione.

L’appendice fa riferimento alla “ricognizione canonica delle spoglie mortali di un Servo di Dio”, aspetto che deve ritenersi del tutto superato dopo che il 17 dicembre 2017 è stata promulgata una nuova instructio su “Le reliquie nella Chiesa. Autenticità e conservazione”.

Questa in breve la struttura e il contenuto dell’instructio Sanctorum Mater.

Volendo sintetizzare l’intero percorso fin qui brevemente delineato, relativo alla riforma della Congregazione delle Cause dei Santi voluta da Giovanni Paolo II tramite la costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister e le Normae servandae, e ulteriormente confermata e puntualizzata per la fase diocesana tramite la Sanctorum Mater, si possono delineare le seguenti conclusioni:

1. La Congregazione delle Cause dei Santi ha subito un cambiamento strutturale, la cosiddetta rivoluzione copernicana; il Dicastero romano non è piú sede di un tribunale, caratteristica che invece è rimasta alla fase diocesana delle cause, ma un luogo di studio e di elaborazione degli atti, rispettivamente degli apporti testimoniali e della documentazione storica, privilegiando l’approccio storico-critico alle cause e l’esame storico-teologico degli atti processuali, avendo come finalità primaria – come affermerà piú tardi Benedetto XVI – l’accertamento della verità storica.

2. L’istituzione in seno al Dicastero di un Collegio dei Relatori, presieduto dal Relatore Generale, a cui è affidato l’onere e la responsabilità della programmazione e della stesura delle varie Positiones, rispettivamente super vita, virtutibus et fama sanctitatis, super martyrio, super oblatione vitae, e in misura minore super beatificatione aequipollenti o super cultu ab immemorabili tempore praestito, super canonizatione aequipollenti e infine super Ecclesiae doctoratu.

3. La delimitazione o modifica del ruolo e delle competenze del Promotore della Fede, piú realisticamente denominato anche “Prelato teologo”; il dibattimento o contraddittorio interno con i patroni o avvocati delle cause, che lo obbligavano ad elaborare puntuali e a volte corpose animadversiones alle varie Positiones, è stato definitivamente abrogato. Suoi compiti, secondo la Divinis Perfectionis Magister, sono presiedere il Congresso dei teologi, stenderne la relazione e partecipare come esperto alle Sessioni Ordinarie.

4. Nuova importanza viene data alle scienze storiche. Come già è stato detto, la ricerca documentaria e l’investigazione storica acquistano un ruolo fondamentale. Non è piú concepibile una inchiesta diocesana senza la Commissione Storica, cosa che renderebbe nullo l’intero apparato processuale, cosí come non è concepibile una Positio priva di un Summarium Documentorum o di una Biographia documentata, cioè opportunamente arricchita con documenti.

Ho accennato precedentemente a Benedetto XVI e vorrei concludere con la citazione di un passo preso da una sua lettera, inviata il 24 aprile 2006 alla Sessione Plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi. Tra l’altro cosí egli scriveva: “Le cause vanno istruite [istruttoria in fase diocesana] e studiate [studio in fase romana] con somma cura, cercando diligentemente la verità storica [quindi importanza delle scienze storiche], attraverso prove testimoniali e documentali omnino plenae, poiché esse non hanno altra finalità che la gloria di Dio e il bene spirituale della Chiesa e di quanti sono alla ricerca della verità e della perfezione evangelica”.

 

Roma, Pontificia Università Lateranense, 9 novembre 2022

 

P. Vincenzo Criscuolo, o.f.m.cap.

Relatore generale del Dicastero