MEMORIA FIDEI
Archivi ecclesiastici e Nuova Evangelizzazione
Atti del convegno
Roma 23-25 ottobre 2013
Gangemi Editore pag. 223-239
Gli archivi e le scienze storiche nelle procedure per la canonizzazione dei santi
Vincenzo Criscuolo
1. Novità della “Divinus perfectionis Magister”
Con la promulgazione della Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister, pubblicata effettivamente il 27 febbraio 1983[1], ma predatata al 25 gennaio dello stesso anno per renderla contemporanea alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, il Beato Giovanni Paolo II faceva compiere alle procedure relative alla canonizzazione dei santi una specie di rivoluzione copernicana[2].
In particolare venivano mutati alcuni importanti elementi dell’assetto strutturale della Congregazione delle Cause dei Santi: il promotore generale della fede ad esempio, piú propriamente indicato come prelato teologo[3], si vedeva privato di quasi tutte le prerogative precedenti di obiezione e preclusione nelle Cause, e veniva modificato il suo ruolo tradizionalmente consacrato sotto l’appellativo di advocatus diaboli. Veniva creata la figura e il ruolo del Relatore per la composizione e la stesura primariamente della Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis e della Positio super martyrio, prima riservate ai patroni delle Cause, e conseguentemente veniva creato un Collegio di Relatori, con a capo un Relatore Generale[4].
Risultavano modificati anche molti aspetti procedurali: venivano abolite per sempre le fasi processuali ordinarie e apostoliche, attribuendo al solo ordinario diocesano il diritto e il peso dell’inchiesta giuridica sulle virtú oppure sul martirio e sul miracolo[5]. A questo scopo il Dicastero emanava il 7 febbraio 1983 le Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in Causis Sanctorum[6]: in esse, in verità seguendo per l’argomento che qui interessa alcune norme già emanate nel 1913, si disponeva che fonte di conoscenza e di prova delle virtú o del martirio non erano solo le escussioni testimoniali, ma anche la documentazione storica, che doveva essere opportunamente oggetto di investigazione specifica da parte di persone competenti.
All’interno del Dicastero risultava inoltre per sempre abolito il dibattimento processuale o il contradditorio giuridico, costituito dalle animadversiones da parte del promotore della fede e dalle responsiones da parte degli avvocati o patroni delle Cause, anch’essi definitivamente soppressi. Lo spirito che animava tale riforma tendeva a dare un nuovo assetto e in parte a modificare l’indirizzo fondamentale del lavoro della Congregazione e dello studio delle cause, in cui gli archivi e la ricerca storica acquistavano un ruolo fondamentale. In altre parole da un indirizzo esclusivamente processuale-giuridico-testimoniale si passava a un indirizzo storico-critico-documentale[7], lasciando l’escussione o l’inchiesta testimoniale di carattere giuridico alla sola fase diocesana.
2. L’opera di Prospero Lambertini
Tale specie di rivoluzione copernicana, avvenuta nel 1983, segnava per sempre la fine di una procedura, che durava ormai da circa otto secoli, cioè dal 5 settembre 1234, data della promulgazione delle Decretali da parte di Gregorio IX[8], e ancor piú dal 22 gennaio 1588, data della istituzione della Congregazione dei Sacri Riti e delle altre Congregazioni romane da parte di Sisto V[9], una procedura che aveva avuto nella prima metà del Settecento in Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, una persona che conosceva perfettamente la storia e la prassi della Congregazione, essendo stato promotore della fede per oltre venti anni, dal marzo 1708 all’aprile 1728, e che aveva fissato i principi giuridici, storici, dottrinali e procedurali in una pubblicazione, edita a Bologna in cinque grossi tomi in folio dal 1734 al 1738[10]. Si tratta del De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, attualmente in corso di traduzione in italiano e di riedizione in italiano e in latino da parte della Congregazione delle Cause dei Santi[11]. Tale opera è per molti aspetti ancora attuale, per altri invece, come ad esempio per l’argomento di cui ora ci occupiamo, essa deve considerarsi del tutto superata.
Bolognese di origine e giurista di formazione, il Lambertini, sia nella sua attività di promotore della fede, sia nel suo sforzo di esaminare e teorizzare tutte le complesse procedure canoniche finalizzate alla beatificazione e alla canonizzazione, si muove conservando sempre piena fedeltà alla tradizione dei secoli precedenti, compiendo il riuscito tentativo di sistematizzare l’intera dottrina e la conseguente prassi, prevedendo, sempre su base giuridico-teologica, soluzioni e prospettive che hanno avuto una loro applicazione pratica fino alla promulgazione della Divinus perfectionis Magister
Secondo Prospero Lambertini, ogni causa di beatificazione e di canonizzazione è per sua natura di carattere giuridico-processuale. Sono numerose nella sua opera riferimenti precisi a tale affermazione. Resta sempre valida per lui la norma generale che le cause di beatificazione e canonizzazione “ad normam veri iudicii sunt redactae”[12]. Nell’istruzione dei processi canonici deve essere seguita la consuetudine giuridica, cioè quella “in quocumque iudicio servatura”[13]. Tutte le cause di beatificazione e di canonizzazione devono avere un “cursus iuridicus”[14] devono procedere secondo un “ordo iudicialis”[15], alla luce di un grande “iuris rigor”[16]. Le citazioni a questo riguardo potrebbero facilmente moltiplicarsi.
Lambertini inoltre sottolinea spesso la natura contenziosa delle cause di canonizzazione, tanto da assimilarle in qualche modo alle cause criminali, giuridicamente piú complesse delle cause civili, le cui prove quindi devono essere “aequalis ponderis probationibus in causis criminalibus”[17]. Anche su questo aspetto sono molteplici ed esplicite le citazioni lambertiniane. Nella sua opera infatti, mettendo a raffronto i principi giuridici delle cause civili e criminali, afferma che le cause di canonizzazione devono essere equiparate alle cause criminali, “quibus ut plurimum causae canonizationum aequiparantur”[18], esse anzi sono piú gravi delle stesse cause criminali[19]; e altrove afferma che “causae Beatificationis et Canonizationis [...] aequiparantur causis criminalibus in quibus proceditur ad poenam ordinariam”[20].
In vari luoghi riafferma il loro carattere giudiziale e contenzioso[21], e in un caso afferma esplicitamente che le cause di beatificazione e di canonizzazione sono equiparate alle cause criminali, nelle quali non si permette l’escussione dei testi prima della contestazione della lite[22], e successivamente risolve positivamente la questione “an in hoc iudicio probationes debeant esse aequalis ponderis probationibus, quae in iudicio criminali requiruntur ad infligendam reo poenam ordinariam”[23]. Per la verità, come è stato osservato da un insigne giurista, si tratta di “cause criminali alla rovescia, in quanto non si tratta di accertare l’esistenza di un crimine e la colpevolezza di un reo con la conseguenze inflizione di una condanna, bensí di riconoscere e proclamare la santità eroica o il martirio di un Servo di Dio, al fine di concedergli gli onori del culto ecclesiastico pubblico”[24].
In queste cause, afferma Lambertini, la vera forza probatoria risiede nelle escussioni testimoniali. In vari luoghi e con molte varianti testuali egli sostiene che la base piú sicura per accertare non solo la fama di santità, ma anche l’esercizio eroico delle virtú, il martirio e i miracoli risiede nelle affermazioni e dichiarazioni dei testi, cioè “constituitur in verbis ipsis a teste prolatis”[25]; il motivo è che tali escussioni sono formulate dai testi dopo aver emesso un solenne giuramento di dire la verità[26] e si basano quindi su di esso; per questo esse devono essere considerate assolutamente vere: “in iuramento – infatti – residere substantiam depositionis testis”[27].
3. La ricerca e la documentazione storica secondo Lambertini
E la documentazione storica? Qual è, secondo Lambertini, il valore o la forza probatoria dei documenti? La parola spesso usata dal giurista bolognese, poi papa Benedetto XIV, per caratterizzare i documenti e la loro forza di prova in una causa di beatificazione è “adminiculum”, cioè pezza d’appoggio oppure prova complementare[28], spesso in contrapposizione con le vere prove[29]. I documenti storici, dice Lambertini, non possono “constituere perfectam sive adaequatam […] probationem, sed erunt tantum pura adminicula”[30], cioè la documentazione storica non potrà mai avere piena e adeguata forza probativa, ma avrà solo valore di prova complementare. Gli stessi storici contemporanei ai fatti, secondo la dottrina lambertiniana, vanno considerati ed annoverati tra i “coetera adminicula”[31].
Tra i 219 capitoli e le 34 appendici da cui è costituita l’opera lambertiniana del De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, il cardinale bolognese e poi papa dedica specificamente solo 2 capitoli al nostro argomento.
Il primo contributo, che è il cap. 52 del II libro, tratta del cosiddetto “processo compulsoriale”, con il quale veniva data cioè facoltà ai giudici di far ricercare e consultare gli scritti del Servo di Dio, le biografie a lui dedicate e i documenti che ne attestavano il culto. Tale processo veniva autorizzato tramite le cosiddette lettere compulsoriali, che venivano firmate dal papa e inviate dalla Congregazione dei Sacri Riti ai giudici delegati. Normalmente il processo compulsoriale veniva intrapreso dopo l’escussione dei testi e consisteva, come già detto, nel ricercare e consultare documenti specifici, i quali “ut plurimum consistunt in historiis sive editis sive manuscriptis in operibus conscriptis ab iisdem Dei Servis, de quorum agitur Beatificatione et Canonizatione, in monumentis eorumdem cultum comprobantibus”[32].
Per la validità del processo compulsoriale sono richiesti, secondo Lambertini, i seguenti elementi (si riporta il testo in italiano):
“In primo luogo nella citazione o ammonizione contro coloro che detengono i documenti.
In secondo luogo, nella presentazione dei documenti, che i detentori devono fare, indicando l’archivio, la biblioteca e il luogo dai quali li hanno estratti, e descrivendo la qualità dei caratteri, il numero delle pagine e ogni altra circostanza opportuna.
In terzo luogo, nella induzione di testi esperti, se si debbano riconoscere i documenti manoscritti; la quale induzione degli esperti si fa presentando ai giudici la nota di tre o quattro esperti, perché essi possano scegliere coloro che riterranno piú adatti.
In quarto luogo, nella presentazione dei libri, se bisogna compulsare i libri; la quale presentazione si fa dal procuratore della causa nella parte o nelle parti necessarie, se si tratta di libri stampati, esprimendo il nome e il cognome degli autori, il luogo e il tempo della loro stampa e indicando le parti che da essi vanno estratte, con l’individuazione delle pagine e dei capitoli che devono essere compulsati.
In quinto luogo, nell’esame diligente dei documenti da compulsare, il quale va fatto dai giudici insieme al promotore o al sottopromotore, dichiarando quindi che essi non sono sospetti né sono esposti a qualche vizio visibile, cosí che meritano di essere compulsati; vizi invisibili non impediscono che si faccia la riproduzione […].
In sesto luogo, i predetti requisiti consistono nella citazione e nel giuramento degli esperti di dire la verità secondo il proprio ambito di conoscenza, cosí che ognuno di essi sia interrogato singolarmente circa la perizia nel riconoscimento delle scritture; infatti, se gli esperti fossero interrogati insieme, e non separatamente, la compulsazione sarebbe esposta al vizio di nullità […].
In settimo luogo, tra le cose sostanziali della compulsazione viene enumerato il giudizio degli esperti, che deve essere da essi formulato dopo aver diligentemente esaminato le scritture e dopo aver considerato la loro qualità, aggiungendo di credere, secondo la perizia dell’arte, che la scrittura sia di questo o di quell’autore, e risale a questo o a quel tempo, fornendo le motivazioni del loro giudizio. La stessa procedura si segue se nella scrittura ci fosse il giorno o la data, come dicono, benché essa da sola non prova né l’antichità né il tempo, se non concorrono gli altri elementi provenienti dai criteri interni della scrittura. […].
In ottavo luogo, poiché può accadere che le scritture, che devono essere compulsate, possano essere riconosciute o dal raffronto o dai testi che hanno conoscenza della mano di colui che scrisse, in questo caso per fare una valida compulsazione bisognerà osservare le cose esposte successivamente in questo stesso capitolo.
In ultimo luogo, in qualsiasi compulsazione, dopo il riconoscimento fatto da qualunque esperto, questi deve sottoscrivere insieme con i giudici, il promotore o i sottopromotori e il notaio attuario. Dopo aver adempiuto tutte le cose predette, si deve fare il raffronto e l’ascolto dell’esemplare o transunto con le scritture originali, destinando a questo scopo un altro notaio, nello stesso modo e forma di fare l’ascolto e il raffronto come è stato detto altrove; e completata ogni cosa, su mandato dei giudici le scritture autografe devono essere restituite a coloro che le hanno messe a disposizione”[33].
Particolare attenzione, secondo Lambertini, va data al riconoscimento degli scritti del servo di Dio[34], ove grande importanza rivestono i caratteri interni ed esterni, e specialmente l’individuazione della sua grafia, che forse è già nota ad occhi esperti. Non omette il giurista e promotore della fede una menzione specifica per la ricerca archivistica, in modo particolare per le istituzioni ove sono conservati i documenti relativi ai servi di Dio. A questo proposito egli osserva: “La regola generale è, perché la scrittura da compulsare possa essere ammessa per costituire un grado di prova, che essa debba essere presa o da un archivio pubblico, o da un archivio privato, custodito tuttavia da custodi particolari, e mentre non manchino documenti complementari che facciano fede della scrittura”[35]. Come esempi particolari di processi compulsoriali il Lambertini nomina quelli di Agnese di Montepulciano, Umile da Bisignano, Giovanni di Dio, Francesco Borgia, Nicola Factor, Giacomo della Marca, Giovanni Francesco Régis e Luigi Gonzaga.
Il secondo contributo specifico sull’importanza della ricerca storica e sul grado di prova dei documenti è costituito dal cap. 8 del III libro, ove viene analizzato tra l’altro il valore storico della documentazione, la credibilità degli storici e il valore probatorio da attribuire ai documenti e alle biografie dei servi di Dio. Nella parte iniziale si danno alcune idee generali sull’importanza della documentazione storica: rispetto alle escussioni testimoniali, essa non avrà mai pieno valore probatorio, ma solo valore di prova complementare; pur avendo sostanzialmente piena concordanza con i testi nell’esposizione dei fatti, la documentazione potrà soltanto “vim habere validi adminiculi”[36], anche se frutto di ricerche d’archivio[37].
Il grado di fede e credibilità della documentazione sarà sempre inferiore a quello delle deposizioni testimoniali, anche se l’autore del documento è stato testimone oculare dei fatti che racconta: a fare la differenza, come è stato già detto, è l’emissione del giuramento, che per i testi rappresenta una conferma e una garanzia di verità. Anche se lo storico scrivesse sotto giuramento, la sua testimonianza non avrebbe lo stesso valore dei testi, perché a lui mancherebbe il dibattito processuale costituito dalle domande rivolte dal giudice e dalle risposte formulate dal teste[38]. In definitiva alle escussioni testimoniali è attribuita e garantita piena forza e certezza probativa in base al giuramento emesso “de veritate dicenda super iis, super quibus examinabuntur”[39].
Secondo Lambertini, gli storici, e anche la documentazione storica da essi utilizzata, possono avere quattro gradi di fede e di credibilità. Il primo grado è costituito da coloro che misero in scritto gli eventi a cui furono partecipi o che videro accadere[40]: essi potrebbero essere definiti testi de visu. Il secondo grado è formato da coloro che non videro i fatti che espongono nelle loro opere, ma le appresero da coloro che furono ad esse presenti[41]: si tratta di testi de auditu a videntibus. Il terzo grado comprende coloro che espongono eventi a cui non parteciparono, né ascoltarono da coloro che furono ad essi presenti, ma sentirono da coloro ai quali furono narrate da coloro che li videro[42]: si tratta di testi de auditu ab audientibus. Il quarto ed ultimo grado di credibilità riguarda coloro che espongono i fatti dopo averne raccolto la documentazione da altre opere storiche inserite nei primi tre gradi[43].
Sui predetti quattro gradi Lambertini formula tutta una serie di osservazioni e di esemplificazioni, attribuendo credibilità maggiore ai primi due, cioè ai testi de visu e a quelli de auditu a videntibus, molto minore agli ultimi due. Fondamentale per lui è che gli storici siano integri, prudenti e degni di fede, e a questo riguardo fornisce tutta una serie di criteri particolari, concludendo in ogni caso che anche “historici probi et integri, quamvis scripserint ea quae viderunt, vel quae audiverunt ab his qui viderant, vim probationis habere non poterunt, sed tantum adminiculi”[44]. I documenti storici quindi possono essere ammessi nel dibattito processuale delle cause di beatificazione e di canonizzazione, “non in linea probationis, sed in linea adminiculi”[45].
La posizione dottrinale e spesso anche le formulazioni verbali di Prospero Lambertini sono state praticamente sostenute e ripetute quasi letteralmente lungo il corso dei secoli, fino alla riforma di Giovanni Paolo II. Per quanto riguarda ad esempio il carattere giuridico delle cause, cosí si dice nella costituzione apostolica Sacra Rituum Congregatio, promulgata da Paolo VI l’8 maggio 1969: “Sacra Congregatio in causis cognoscendis ad modum iudicii procedit”[46], sottolineando cosí in modo sostanziale il cursus iuridicus e l’indirizzo processuale-giuridico-testimoniale delle cause di canonizzazione. E per quanto riguarda la forza probativa da attribuire ai documenti storici, il Codice Piano Benedettino del 1917, anch’esso in questo dipendente letteralmente dal Lambertini, aveva già sentenziato: “Historica monumenta adminiculum tantum praestare possunt”[47]: alla documentazione storica viene riconosciuto quindi solo valore sussidiario e complementare, non forza probativa.
4. I precedenti della “Divinus perfectionis Magister”
A partire da quanto è stato detto finora, non è del tutto ingiustificato – per quanto riguarda la documentazione storica – affermare che la Divinus perfectionis Magister costituisce nelle procedure canoniche per la beatificazione e la canonizzazione una specie di rivoluzione copernicana. Va comunque detto che i suoi contenuti, per quanto riguarda il nostro argomento, non sono assolutamente nuovi. Negli anni precedenti alla sua promulgazione infatti erano stati effettuati dalla suprema autorità pontificia alcuni interventi – alcuni dei quali dotati di una sorprendente modernità – che miravano a mettere in maggior rilievo le scienze storiche e la ricerca documentaria nelle procedure per la canonizzazione dei santi.
Il primo di tali interventi si deve al Pio X, che in un decreto del 26 agosto 1913 formulò alcune prescrizione, che sarebbero passate poi quasi integralmente, anche se sembra inavvertitamente, nella Divinus perfectionis Magister. Il decreto[48], promulgato con il titolo di De aliquorum locorum disciplina in initio causarum Servorum Dei emendanda, et de historicis documentis ad ipsas causas recte adhibendis, disponeva nella prima parte che il titolo di Venerabile fosse concesso ai servi di Dio non all’atto dell’introduzione della Causa, ma solo dopo la promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtú e del martirio. La seconda parte del decreto De aliquorum locorum contiene varie disposizioni particolari, la prima delle quali ingiunge di chiamare a testimoniare nei processi, sotto pena di nullità dei processi stessi, anche i testi che sono contrari alla Causa.
Piú importanti per il nostro argomento sono le disposizioni successive. La n. II dispone che in tutte le Cause, soprattutto in quelle antiche, doveva essere ricercata e consultata tutta la documentazione storica edita ed inedita, sottoponendo eventualmente ad interrogatorio specifico i custodi dei relativi archivi pubblici e privati[49]. Nell’ambito di tale ricerca rientravano tutti gli archivi, anche gli archivi generali degli Ordini religiosi maschili e femminili e gli archivi centrali delle Congregazioni romane[50]. Tutti i documenti dovevano quindi essere sottoposti all’esame di esperti per verificarne l’autenticità e la forza probativa[51] ed essere quindi inseriti nella Positio[52]; in ogni caso le notizie per ogni biografia dei servi di Dio, da premettere alla Positio, dovevano essere “desumpta tum ex testibus tum ex documentis”[53].
Le disposizioni sopra segnalate di san Pio X erano formulate ottant’anni prima della Divinus perfectionis Magister, da cui furono riprese integralmente. Esse inizialmente non furono mai applicate: quattro anni dopo, con la promulgazione del Codice Piano Benedettino del 1917, furono praticamente spazzate via con il can. 2020 § 3, che riprendeva la dottrina lambertiniana e sanciva in modo laconico e asciutto: “Historica monumenta adminiculum tantum praestare possunt”.
Un intervento piú stabile e incisivo si deve a Pio XI, che il 6 febbraio 1930 promulgò il motu proprio Già da qualche tempo[54]. In esso Papa Ratti distingueva tra cause storiche e cause recenti. Erano cause storiche quelle che non disponevano di testi contemporanei ai fatti, la cui verità quindi doveva essere ricercata e appurata tramite la ricerca storica. Per questo motivo, ma anche “tenuto conto dello sviluppo raggiunto dalle discipline storiche e dei perfezionamenti portati ai loro metodi”, egli istituí nell’allora Congregazione dei Riti una Sezione Storica, con a capo un Relatore generale, al quale affidava competenza speciale sulle cause storiche e demandava il compito di effettuare o dirigere ramificate e appropriate investigazioni archivistiche per “la ricerca dei documenti e degli scritti attinenti alle cause”, in modo da dotare le cause stesse di adeguati apparati informativi di carattere e contenuto documentario[55].
Nell’ottobre dello stesso anno, come risulta dai Verbali delle Adunanze dell’allora Sezione Storica, furono stese alcune norme per la trattazione delle cause storiche, che non riguardavano però il valore della documentazione, ma facevano riferimento soprattutto al ruolo dei consultori, che venivano equiparati agli altri consultori della Congregazione dei Riti, sia per l’emissione del giuramento prescritto, sia per l’esposizione e il carattere dei voti da loro stesi e soggetti a discussione nelle cause storiche[56].
Molto importante è un ulteriore intervento di Pio XI, del 4 gennaio 1939, in cui si approvavano alcune norme elaborate dalla Congregazione dei Riti, relative all’istruzione del processo ordinario di una causa storica o antica[57]. Prima di iniziare la causa, il vescovo competente doveva nominare “Commissionem trium membrorum, quorum peritia circa historicas methodos et circa archivales investigationes omnino sit probata”, con il compito di “colligendi omnes fontes scriptos circa vitam, virtutes vel martyrium, antiquam famam sanctitatis vel martyrii, aut antiquum cultum Servi Dei”; oltre ad effettuare le ricerche storiche in archivi e biblioteche, i tre membri della Commissione Storica dovevano essere indotti ed ascoltati come testi ex officio: all’atto della loro escussione essi dovevano esporre il percorso investigativo compiuto e chiarificare l’autenticità e il valore dei documenti rinvenuti, i quali documenti dovevano tutti essere inseriti negli atti processuali con pieno valore di prova[58].
Si tratta di norme che furono in seguito discusse e approfondite nell’ambito della Sezione Storica, che ne chiarificò il contenuto tramite una specifica istruzione. In essa si affermava che il metodo di ricerca e di esposizione della Commissione Storica e i criteri da seguire dovevano essere quelli delle scienze storiche o “criteri storici”. Oggetto di investigazione documentaria non dovevano essere solo gli scritti del o sul Servo di Dio, ma anche quelli di “altre persone contemporanee o posteriori” che avevano scritto su di lui, enumerando in particolare come tipologie documentarie le “lettere, memoriali, diari, necrologi, registri, attestati vari, stampe, ecc.”. Particolare attenzione doveva essere dedicata alla contestualizzazione storica e al periodo formativo del Servo di Dio; le indagini inoltre dovevano essere estese a “tutti gli archivi e biblioteche ove si pensi trovare qualche cosa, siano civili che ecclesiastici, pubblici o privati”; i documenti dovevano essere trascritti “con la massima fedeltà e diligenza, avendo cura di apporre ad ognuno la catalogazione dell’archivio o della biblioteca che li conservano e ogni cambiamento di pagina o foglio”[59].
Questa normativa fu fatta propria della Congregazione delle Cause dei Santi – dopo che la Sezione Storica, in seguito alla Sacra Rituum Congregatio dell’8 maggio 1969, aveva assunto il nome di Ufficio Storico-Agiografico (n. 6) – tramite un decreto dello stesso Dicastero del 21 febbraio 1979, il cui contenuto fu esaminato e approvato da Giovanni Paolo II tre giorni dopo (Porsi 432-434). Tale decreto prevedeva da parte dell’ordinario, per “l’introduzione di cause di beatificazione e di canonizzazione [che procedono] per via ‘storica’, ossia sulla base di documenti”, l’istituzione di “una Commissione Storica composta da tre membri con il compito di raccogliere la documentazione relativa al Servo di Dio”. “Al termine dell’investigazione – continua il testo del decreto – i Commissari dovranno redigere un’ampia relazione critica sui documenti e la dovranno sottoscrivere”. Compito dell’Ordinario sarà allegare agli atti della causa i documenti rinvenuti e la relazione della Commissione Storica e inviare ogni cosa alla Congregazione delle Cause dei Santi, il cui Ufficio Storico-Agiografico “esaminerà questo materiale per accertarsi dell’esistenza della fama di santità del Servo di Dio e dell’assenza di ostacoli perentori”[60].
5. La ricerca archivistica nella attuale legislazione
Gli interventi legislativi pontifici, a partire dall’istituzione della Sezione Storica del 1930 da parte di Pio XI fino al decreto approvato da Giovanni Paolo II il 24 febbraio 1979, furono recepiti nella stesura della nuova Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister del 25 gennaio 1983, ma con una differenza sostanziale. Gli interventi precedenti alla Divinus perfectionis Magister prevedevano l’utilizzazione delle scienze storiche e della ricerca documentaria soltanto nelle cause storiche. La nuova Costituzione Apostolica estende invece praticamente a tutte le cause, sia storiche che recenti e anche recentissime, l’istituzione di una Commissione Storica e la necessità di dotare ogni causa di un completo apparato documentario, riguardante non solo gli scritti del Servo di Dio, ma anche di tutta la documentazione riguardante la sua persona, la sua vita e attività, oltre naturalmente all’ambiente e al contesto storico del suo percorso biografico. In questo modo l’approccio storico, e quindi l’indagine archivistica e l’investigazione documentaria, viene messo all’origine di ogni procedura e di ogni causa. Durante l’inchiesta diocesana, dopo aver fatto esaminare gli scritti editi del Servo di Dio da parte dei censori teologi, “Episcopus alia scripta inedita (epistulas, diaria etc.) necnon omnia documenta, quoquo modo causam respicientia, perquiri iubeat a personis ad hoc idoneis, quae, postquam munus suum fideliter expleverint, relationem da perquisitionibus factis componant”[61].
Tali direttive furono ulteriormente esplicitate nelle Normae servandae in Inquisitionibus ab episcopis faciendis in Causis Sanctorum del 7 febbraio 1983. In tutte le cause, antiche e recenti, dovevano essere raccolti, da parte di una commissione storica costituita da “periti in re historica et archivistica”[62], non solo “omnia scripta edita Servi Dei in authentico exemplari”[63], ma anche “omnia et singula historica documenta, sive manuscripta sive typis edita, quoquo modo causam respicientia”[64].
Le stesse prescrizioni vengono ripetute nell’istruzione Sanctorum Mater, approvata da Benedetto XVI il 22 febbraio 2007[65], ove si parla di “almeno tre periti in materia storica ed archivistica”, con il compito di “ricercare e raccogliere tutti gli scritti del Servo di Dio non ancora editi, come pure tutti e singoli i documenti storici, sia manoscritti sia stampati, riguardanti in qualunque modo la causa”[66]. Sullo stesso argomento l’istruzione chiarificava ulteriormente che “le ricerche dei documenti vanno svolte negli archivi di tutti i luoghi dove il Servo di Dio ha vissuto ed operato”[67], seguendo tutti i passi, gli spostamenti, gli interessi, le competenze, gli incarichi e l’intera attività del Servo di Dio, dalla nascita alla morte, e tenendo conto di tutti gli archivi, religiosi e civili, pubblici e privati.
Si può affermare in conclusione che, in conseguenza di questi interventi legislativi, le scienze storiche e l’investigazione archivistico-documentaria acquistano e svolgono un ruolo fondamentale in tutte le procedure canoniche di beatificazione e di canonizzazione. Tutte le cause quindi, e non solo quelle storiche, devono avere alla loro base due colonne portanti: da un lato le escussioni testimoniali, dall’altro una solida e completa investigazione documentaria sul contesto storico, sulla vita e su tutta l’attività del Servo di Dio.
Un accento particolare viene posto sulla serietà e sulla competenza dei membri della commissione storica nel loro lavoro investigativo. La stessa serietà e competenza deve caratterizzare sia il personale esterno del Dicastero, come i postulatori e i collaboratori, sia il personale interno, come i relatori e i consultori. Si tratta di una situazione che fu molto bene sintetizzata nelle parole che Benedetto XVI rivolse il 24 aprile 2006 alla Sessione Plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi e che sono cosí formulate: “Le Cause vanno istruite con somma cura, cercando diligentemente la verità storica, attraverso prove testimoniali e documentali omnino plenae, poiché esse non hanno altra finalità che la gloria di Dio e il bene spirituale della Chiesa e di quanti sono alla ricerca della verità e della perfezione evangelica”[68].
Finalità delle Cause di canonizzazione – seguendo l’espressione ora riferita di Benedetto XVI – è “la gloria di Dio e il bene spirituale della Chiesa e di quanti sono alla ricerca della verità e della perfezione evangelica”. Si tratta di un programma che può essere inserito nel percorso della nuova evangelizzazione. Ad essa anche la ricerca archivistica può dare il suo contributo.
Per concludere vorrei ancora formulare un problema, non ancora pienamente discusso e risolto su base legislativa, ma in qualche caso già emerso nella complessa e varia casistica delle cause dei Santi. Esso può essere cosí presentato: come bisogna procedere se non esiste omogeneità, anzi contrasto e discrepanza, tra le escussioni testimoniali e la documentazione storica? Sulla base della prassi seguita dal Dicastero in alcune Cause, che non è il caso qui di riportare, si può affermare che si tende a dare alla documentazione storica una maggiore forza probativa rispetto alle escussioni testimoniali, soprattutto se esse sono tardive o emesse da testi non de visu, tanto da giungere anche al blocco o, come si dice in linguaggio curiale, al reponatur di alcune cause (Rascher). Una teorizzazione definitiva di tale problematica, che accentuasse la forza probativa della documentazione storica rispetto a quella testimoniale, la quale potrebbe a questo punto essere considerata adminiculum, consentirebbe di parlare, nelle procedure per le canonizzazioni dei santi, non di una certa, ma di una vera rivoluzione copernicana. Grazie
Forza dei documenti: l. II, cap. XXXVI, n. 17 (p. 90-91): Prospero Lambertini si oppose alla segnatura della commissione per l’introduzione del processo di Giovanna Francesca Frémiot di Chantal perché mancavano testi de visu; la Congregazione fu a favore, “dal momento che fu considerato essere possibile che nei processi apostolici, da istruire successivamente, sarebbero stati rinvenuti documenti storici a lei contemporanei, attestati dei confessori della Serva di Dio e altra documentazione simile, la quale, unita ai testi auricolari che avevano ascoltato da quelli che avevano visto, avrebbe costituito una prova sufficiente”.
l. II, cap. XL, n. 1 (p. 138): documenti storici e altro (offerte, tavole votive) “non poterunt constituere perfectam sive adaequadatm famae probationem, sed erunt tantum pura adminicula” (la documentazione storica e altro “non potranno costituire una prova perfetta o adeguata della fama, ma saranno soltanto pure prove di complemento”)
P. Vincenzo Criscuolo, o.f.m.cap.
Relatore generale del Dicastero
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[1] Cf. L’Osservatore Romano, 27 febbraio 1983, p. 1-2, ove la Divinus perfectionis Magister viene presentata come “Costituzione Apostolica circa nuove forme di procedura nelle Cause dei Santi”.
[2] Il testo originale in latino della Costituzione Apostolica Divinus perfectionis Magister, dopo che ne L’Osservatore Romano, fu pubblicato ufficialmente in Acta Apostolicae Sedis 75 (1983) 349-355. Successivamente è stato piú volte tradotto e riedito: edizione ufficiale con il testo originale in latino e traduzione in italiano deve considerarsi quella edita a cura della Congregazione delle Cause dei Santi, Novae leges pro Causis Sanctorum A. D. 1983 promulgatae, Romae 1995, 3-15. L’ultima edizione, ma solo del testo in italiano, deve considerarsi quella inserita nel volume Le Cause dei Santi. Sussidio per lo “Studium”, a cura di Vincenzo Criscuolo, Daniel Ols e Robert J. Sarno, II ediz., Città del Vaticano 2012, 379-386. Buone introduzioni e commenti alla stessa Costituzione Apostolica sono: Fabijan Veraja, Commento alla nuova legislazione per le Cause dei Santi (Sussidi per lo Studio delle Cause dei Santi, 1), Roma 1983; Luigi Porsi, Cause di canonizzazione e procedura nella Cost. Apost. “Divinus perfectionis magister”: considerazioni e valutazioni, in Monitor ecclesiasticus 90 (1985) 365-400; F. Veraja, Le Cause di canonizzazione dei Santi. Commento alla legislazione e guida pratica, Città del Vaticano 1992. Sull’argomento del presente intervento si potrà consultare con frutto anche il volume miscellaneo El siglo de los mártires. Aproximación al contexto histórico de los años treinta del signor XX en España (Conferencia Episcopal Española. Oficina para las Causas de los Santos. Encuentros y Congresos, 6), a cura di M.a Encarnación González Rodríguez, Madrid 2013, ove hanno particolare rilievo i seguenti contributi: Ramón Fita Revert, Los archivos eclésiasticos. El archivo diocesano, 197-225; Alfredo Simón, El contexto histórico y el método científico, 273-278; Fidel González Fernández, La investigación histórica en las Causas de los Santos, 279-295.
[3] Divinus perfectionis Magister II, art. 10: “Presso la Sacra Congregazione vi è un Promotore della fede o Prelato teologo, cui spetta: 1° presiedere al Congresso dei teologi, nel quale dà il voto; 2° preparare la relazione sullo stesso Convegno; 3° partecipare in qualità di esperto, ma senza voto, alla congregazione dei Padri Cardinali e Vescovi”.
[4] Divinus perfectionis Magister II, art. 6: “Per lo studio delle cause presso la Sacra Congregazione c’è il Collegio dei Relatori, presieduto dal Relatore generale”; art. 7: “Ai singoli Relatori spetta: 1° studiare con i collaboratori esterni le cause loro affidate e preparare le Posizioni sulle virtú o sul martirio; 2° redigere per scritto chiarimenti storici, se eventualmente siano richiesti dai Consultori; 3° partecipare come esperti al Congresso dei teologi, ma senza voto”.
[5] Divinus perfectionis Magister I, art. 1: “Ai Vescovi diocesani, agli Eparchi e quanti ad essi sono equiparati dal diritto, nell’ambito della propria giurisdizione, sia di ufficio sia ad istanza di singoli fedeli e di legittime associazioni e dei loro rappresentanti, compete il diritto di investigare sulla vita, le virtú o il martirio e sulla fama di santità o di martirio, sui presunti miracoli ed eventualmente sul culto antico di un Servo di Dio, di cui si chiede la canonizzazione”.
[6] Per l’edizione ufficiale in latino delle Normae servandae cf. Acta Apostolicae Sedis 75 (1983) 396-403. Il testo con traduzione italiana si rinviene in Novae leges pro Causis Sanctorum, 16-33, mentre per la sola traduzione italiana cf. Le Cause dei Santi, 387-394.
[7] Queste riflessioni vengono approfondite soprattutto da L. Porsi nell’articolo citato: Cause di canonizzazione e procedura; cf. anche Idem, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione dall’anno 993 all’anno 2000. Collezione (Sussidi per lo studio delle Cause dei Santi, 9), Roma 2006, spec. 531-535.
[8] Il testo della bolla Rex pacificus, del 5 settembre 1234, si ritrova in Bullarium, diplomatum et privilegiorum sanctorum Romanorum pontificum… [in seguito: Bullarium Romanum], vol. III, Augustae Taurinorum MDCCCLVIII [Torino 1858], 485.
[9] Per la relativa costituzione apostolica Immensae aeterni Dei cf. Bullarium Romanum, vol. VIII, Torino 1863, 985-999.
[10] Sull’attività di Prospero Lambertini come promotore della fede della Congregazione dei Sacri Riti e sull’attività da lui svolta in tale incarico cf. V. Criscuolo, Prospero Lambertini (Benedetto XIV) Promotore della Fede presso la Congregazione dei Riti, in Signum in bonum. Festschrift für Wilhem Imkamp zum 60. Geburtstag, a cura di Nicolaus U. Buhlmann e Peter Styra, Regensburg 2011, 125-217.
[11] Si tratta dell’ottava edizione dell’opus maximum di Benedetto XIV, attualmente in corso di traduzione e di pubblicazione con i tipi della Libreria Editrice Vaticana. La prima edizione, come si dice nel testo, fu pubblicata a Bologna tra il 1734 e il 1738, la seconda a Padova nel 1743, la terza a Roma tra il 1747 e il 1751, la quarta a Venezia e Bassano nel 1766, la quinta a Bassano nel 1767, la sesta a Roma tra il 1787 e il 1792, la settima a Prato dal 1839 al 1847. Nel presente contributo per i primi due volumi in quattro tomi si farà riferimento all’edizione in corso, in cui sono rispettivamente apparsi i seguenti volumi: Benedetto XIV (Prospero Lambertini), De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione | La beatificazione dei servi di Dio e la canonizzazione dei beati, a cura di V. Criscuolo, vol. I/1, Città del Vaticano 2010; vol. I/2, 2011; vol. II/1, 2012; vol. II/2, 2013. Per i volumi successivi, cioè il III e il IV, punto di riferimento sarà l’edizione aldina di Prato, pubblicati rispettivamente nel 1840 e nel 1841.
[12] De servorum Dei beatificatione, lib. II, cap. XLVII, n. 6 (Città del Vaticano 2013, 293).
[13] Ivi, lib. II, cap. XLVIII, n. 4 (ivi, 312).
[14] Ivi, lib. II, cap. LIII, n. 1 (ivi, 435).
[15] Ivi, lib. II, cap. LIII, n. 5 (ivi, 439).
[16] Ivi, lib. III, cap. III, n. 25 (Prato 1940, 28). Sulla necessità di procedere nelle cause di beatificazione “cum omni rigore” cf. anche ivi, lib. I, cap. XIX, n. 20 (Città del Vaticano 2010, 436); lib. I, cap. XXXII, n. 6 (ivi, 641), lib. I, cap. XLVI, n. 5 (Città del Vaticano 2011, 192), lib. II, app. XIV (ivi, 689); lib. II, cap. XV, n. 9 (Città del Vaticano 2012, 274), lib. II, cap. XV, n. 14 (ivi, 284 e 284); lib. II, cap. XXI, n. 10 (ivi, 407); lib. II, cap. XLVII, n. 7 (Città del Vaticano 2013, 302?; lib. II, cap. XLVIII, n. 11 (ivi, 328); lib. II, cap. XLIX, n. 13 (ivi, 364); lib. II, app. II (ivi, 561).
[17] Ivi, lib. III, cap. III, n. 2 (Prato 1840, 16).
[18] Ivi, lib. II, cap. XL, n. 7 (Città del Vaticano 2013, 145).
[19] “Est enim gravior quam criminalis”: ivi, lib. III, cap. IV, n. 2 (Prato 1840, 31).
[20] Ivi, lib. III, cap. IV, n. 6 (ivi, 34). Per la verità, come è stato osservato da un insigne giurista dei nostri giorni, si tratta di “cause criminali alla rovescia, in quanto non si tratta di accertare l’esistenza di un crimine e la colpevolezza di un reo con la conseguente inflizione di una condanna, bensí di riconoscere e proclamare la santità eroica o il martirio di un Servo di Dio, al fine di concedergli gli onori del culto ecclesiastico pubblico”: cf. L. Porsi, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 376.
[21] Cf. ad esempio ivi, lib. II, cap. L, n. 7 (Città del Vaticano 2013, 390-392).
[22] Ivi, lib. II, cap. LIII, n. 6 (ivi, 440): “Nec enim quidquam officit, quod causae Beatificationis et Canonizationis aequiparentur causis criminalibus, in quibus ante litem contestatam non permittitur examen testium”.
[23] Ivi, lib. III, cap. III, n. 2 (Prati 1840, 16). La conclusione lambertiniana, basata anche sulla sua esperienza ventennale di promotore della fede, è la seguente: “Cum etenim causae Canonizationis sint de maioribus, quae in Ecclesia tractari possint, sint arduae atque difficiles, cautissime in eis agendum est; et una quidem ex cautelis ea esse videtur, ut probationes rigorose excipiantur, et idcirco aequiparentur probationibus in causis criminalibus, in quibus res est de imponenda reo poena ordinaria [...]; et ipse, qui tot annorum spatio interfui Congregationibus sacrorum rituum uti Fidei Promotor, et uti Congregationis Consultor, testari possum, me semper ab antiquioribus Cardinalibus et Consultoribus audivisse, in causis procedentibus per viam non cultus probationes in dubio virtutum debere esse, quantum fieri potest, aequalis ponderis probationibus in causis criminalibus”: ivi. Allo stesso riguardo vengono formulate varie osservazioni in tutto il corso del capitolo.
[24] L. Porsi, Cause di canonizzazione e procedura, 376.
[25] De servorum Dei beatificatione, lib. II, cap. XLIX, n. 16 (Città del Vaticano 2013, 368).
[26] Sulla solennità del giuramento da parte dei testi e sulla sua importanza si veda De servorum Dei beatificatione, lib. II, cap. XLIV, n. 15 (Città del Vaticano 2013, 233); lib. II, cap. XLIX, n. 7 (ivi, 354).
[27] Ivi, lib. II, cap. XLVIII, n. 6 (Città del Vaticano 2013, 319).
[28] Cf. ad esempio De servorum Dei beatificatione, lib. I, cap. XLI, n. 14 (Città del Vaticano 2011, 45); lib. I, append. III (ivi, 459); lib. II, cap. III, n. 7 (Città del Vaticano 2012, 62); lib. II, cap. XXIII, n. 7 (ivi, 435); lib. II, cap. XXIV, n. 173 (ivi, 624); lib. II, cap. XXXIV, n. 5 (Città del Vaticano 2013, 43); lib. II, cap. XLII, n. 7 (ivi, 434 e 438); lib. II, cap. LIV, n. 13 (ivi, 490).
[29] Cf. ivi, lib. II, cap. III, n. 8 (Città del Vaticano 2012, 62-63); lib. II, cap. VI, n. 7 (ivi, 106); lib. II, cap. XV, n. 17 (ivi, 288).
[30] Ivi, lib. II, cap. XL, n. 1 (Città del Vaticano 2013, 142).
[31] Ivi, lib. II, cap. LIV, n. 13 (ivi, 490).
[32] Ivi, lib. II, cap. LII, n. 2 (ivi, 425).
[33] Ivi, lib II, cap. LII, n. 3 (ivi, 426-429).
[34] Ivi, lib. II, cap. LII, n. 5 (ivi, 431-432): “Si è detto che può accadere che nella compulsazione delle scritture si debba fare il riconoscimento per raffronto, ad esempio se i postulatori vogliono compulsare gli scritti del servo di Dio o di qualche storico che parla di lui, sui quali non consta che fossero stati scritti o dal servo di Dio o dallo storico; in questo caso quindi non sarà inutile il modo di fare il riconoscimento, che si dice per raffronto, prima che gli scritti vengano compulsati. Tuttavia questo riconoscimento per raffronto […] per la sua validità esige le seguenti condizioni. La prima è che manchi ogni altra prova, dal momento che il riconoscimento per raffronto è soltanto una prova sussidiaria. La seconda condizione è che il postulatore della causa giuri di non avere alcun altro modo di prova e di essere pervenuto a tale raffronto non con l’intenzione di cavillare […]. La terza è che la scrittura, con la quale si fa il raffronto, sia del tutto certa; mancando infatti tale certezza, si chiede invano il raffronto per riconoscere una scrittura incerta. La quarta, che dai giudici o dal giudice vengano eletti almeno due periti. La quinta, che i periti giurino di non essere motivati né da speranza di lucro, né da qualche vantaggio, né da supplica, né da odio per dare il proprio giudizio tra la scrittura che viene raffrontata e la scrittura con cui si fa il raffronto […]. La sesta condizione è che i periti facciano la relazione in scritto, apportando le motivazioni del loro giudizio […]”.
[35] Ivi, lib. II, cap. LII, n. 7 (ivi, 434).
[36] Ivi, lib. III, cap. VIII, n. 2 e 6 (Prato 1840, 63 e 64). Cf. anche lib. III, cap. VIII, n. 4 (ivi, 64), ove si insiste sulla prova sussidiaria e complementare della documentazione storica: “In causis quippe praedictis fit locus probationi subsidiariae, et in linea probationis subsidiariae suum sibi videntur locum vindicare debere historiae et historica monumenta”.
[37] Parlando delle lettere compulsoriali, si afferma che esse “ad id prosunt, ut ex archivis et historiis monumenta et particulae ad rem facientes extrahantur, et in processum inserantur; quod utique superfluum esset, si monumenta historica vim et efficaciam saltem adminiculi habere non deberent”: ivi, lib. III, cap. VIII, n. 6 (ivi, 64).
[38] “Si vero Historicus tanquam testis de visu miraculum referret patratum intercessione Servi Dei, vel Beati, nec ipse solus, sed alius etiam Historicus simili modo rem exponeret, vim tamen probationis in his iudiciis habere non possent; cum ex alibi dictis testes etiam de visu, ut probent, debeant iuramento quidquid referunt firmare. Insuper si Historici de visu et adhibito iuramento testarentur, quod tamen non ita facile accidit, adhuc probatio in eorum dictis constitui non posset; cum praeter iuramentum, necesse sit, ut testes interrogentur, et in responsionibus satisfaciant interrogatoriis fidei Promotoris: qua ex re nemo est qui non videat quam magnum derivetur in testium veracitatem praesidium”: ivi, lib. III, cap. VIII, n. 3 (ivi, 64).
[39] Ivi, lib. II, append. 1 (Città del Vaticano 2013, 229).
[40] Ivi, lib. III, cap. VIII, n. 8 (Prato 1840, 65): “primus scilicet eorum, qui ea, quibus interfuerunt, quaeque geri viderunt, litteris tradiderunt”.
[41] Ivi: “Secundus gradus est eorum, qui non viderunt ea quae narrant, sed ab iis acceperunt, qui viderunt”.
[42] Ivi: “Tertius gradus est eorum, qui referunt ea quae non viderunt, nec audiverunt ab iis qui viderunt, sed ab iis, quibus qui viderant, narraverunt”.
[43] Ivi: “Quartus tandem gradus est eorum, qui ex historiis conditionis et gradus modo explicati monumenta quae edunt, collegerunt”.
[44] Ivi, lib. III, cap. VIII, n. 12 (Prato 1840, 69).
[45] Ivi.
[46] Acta Apostolicae Sedis 61 (1969) 301, n. 6.
[47] Codex Iuris Canonici 1917, can 2020, § 3.
[48] Per il testo ufficiale cf. Acta Apostolicae Sedis 5 (1913) 436-438. Negli anni successivi è stato piú volte ripubblicato, e recentemente è stato inserito da Luigi Porsi nel suo Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 325-327.
[49] De aliquorum locorum, 437: “In omnibus causis, praesertim antiquis, cum processu ordinario sive informativo compulsentur omnia et singula historica documenta sive manuscripta, sive typis edita, quae quocumque modo causam respiciant quae agitatur. Ad hoc non modo monenti sunt detinentes iura compulsanda, u tea Ordinario exhibeant; sed, si res postulaverit, examini subiiciendi erunt sub religione sacramenti custodes cuiusvis archivi vel tabularii publici sive privati; summa quoque diligentia et industria curandum est ut cuiuslibet generis documenta ad causam conferentia conquirantus,q uae omnia et singula cognoscenda sunt”.
[50] Ivi, 438: “Antequam in Congregatione ordinaria discutiatur dubium super introductione Causae, sacrorum Rituum Congregationis erit exquirere, pro re nata, documenta apud Curias, uti vocant, generalitias Ordinum et Institutorum religiosorum tum virorum tum foeminarum, necnon in tabulariis sacrarum Romanarum Congregationum, et ubicumque iure praesumitur ea posse reperiri”.
[51] Ivi: “Omnia et singula documenta, sive compulsata cum processu ordinario, sive a S. R. C. [Sacrorum Rituum Congregatione] collecta, subiiciantur iudicio peritorum a S. R. C. eligendorum, qui scriptis doceant de eorum auctoritate et vi. Promotori vero fidei, antequam indicetur Congregatio ordinaria pro introductione causae, omnia documenta exhibeantur una cum sententia peritorum”.
[52] Ivi: “Documenta potiora praecipue ex integro typis edantur, praenotatis nomine auctoris, tempore, loco et ceteris id genus adiunctis, atque inserantur Positionibus super virtutibus vel martyrio, una cum relatione peritorum, quod supra memoravimus, de auctoritate et vi documentorum”.
[53] Ivi.
[54] Per il testo cf. Acta Apostolicae Sedis 22 (1930) 87-88. Cf. anche L. Porsi, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 366-368, anche 529.
[55] Un ottimo studio sull’istituzione della Sezione Storica da parte di Pio XI, sull’organizzazione interna, sul metodo di lavoro e sui suoi risultati si deve al terzo Relatore Generale di essa, cioè a mons. Amato Pietro Frutaz, La Sezione Storica della Sacra Congregazione dei Riti. Origini e metodo di lavoro (Documenti e studi sulle Cause dei Santi, 1), II ediz., Città del Vaticano 1964.
[56] Per il testo di tali Normae de tractatione Causarum in Sectione Historica S. Rituum Congregationis”, approvate da Pio XI il 22 ottobre 1930, cf. A. P. Frutaz, La Sezione Storica, 55-56; L. Porsi, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 368-369.
[57] Il testo originale si ritrova pubblicato in Acta Apostolicae Sedis 31 (1939) 174-175. Cf. anche A. P. Frutaz, La Sezione Storica, 19-21; L. Porsi, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 380-381.
[58] Acta Apostolicae Sedis 31 (1939) 175: “Qui sunt membra Commissionis induci debent uti “testes ex officio”, tum in Processum super perquisitione scriptorum, in quo scripta Servi Dei quae suis investigationibus ipsi invenerint deponent, tum in Processum super fama sanctitatis, virtutum vel martyrii et miraculorum. In hoc altero Processu iisdem erit enumerare ac descrivere singillatim quas ipsi peregerint investigationes. Praeterea sub sanctitate iuramenti declarare debent: 1° omnes investigationes peregisse ac omnia collegisse quae ad Servum Dei quomodocumque referri possint; 2° nullum documentum aut textum adulterasse vel mutilasse. Iidem vero testes interrogandi quoque sunt circa authenticitatem et valorem singulorum documentorum vel textuum allatorum. Documenta et testimonia scripta, in praedicta investigazione collecta, inseri debent in Procesum, aut in originali, aut in originalis copia photographice expressa, aut in exemplo authentice recognito”.
[59] Cf. L. Porsi, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 381-383.
[60] Il testo originale del decreto si conserva nell’Archivio della Congregazione delle Cause dei Santi, Decreta 1979, f. 34r-36r. Esso è stato pubblicato da L. Porsi, Leggi della Chiesa su beatificazione e canonizzazione, 432-434.
[61] Divinus perfectionis Magister, parte I, art. 2, 3°.
[62] Normae servandae, art. 14 b.
[63] Ivi, art. 10, 2°.
[64] Ivi, art. 14 a.
[65] Il testo della Sanctorum Mater è stato pubblicato in lingua italiana in Acta Apostolicae Sedis 99 (2007) 465-510. Da parte del Dicastero della stessa Instructio sono state approntate in appositi opuscoli le traduzioni nelle lingue ufficialmente riconosciute dalla Congregazione delle Cause dei Santi (latino, italiano, francese, spagnolo, inglese e portoghese). La piú recente pubblicazione in italiano si rinviene nel volume Le Cause dei Santi, 400-447.
[66] Sanctorum Mater, art. 68, § 1 e 2.
[67] Ivi, art. 71.
[68] Acta Apostolicae Sedis 98 (2006) 398.