Uccisi “semplicemente” perché cristiani
I 21 copti che nel 2015 trovarono la morte in Libia
«Forse la maggior gloria della Chiesa copta è la sua croce». Così è scritto sul sito della diocesi della Chiesa copta ortodossa di Milano, dove si legge ancora che «i copti sono orgogliosi delle persecuzioni che dovettero sostenere a cominciare dal martirio del loro patrono san Marco, soprattutto durante l’era romana», quando perfino l’imperatore Diocleziano si era recato ad Alessandria, in Egitto, per praticare personalmente la persecuzione. Per il gran numero di martiri tra i suoi fedeli e il loro coraggio nell’andare incontro anche alla morte per testimoniare la fede, quella copta ortodossa viene denominata infatti “Chiesa dei martiri”. Oggi costituisce la comunità cristiana più numerosa del Medio Oriente, e in Egitto dove ha avuto origine, rappresenta la più grande minoranza religiosa del Paese, essendo professata da circa il 15% della popolazione.
Un coraggio, quello dei copti, dimostrato di fronte al mondo dai 20 egiziani e un ghanese, che il 15 febbraio 2015 vennero sgozzati sulla spiaggia di Sirte, in Libia, dove si trovavano per lavoro. Ad ucciderli gli uomini del sedicente Stato islamico (Is), in uno dei periodi più neri nella regione a causa dell’integralismo religioso. «Questi martiri sono stati battezzati non solo nell’acqua e nello Spirito, ma anche nel sangue, con un sangue che è seme di unità per tutti i seguaci di Cristo», ha detto Papa Francesco in un videomessaggio in occasione della commemorazione, il 15 febbraio 2021, dei copti canonizzati dalla loro Chiesa. Per poi annunciare, nell’incontro in Vaticano con Tawadros II, Papa di Alessandria e capo della Chiesa ortodossa copta d’Egitto, l’11 maggio di quest’anno, che «con il consenso di Vostra Santità, questi 21 martiri saranno inseriti nel Martirologio Romano come segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese».
Un pensiero ribadito dal Vescovo di Roma anche nella recente Lettera che istituisce la “Commissione Nuovi Martiri” con l’obiettivo di raccogliere le testimonianze di vita, fino allo spargimento del sangue per Cristo, negli ultimi 25 anni, ricerca estesa a tutte le confessioni cristiane e non soltanto ai cattolici. I corpi dei 21 copti furono ritrovati sepolti in una fossa comune, vestiti con gli stessi abiti di colore arancione che indossavano nel momento dell’esecuzione. In loro onore è stata edificata ad Al-Aour una chiesa intitolata ai Martiri della Fede e della Patria, visitata da fedeli provenienti da tutto l’Egitto. Del valore del martirio nella Chiesa copta, parla ai media vaticani, il gesuita Philippe Luisier, docente di lingua copta al Pontificio Istituto Orientale di Roma:
Padre Luisier, qual è l’importanza dei martiri nel mondo copto di oggi e soprattutto che peso ha la vicenda dei 21 cristiani membri della Chiesa copta uccisi nel 2015?
Se conosciamo a fondo la realtà della Chiesa copta, vediamo che in essa il martirio è una cosa fondamentale. C’è da dire che per i copti ha una grande importanza il monachesimo — che ha influenzato molto quello occidentale il quale deve tutto al monachesimo di san Pacomio — e che c’è una realtà molto forte del martirio, dei martiri nella Chiesa copta. Non solo dei martiri — che sono molto numerosi — dell’epoca di Diocleziano, specialmente nell’Alto Egitto, quasi tutti della regione di Samàlut a circa 200 chilometri a sud del Cairo, nella valle del Nilo. Lì, ogni 10 chilometri c’è un santo martire o un monaco che è il perno della Chiesa locale. Oltre ai martiri di Diocleziano, ci sono anche i neomartiri, ossia quelli che sono stati uccisi dopo l’arrivo nel Paese dei musulmani. I martiri di oggi, quelli del 2015, continuano una ricchissima tradizione e sono anche legati alla liturgia della Chiesa. Erano diaconi, quindi le figure di questi martiri sono fortemente radicate nella Chiesa copta dell’Alto Egitto. E si tratta di testimoni molto validi per l’Egitto di oggi.
La Lettera con cui Papa Francesco istituisce la “Commissione Nuovi Martiri - Testimoni della Fede” conferma il valore di quell’ecumenismo del sangue del quale il Pontefice ha parlato spesso...
Sì, assolutamente. Non dimentichiamo che siamo in preparazione dell’Anno santo del 2025 e già nel Grande giubileo del 2000 si era aperta una visione molto più ecumenica del martirio per far conoscere tutti i martiri cristiani dichiarati tali per la loro testimonianza del nome di Gesù Cristo. I martiri copti sono stati martirizzati perché erano semplicemente cristiani, non hanno testimoniato nient’altro, non avevano nient’altro da testimoniare se non il fatto di essere cristiani. Questa, in vista del Giubileo del 2025, può essere una bella testimonianza di ecumenismo del sangue, ma anche dell’unità nella stessa fede in Gesù Cristo.
L’Osservatore Romano, 14 luglio 2023
Oliver Bonnel e Adriana Masotti