Alla radice del suo magistero il nome Francesco e la misericordia

 

Alla radice del suo magistero il nome Francesco e la misericordia

Intervento sul quotidiano Avvenire del 13 marzo 2023

 

Nel presentarsi alla folla radunata in piazza san Pietro e così pure a tutta la Chiesa, san Giovanni Paolo II disse che i cardinali lo avevano «chiamato da un paese lontano...». Nel compiere il medesimo gesto il 13 marzo 2013, il nuovo Papa allargò gli orizzonti e disse: «Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo». Forse era più che una constatazione. È noto, difatti, che nel suo intervento durante gli incontri prima del Conclave Jorge Mario Bergoglio aveva parlato di una Chiesa «chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell'ingiustizia, quelle dell'ignoranza e dell'assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria». Anticipava così un linguaggio che, a distanza di dieci anni, se pure ci è divenuto familiare, rimane senz'altro un compito da attuare. Sempre, sino alla fine dei tempi.

Forse, in quel saluto iniziale il nuovo Papa intendeva dire che, una volta raggiunta la periferia geografica, appariva ancora più urgente muoversi con slancio verso tutte le altre «periferie». Probabilmente anche per questo scelse come suo primo viaggio apostolico quello a Lampedusa, l'8 luglio 2013. Due domande pose, quel giorno: «Adamo dove sei?», «Dov'è il sangue di tuo fratello?». La prima era rivolta all'uomo (soprattutto dell'Occidente) «che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio». È una domanda cui il Papa stesso cercherà di dare una risposta con l'enciclica Laudato si'. Per l'altro interrogativo indicherà una risposta nell'enciclica Fratelli tutti. A Lampedusa disse comunque che quella domanda è rivolta a ciascuno e spiegò: «Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po' di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte». Le date, a questo punto, tragicamente si sovrappongono sicché il 2013 diventa 2023! Quella sera del 13 marzo di dieci anni or sono, però, a meravigliare non fu tanto quella «fine del mondo», cui forse non si badò, quanto soprattutto la scelta del nome che poco prima era stato annunciato dal cardinale protodiacono Jean-Louis Pierre Tauran. La storia di quella scelta la raccontò lo stesso Papa incontrando i rappresentanti dei media nell'udienza del 16 marzo 2013: il santo di Assisi portava con sé la memoria dei poveri, della pace, del creato, della «Chiesa povera e per i poveri». Nel telegramma inviato all'arcivescovo di São Paulo per la morte del cardinale Hummes, il Papa scrisse: «Conservo sempre vive nella mia memoria le parole che il vescovo Claudio mi disse il 13 marzo 2013, chiedendomi di non dimenticare i poveri». Alle origini della scelta di un nome sino ad allora «inedito» nella storia dei Papi è tuttavia possibile rinvenire pure altri significati. Uno è interno alla vicenda biografica sia del santo di Assisi, sia di Jorge Mario Bergoglio e consiste nel primato della misericordia. Per il primo, lo scrive egli stesso nel suo testamento dove traccia quella che era stata la svolta della propria vita; meglio, il suo momento di grazia, il suo kairos. Si legge: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia». Meditando sul fatto il padre Raniero Cantalamessa dirà che san Francesco «non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire in seconde nozze, Madonna Povertà».

Qualcosa di simile potrà dirsi di J. M. Bergoglio: anch'egli più volte riporterà la propria scelta di vita (la sua vocazione) all'esperienza della misericordia. Molto dettagliatamente la descriverà nell'intervista rilasciata ad Andrea Tornielli nell'estate 2015. Rievocando la sua decisiva esperienza della misericordia divina, il Papa disse: «Penso a padre Carlos Duarte Ibarra, il confessore che incontrai nella mia parrocchia quel 21 settembre 1953, nel giorno in cui la Chiesa celebra san Matteo apostolo ed evangelista. Avevo 17 anni. Mi sentii accolto dalla misericordia di Dio confessandomi da lui». Egli fece così l'esperienza di quel miserando atque eligendo, che poi avrebbe scelto come motto episcopale. Sotto quella scelta di nome fatta il 13 marzo 2013 c'è, dunque, tutta un'esperienza di vita, che ora si traduce pure in magistero. Un magistero del quale, non v'è dubbio, il principio architettonico è proprio la misericordia. Nell'Udienza generale del 18 marzo 2020 dettata dal palazzo apostolico perché si era in tempo di Covid Francesco disse: «La misericordia non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana: non c'è cristianesimo senza misericordia. Se tutto il nostro cristianesimo non ci porta alla misericordia, abbiamo sbagliato strada, perché la misericordia è l'unica vera meta di ogni cammino spirituale. Essa è uno dei frutti più belli della carità».

 

Marcello Card. Semeraro