Apertura dell'anno Ignaziano

La santità: discernere la presenza di Dio, e trovarlo in tutte le cose

 

    «Discernere la presenza di Dio e trovarlo in tutte le cose». Non c’è alcun dubbio: il titolo assegnatomi per questo incontro rimanda senza mezzi termini all’assioma fondamentale ignaziano, che tutti noi ben conosciamo: «Cercare e trovare Dio in tutte le cose». Il verbo «cercare», però, è stato qui sostituito col verbo «discernere» e ciò potrebbe avere un significato. Vedrò di indicarlo alla fine.

    Prima, però, vogliate ascoltare una storia chassidica, che mi ha sempre dato da pensare. Ha per protagonista il rabbi Baruch di Mesbiz e racconta così: «Il nipote di Rabbi Baruch, il ragazzo Jehiel, giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. Egli si nascose ben bene e attese che il compagno lo cercasse. Dopo aver atteso a lungo uscì dal nascondiglio; ma l’altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora che quello non lo aveva mai cercato. Questo lo fece piangere; piangendo corse nella stanza del nonno e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Baruch si empirono allora di lacrime ed egli disse. “Così dice anche Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare».[1]

    La storia potrebbe essere commentata in vario modo, dedicandosi, ad esempio, al tema del Deus absconditus (cf. Is 45.15). Potremmo, tuttavia, anche soffermarci sul lamento di Dio: nessuno mi vuole cercare! Il desiderio di Dio è essere cercato. Cercato – potrebbe dirsi – come una mamma e un papà, che domandano al figlio, o alla figlia: mi vuoi bene? E attendono come risposta: si, ti voglio bene! È esattamente questo il senso del «dono» che il Padre ci ha fatto nel suo Figlio e nello Spirito Santo. In queste due missioni trinitarie possiamo sempre trovare implicita la domanda del Padre, rivolta a ciascuno di noi e alla Chiesa come una volta Gesù a Pietro: mi ami? (cf. Gv 2,15-16). Io credo che questo potremmo pure chiamarlo vocazione alla santità. «Tutta la pedagogia di Dio – ha simpaticamente scritto il p. S. Fausti S. J.  – è […] un gioco a nascondino: si scopre e si copre, si concede e si nega, per tenere vivo un desiderio che deve crescere all’infinito».[2]

    È l’umile descensus del Padre nel suo Figlio, che a Pietro – incapace di corrispondere all’amore – domanda da ultimo: «mi vuoi bene»? Pietro, scrive l’evangelista, fu «addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”» (v. 17). Fatto è che non aveva compreso il senso delle domande di Gesù, il quale voleva fargli capire che Egli lo amava di più. Commenta il p. I. Gargano: «Un Gesù che è pure così esigente da chiedere a Pietro un amore totale al di sopra delle stesse soddisfazioni pastorali, alla fine accoglie l’uomo Pietro a partire dal gradino in cui egli realisticamente si trova».[3] Come ripete papa Francesco, la misericordia del Signore stimola sempre a «fare il bene possibile».[4]

    E questo noi potremmo pure chiamarlo pure vocazione alla santità, perché «tutta la pedagogia di Dio è […] un gioco a nascondino: si scopre e si copre, si concede e si nega, per tenere vivo un desiderio che deve crescere all’infinito».[5]

    Il desiderio che il Padre ha di noi! Penso alla preghiera che la liturgia del venerdì santo pone sulle nostre labbra: «Dio onnipotente ed eterno, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te che solo quando ti trovano hanno pace».[6] Non ci è difficile riconoscere qui l’invocazione di Agostino: fecisti nos ad te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te.[7] In questo desiderio di Dio, radicato nella nostra condizione creaturale, c’è la radice del nostro cercare Dio: ricerca della quale Agostino parla in toni drammatici; di attrazione e sviamento: «da te ci allontaniamo e a te torniamo senza usare piedi, senza attraversare spazio di luoghi… Come sei nascosto tu, che abiti silenzioso nei cieli più alti…».[8]

 

Cercare e trovare Dio

 

    Cercare: il verbo è molto presente nel linguaggio di Ignazio e questo perché il suo cuore era colmo di grandi desideri.[9] Nella sua Autobiografia, fin dal principio, egli ne parla come di ciò che ricolma «un animo generoso e innamorato di Dio» (Aut. 9) e non è un caso che il verbo «cercare» compaia soprattutto nel suo Diario Spirituale: in particolar modo nel febbraio/marzo 1544 quando, nel redigere le Costituzioni, Ignazio cerca faticosamente la volontà di Dio. Negli Esercizi Spirituali, poi, i primi passi indicati sono «preparare e disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza dell’anima» (ES 3-4).[10]

    Trovare: indica qui il termine di un cammino lungo e faticoso; un punto d’arrivo di tutta una serie di «esercizi». Si tratta, tuttavia, di un percorso compiuto sotto lo sguardo del Padre e con piena fiducia nella parola di Gesù: «Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (Lc 11,9-10). Sono un commento fatto da Gesù stesso alla preghiera del Pater e i verbi «chiedere», «cercare» e «bussare» sono, appunto, gli atteggiamenti della preghiera dei figli così come i verbi «ricevere», «trovare» e «aprire» sono i gesti di Dio che è un Padre pronto, sollecito, amoroso.

    Penso che commentare con rimandi al Cantico[11] aiuti a comprendere il cercare/trovare ignaziano: «Fine di ogni dono è mettere in comunione chi dà con chi riceve… Per questo non bisogna mai appagarsi nei doni, ma cercare sempre il donatore… Il cercare è di chi sa che il Padre ha già donato. Infatti si cerca ciò che c’è. Ma la ricerca non è soddisfatta fino a quando non si trova la sorgente del dono, che va cercata perché ci è ancora nascosta… La vita umana è comunque ricerca, perché bisogno e desiderio. Ciò che si trova, dipende da ciò che si cerca».[12]

    Quello che si cerca… appunto! La volontà di Dio. Questa ricerca è lo scopo non soltanto ultimo, ma unico – direi – che Ignazio assegna agli Esercizi Spirituali. Si tratta, in definitiva, di cercare Dio stesso. La sua volontà, infatti, è Egli stesso! Ignazio lo scrive esplicitamente nell’Annotazione 15, 3-6: «è più conveniente e molto meglio, nel cercare la divina volontà, che lo stesso Creatore e Signore si comunichi alla sua anima devota abbracciandola nel suo amore e lode e disponendola per la via nella quale potrà meglio servirlo in futuro. Di modo che chi li dà non propenda verso l’una o l’altra parte; ma, stando nel mezzo, come una bilancia, lasci immediatamente operare il Creatore con la creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore».

    Per Ignazio dunque, come già per la tradizione bonaventuriana,[13] non è possibile distinguere tra Dio e la sua volontà.[14] Cercare questa volontà vuol dire cercare una relazione, come aprirsi alla relazione con Lui è «trovare» la volontà di Dio.

 

Un’esperienza, un incontro

 

    È, in ultima analisi, quell’incontro di cui ha scritto Benedetto XVI in  Deus caritas est: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1); incontro ripreso da Francesco in Evangelii gaudium: «invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta» (n. 3). Francesco aggiunge: «Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte» (ivi). È il gioco a nascondino di Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare.

    In Ignazio questa è un’esperienza. Durante la sua convalescenza a Loyola e nel suo ritiro di Manresa egli era convinto di avere sperimentato direttamente Dio, e questa esperienza egli voleva comunicare agli altri. A prescindere da eventuali sensazioni straordinarie (visioni …), chi Ignazio aveva incontrato era il Dio insondabile, che non ha nome, ma che, tuttavia, si faceva vicino a lui con la sua grazia, nel suo amore trinitario. Questa vicinanza di Lui Ignazio l’aveva percepita con tale certezza, che il Dio incontrato non poteva essere scambiato per nessun altro, per qualcos’altro. Scrive nella sua Autobiografia che dopo quella esperienza la sua fede poteva fare a meno della stessa Scrittura se questa fosse stranamente scomparsa.[15] Affermava di avere conosciuto il Dio vivo e vero, realmente. Diceva di avere incontrato Dio in se stesso e non una sua immagine, non le parole e le immagini che orientano verso di Lui. Non le Parole dette da Lui.[16]

    Forse noi oggi saremmo più cauti. In fondo, l’uomo che conosce Dio conosce solo tratti del suo volto, non «tutto di Dio»; conosce l’immagine che si fa di Lui, non la sua essenza. Dio è sempre «Altro», sempre «altrove». È il «Santo». Non un oggetto di conoscenza umana. Ignazio avrebbe potuto, certo, esprimersi anche in altro modo, ma il succo è questo: aveva sperimentato che l’uomo ha da sempre incontrato e incontra Dio, anche se non lo riconosce; anche se «tematicamente» non sa che proprio da Lui è animato e che a Lui si consegna, ogni volta che ha il coraggio di amare, di sperare, di portare vita, di risorgere, o fare risorgere.

    Ho sopra richiamato alcuni versi del Cantico, che dicono il desiderio e la ricerca dello Sposo. Come non richiamare a questo punto i versi di san Giovanni della Croce: «Dove ti nascondesti, in gemiti lasciandomi, o Diletto?». Egli stesso commentava: «è bene notare come, per quanto grandi siano le comunicazioni e gli atti delle divine presenze, alte e sublimi le notizie che un’anima ha in questa vita, tutto ciò non è essenzialmente Dio né a niente a che vedere con Lui, poiché invero Egli è ancora nascosto all’anima. È necessario perciò che essa lo stimi superiore a tutte queste grandezze, lo creda nascosto e lo cerchi come tale dicendo: Dove ti nascondesti?».[17] Ecco, allora, una prima istanza: cercare e trovare Dio in tutte le cose, come si trova nella Contemplazione per giungere ad amare (cf. ES 230-237).

 

Un cammino verso la santità

 

    Nel nostro discorso il testo è decisivo. In un appunto del p. D. Libanori S. J. ho trovato così sintetizzato il percorso degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio: «un itinerario di conversione che segue le classiche tre vie: purgativa, illuminativa e unitiva. Intende infatti condurre l’esercitante lungo una via che porti a una sempre maggiore conoscenza di Dio. Parte dunque da una serie di esercizi che approdano alla conoscenza esperienziale di Dio come misericordia infinita; è la grazia della conversione propria della Prima settimana. Questa grazia apre il cuore al desiderio di conoscerlo di più e di mettersi al suo servizio. Nella seconda settimana, l’esercitante è guidato all’elezione dello stato di vita mediante la contemplazione dei misteri dell’infanzia e della vita pubblica del Signore. Qui la grazia sarà sentire il desiderio di essere con il Signore condividendone in tutto la condizione e la sorte che egli visse come vero uomo. Nella terza e nella quarta settimana l’esercitante è accompagnato nella sequela del Signore sperimentando da una parte la fatica nell’adeguare la propria sensibilità alla grandezza della chiamata e dall’altra la dolcezza della conoscenza di Dio, che avverrà attraverso una connaturalità suscitata dalla grazia». Questo è noto. Quello che, però, m’importa sottolineare è che la Contemplatio ad amorem indica l’approdo di tutto il cammino degli Esercizi, ossia la vita di comunione con Dio in Cristo, cioè la santità.

    Nel suo lavoro sugli Esercizi ignaziani – di recente tradotto in lingua italiana e pubblicato con la prefazione di papa Francesco – il p. Fiorito avverte che «spesso sant’Ignazio nelle Costituzioni e nelle Lettere si riferisce a questo tema, “cercare Dio nostro Signore in tutte le cose”»[18] e spiega pure che questa è «una delle frasi con cui il gesuita Jerónimo Nadal […] ha riassunto e riepilogato l’esperienza di Dio nell’azione, dopo aver fatto lo stesso con l’esperienza di Ignazio stesso nell’azione»; si domanda, tuttavia: «che vuol dire […] come si fa a cercare e a trovare Dio non soltanto nell’ambiente calmo e riposato della preghiera in solitudine – dove a volte già facciamo fatica a trovarlo sensibilmente! – ma anche in una vita agitata dagli avvenimenti? Nella nostra vita ci sono mille problemi di lavoro, di relazioni sociali, di situazioni politiche e di vario tipo. Né più né meno succedeva a sant’Ignazio nel XVI secolo […] La vita è così. Nel bel mezzo di questa agitazione dobbiamo cercare “una cosa sola” (Lc 10,42), “un tesoro nascosto” (Mt 13,44), “una perla di grande valore”. Come?».[19]

    È davvero una bella domanda, si direbbe. Non credo che io debba e, ancor meno, possa dare proprio a voi e qui la risposta. Dovrei, anzi, essere io ad attendermela dagli amici della Compagnia di Gesù! Mi pare, ad ogni modo, che il p. Fiorito rimandi al discernimento degli spiriti indicando proprio la loro «varietà» come luoghi privilegiati della pedagogia divina e dell’incontro con Dio. Prima ancora, però (e questo per non allontanarmi dal tema assegnatomi), mi pare importante ricordare l’esordio della stessa opera. Qui, il senso stesso degli Esercizi Spirituali e, perciò, del «cercare e trovare la volontà di Dio», l’Autore l’inserisce nel contesto della vocazione universale alla santità, di cui ha trattato il Concilio Vaticano II. Lo fa citando due suoi importanti passaggi: quello di Lumen Gentium n. 11, anzitutto, dove leggiamo che «tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste»; l’altro passo è tratto da Gaudium et spes n. 19, dove si ricorda che «fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio». Il «cercare e trovare la volontà di Dio», dunque, è un metodo di santificazione, una via di santità.[20]

    Santità, tuttavia, non è soltanto la via percorsa dall’uomo; prima ancora è la via percorsa da Dio verso di noi. Ignazio parla di una «contemplazione per giungere ad amare» dove, per quanto mi è dato intendere, si tratta sostanzialmente della relazione della creazione con l’uomo a partire dall’amore stesso di Dio. Essa ci parla della relazione tra l’Infinito divino e il creato – nel Verbo (Logos) e nel dinamismo dell’Amore (lo Spirito) –; dell’ambito trinitario in cui l’essere umano, mosso dall’amore ricevuto, in tutto può amare e servire la divina Maestà ed essere così divinizzato.

    È noto, tuttavia, che la «contemplazione per giungere ad amare» ha uno stretto legame con il Principio e fondamento di cui scrive Ignazio in ES 23: «L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e, mediante questo, salvare la propria anima». Si tratta, allora, della relazione dell’uomo con la creazione basata sulla dipendenza da Dio; del processo (antropologico) che va dall’uomo a Dio attraverso l’uso ordinato delle cose come ambito di adorazione (lodare, riverire e servire).

    Nel rapporto fra Principio e fondamento e la Contemplatio, dunque, come scrive il p. S. Arzubialde, occorre riconoscere «una grande inclusione di apertura e chiusura». Se il Principio e fondamento è sul versante del rapporto dell’uomo con la creazione in funzione della dipendenza da Dio, la Contemplatio tratta, invece, del rapporto fra la creazione e l’uomo a partire dall’amore stesso di Dio.

    Mentre, allora, il Principio e fondamento mira a un processo antropologico ascendente dell’uomo verso Dio mediante l’uso ordinato delle creature come spazio di adorazione (lodare, riverire e servire), la Contemplatio ci parla, piuttosto, del descensus di Dio verso l’uomo ed è proprio questo descensus a rendere l’uomo capax in tutto di amare e servire il suo Creatore.

    Tutto, allora, si svolge nel dinamismo di questi due movimenti nei quali troviamo il senso pieno della creazione: Dio esce da Sé nel suo amore per l’uomo (exitusdescensus … ) e tutto ritorna a Dio (reditus) mediante la libertà e l’amore dell’uomo verso di Lui. L’uomo e, nella sua libertà, l’intera creazione ascendono, grazie all’amore di Dio che si comunica, alla loro origine.[21]

    Da questi due fondamentali pilastri noi comprendiamo il pieno significato dell’eterno progetto di Dio. In forza dell’infinitudine e della positività del suo Essere, Dio si è uscito da sé stesso liberamente nella creazione (Dio discende), nel suo Verbo e nello Spirito. Il creato, a sua volta, ritorna a Dio attraverso la libertà e l’amore dell’essere umano, ora modellato – come direbbe sant’Ireneo – da queste due Mani di Dio.[22] L’uomo e tutta la creazione, nella libertà storica del Verbo incarnato, attraverso il dinamismo dell’Amore (nello Spirito, Signore e datore di vita) ascendono all’Origine (il Padre), dal quale un giorno sono usciti. Così che «in Cristo e nello Spirito», nei quali il Dio assolutamente trascendente si comunica, si compie la grande opera di salvezza e divinizzazione di tutta la creazione.[23] Siamo, dunque, sempre negli ariosi spazi dell’incontro.

 

Quale Dio cercare e trovare?

 

    In Gaudete et exsultate troviamo, riguardo al «cercare e trovare Dio in tutte le cose», alcune annotazioni che mi pare sia utile riprendere qui, anche per portare a conclusione le mie annotazioni. È, difatti, un’esortazione apostolica dedicata proprio alla «chiamata alla santità nel mondo contemporaneo».

    È pur vero che l’assioma ignaziano del cercare e trovare non è qui letteralmente presente;[24] vi si legge, tuttavia: «Dio ci supera infinitamente, è sempre una sorpresa e non siamo noi a determinare in quale circostanza storica trovarlo, dal momento che non dipendono da noi il tempo e il luogo e la modalità dell’incontro. Chi vuole tutto chiaro e sicuro pretende di dominare la trascendenza di Dio. Neppure si può pretendere di definire dove Dio non si trova, perché Egli è misteriosamente presente nella vita di ogni persona, nella vita di ciascuno così come Egli desidera, e non possiamo negarlo con le nostre presunte certezze. […] Se ci lasciamo guidare dallo Spirito più che dai nostri ragionamenti, possiamo e dobbiamo cercare il Signore in ogni vita umana. Questo fa parte del mistero che le mentalità gnostiche finiscono per rifiutare, perché non lo possono controllare» (nn. 41-42). Sono parole, queste, che riecheggiano quanto J. M. Bergoglio aveva già scritto dieci anni prima: «L’esperienza spirituale dell’incontro con Dio non è controllabile. Uno sente che Lui c’è, ne ha la certezza, ma non può controllarlo. L’uomo è fatto per dominare la natura, questo è il suo compito divino. Ma con il suo Creatore non lo può fare. Per questo, nell’esperienza di Dio, c’è sempre un punto interrogativo, uno spazio per immergersi nella fede».[25]

    Non si può pretendere di definire dove Dio non si trova… Dio non è controllabile… Affermazioni come queste pongono alla fine una domanda decisiva: cercare e trovare Dio, ma quale Dio? Se non si dà una risposta chiara a questa domanda, il rischio è davvero grande. Se non altro perché molte delle nostre immagini di Dio hanno a che fare con l’immagine che ciascuno di noi ha di se stesso.[26]

    Per cercare Dio – disse una volta Francesco – occorre mettersi in cammino e questo vuol dire «lasciare tante sicurezze, tante opinioni di come è l’immagine di Dio, e cercarlo». «Chi non si mette in cammino, mai conoscerà l’immagine di Dio, mai troverà il volto di Dio» disse pure e aggiunse: «i cristiani seduti, i cristiani quieti non conosceranno il volto di Dio. Hanno la presunzione di dire: “Dio è così, così...”, ma in realtà non lo conoscono».[27]

    Chi è, allora, il Dio di cui parla sant’Ignazio e nel quale egli confida? Alla domanda, ho trovato questa risposta, che ora leggo: «Non un dio che farebbe tutto al nostro posto nel campo del mondo e della salvezza, in modo che noi avessimo solo da contemplare pigramente la sua opera. Non un dio interventista che ci guardasse agire e che si mettesse all’opera solo ogni tanto, quando noi lo preghiamo in situazioni catastrofiche, a cui le nostre capacità umane sono incapaci di porre rimedio. Fondato sulla fede in Gesù Cristo mediatore, in cui sono congiunti il divino e l’umano, la grazia e la libertà, i doni soprannaturali e quelli naturali, guidato da questo a “considerare Dio in tutte le cose”, Ignazio crede in questo Dio di cui diciamo nella preghiera eucaristica: “Tu hai fatto l’uomo a tua immagine, e gli hai affidato l’universo, perché nell’obbedienza a te, suo Creatore, esercitasse il dominio su tutto il creato”. Egli crede dunque in quel Dio il quale ha voluto che la libertà e l’attività dell’uomo si mostrino in tutte le sue imprese, si avvalga di tutte le sue risorse personali e di tutto ciò che gli è offerto nella creazione per rendere gloria a Dio. In questa certezza di fede, rinnovata ogni mattina, il credente è all’altezza di mobilitare tutte le proprie forze e di mettersi all’opera, “come se tutto dipendesse da lui”».[28]

    Si sottolinea in genere che il testo della Contemplatio ad amorem appartiene solo redazionalmente alla Quarta Settimana degli Esercizi. Sant’Ignazio, infatti, non precisa dove collocarla, né come adattarla. In nessun Direttorio, ancora, se ne trova spiegato l’uso e neppure la si può intendere come una conclusione di tutto. È, in ultima analisi, un testo «fuori serie».[29] Alla luce, tuttavia, della domanda quale Dio cercare e trovare, dovrebbe emergere – credo – almeno l’opportunità di vedere collocata la Contemplatio al termine del percorso, come anche la pertinenza dell’inserimento – fatto per titolare il mio intervento – del verbo discernere.

    Quale Dio? Solo il discernimento metterà in condizione di rispondere. E la risposta non potrebbe essere che questa: Iddio che è stato contemplato e incontrato lungo le quattro settimane, dunque il Re eterno, il Signore che voglio seguire, Colui che nella passione nasconde la sua divinità … e che «piange» quando io, vedendolo non habentem speciem neque decorem (Is 53,2), non lo cerco.

    Senza questo cammino ci sono – come accennavo – grandi rischi, come quello del panteismo, oppure (ed oggi mi pare un rischio gravissimo, purtroppo anche nella Chiesa) del narcisismo: di cercare, cioè,  un Dio senza volto, che si diffonde nelle cose come mera energia; oppure il Dio che ci conferma e ci dà ragione: in altre parole, cercare noi stessi.

    Ha ragione, dunque, il p. G. Piccolo S. J. quando, commentando la Contemplatio, scrive: «Come l’esercitante aveva iniziato gli Esercizi meditando sul Principio e fondamento, contemplando sé stesso dentro il creato, come creatura che ha nel creatore la propria origine e il proprio fondamento, così alla fine degli Esercizi l’esercitante è invitato a tornare al creato, a guardarlo con occhi nuovi, occhi, che attraverso la prima settimana sono stati guariti dalle ferite dell’infedeltà».[30]

 

                                                                                                                                                    Marcello Card. Semeraro

 

Anno Ignaziano 2021-2022: «Vedere nuove tutte le cose in Cristo»

Pontificia Università Gregoriana – Roma, 20 maggio 2021

 

[1] M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, 140.

[2] S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca, EDB, Bologna 1994, 418. Opportuno il rimando che l’A. fa alla epéktasis (cf. Fil 3,13: «proteso verso ciò che mi sta di fronte…») di Gregorio Nisseno: quanto più progredisce nell’ascesa spirituale, tanto più scopre che Dio supera infinitamente ogni esperienza vissuta sicché trovare Dio è cercarlo incessantemente. Sul Nisseno, cf. M. Canévet, v. Gregoire de Nysse, in DS VI, 971-1011. Sulla teoria, cf. L. Petcu, The Doctrine of Epektasis. One of the Major Contributions of Saint Gregory of Nyssa to the History of Thinking, in «Revista Portuguesa de Filosofia» 2017 (73/2), 771-782, dove è pure richiamato l’apporto di J. Danielou.

[3] I. Gargano, Lectio divina sul vangelo di Giovanni, EDB, Bologna 2020, 295.

[4] Cf. Esortazione apostolica Evangelii gaudium nn. 44-45; Esortazione apostolica Amoris laetitia n. 308; «credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità».

[5] S. Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca, EDB, Bologna 1994, 418. Opportuno il rimando che l’A. fa alla epéktasis (cf. Fil 3,13: «proteso verso ciò che mi sta di fronte…») di Gregorio Nisseno: quanto più progredisce nell’ascesa spirituale, tanto più scopre che Dio supera infinitamente ogni esperienza vissuta sicché trovare Dio è cercarlo incessantemente. Sul Nisseno, cf. M. Canévet, v. Gregoire de Nysse, in DS VI, 971-1011. Sulla teoria, cf. L. Petcu, The Doctrine of Epektasis. One of the Major Contributions of Saint Gregory of Nyssa to the History of Thinking, in «Revista Portuguesa de Filosofia» 2017 (73/2), 771-782, dove è pure richiamato l’apporto di J. Danielou.

[6] Celebrazione della passione del Signore, Preghiera universale, VIII.

[7] Confessiones I, 1, 1: PL 32, 659.

[8] Confessiones I, 18, 28-29: PL 32, 673-674.

[9] Il tema del desiderio, importante nella spiritualità ignaziana sicché gli stessi Esercizi possono essere chiamati un «laboratorio di desideri», cf. A. Blanch S. J., v Deseo in «Diccionario de Espiritualidad Ignaciana», Mensajero-Sal Terrae, Bilbao-Maliaño 2007, 564-570. Il tema è molto caro a papa Francesco, per il quale basterà vedere M. Bergoglio S. J., Reflexiones espirituales sobre la vida apostolica, Ed. Diego de Torres, Buenos Aires 1987, ripubblicati in Ed. Mensajaero, Bilbao 2013, 63-77. Tr. it J. M. Bergoglio – Francesco, Il desiderio allarga il cuore. Esercizi spirituali con il Papa, EMI, Bologna 2014.

[10] Da qui in avanti, le citazioni dei testi ignaziani sono tratte da Gli scritti di Ignazio di Loyola, a cura dei gesuiti della Provincia d’Italia, Edizioni AdP, Roma 2007.

[11] Cf. Cant 3,1-3; 5,6; 6,3: «lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia… Io sono del mio amato e il mio amato è mio …».

[12] Fausti, Una comunità legge il vangelo di Luca, 418-419.

[13] Cf. Breviloquium I, 9.

[14] Cf. D. Salin, v. Buscar, in GEI, «Diccionario de Espiritualidad Ignaciana» cit., 250-254.

[15] Cf. Autobiografia, n. 29: «Queste cose, che egli ha visto, lo confermarono e gli diedero poi per sempre tanta fermezza nella fede da pensare molte volte tra sé che, anche se non ci fosse la Scrittura a insegnarci queste cose della fede, egli si deciderebbe a morire per esse soltanto in forza di quello che egli ha visto».

[16] Cf. Autobiografia, n. 30: «mentre stava lì seduto, gli si aprirono gli occhi dell’intelletto; non è che ebbe una visione, ma conobbe e capì molte, sia delle cose spirituali che delle cose concernenti la fede e le lettere, e questo con un’illuminazione così grande che tutte le cose gli apparivano come nuove. Non si possono descrivere tutti i particolari che allora egli comprese, sebbene essi fossero molti, ma si piò solo dire che ricevette una grande luce nell’intelletto».

[17] Cantico spirituale B, str. 1 e spiegazione, in S. Giovanni della Croce, «Opere», Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1998, 508.

[18] M. Á. Fiorito, Cercare e trovare la volontà di Dio. Guida pratica agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, Ancora, Milano 2021, 957.

[19] Fiorito, Cercare e trovare, 960.

[20] Per quanto segue, cf. S. Arzubialde S.J., Ejercicios Espirituales de S. Ignacio. Historia y Análisis, Mensajero-Sal Terrae, Bilbao-Maliaño 2009, 560-561.

[21] Cf. Arzubialde, Ejercicios Espirituales cit., 560, nota 7.

[22] Ireneo di Lione, Contro le eresie V, 6, 1: PG 7, 1137.

[23] Cf. Arzubialde, Ejercicios Espirituales cit., 560-561 (mia tr. it.).

[24] Il p. A. Spadaro, tuttavia, scrive: «Il Pontefice lancia un messaggio “nudo”, essenziale, che indica ciò che conta, il significato stesso della vita cristiana, che è, nei termini di sant’Ignazio di Loyola, “cercare e trovare Dio in tutte le cose, seguendo l’indicazione del suo invito ai gesuiti: curet primo Deum. Questo è il cuore di ogni riforma, personale ed ecclesiale: mettere al centro Dio»: A. Spadaro S. J., «Gaudete et exsultate». Radici, struttura e significato della Esortazione apostolica di papa Francesco, in «La Civiltà Cattolica» 2018, II (q. 4028), 107. L’intero articolo alle pp. 107-123.

[25] J. M. Bergoglio, A. Skorka, Il cielo e la terra. Il pensiero di Papa Francesco sulla famiglia, la fede e missione della Chiesa nel XXI secolo, Mondadori, Milano 2013, 24.

[26] In proposito si potrà vedere F. Cosentino, Non è quel che credi. Liberarsi dalle false immagini di Dio, EDB, Bologna 2019.

[27] Cf. Omelia in Santa Marta del 10 febbraio 2015.

[28] J. Cl. Dhotel, La spiritualità ignaziana. Punti di riferimento, Edizioni AdP, Roma 2004, 111-112.

[29] Cf. Arzubialde, Ejercicios Espirituales cit., 559 e nota 1.

[30] G. Piccolo (a cura di), Prendi e ricevi: il senso della vita, in G. Piccolo (a cura di), «Ignazio di Loyola. Esercizi Spirituali», Garzanti, Milano 2016, 181.