Curso sobre las Causas de los Santos - Lección Inaugural Año Académico 2023-2024

 

Università Ecclesiastica San Damaso

Facoltà di Diritto Canonico – Corso delle Cause dei Santi

Lezione Inaugurale Anno Accademico 2023-2024

4 ottobre 2023

 

Sono ben lieto d’incontrarvi e, per l’anno accademico che oggi s’inaugura, insieme con il mio saluto vi giunga anche l’augurio del Dicastero delle Cause dei Santi. Siamo ben lieti di vedere rinnovato incrementato questo Corso all’interno della Facoltà di Diritto Canonico di questa Università. Sono sinceramente grato alla Conferenza Episcopale Spagnola per il sostegno offerto a questa iniziativa, che è ancora unica, ma che volentieri segnalo alle altre Conferenze Episcopali quando giungono nel Dicastero per la periodica visita ad Limina.

Voi sapete, carissimi, che in questo 2023 c’è stato il 700mo anniversario della canonizzazione di san Tommaso d’Aquino e io stesso ho avuto l’onore di celebrare per questa scadenza come inviato speciale del Papa, lo scorso 18 luglio, nell’abbazia di Fossanova, dove il santo dottore morì. Nel prossimo 2024, poi, ci sarà l’occasione per ricordare i 750 anni della morte del Doctor communis (1274-2024) e poi, nel 2025, gli 800 anni della sua nascita. Queste molteplici scadenze mi hanno suggerito il tema per il nostro incontro: l’esercizio eroico delle virtù secondo san Tommaso d’Aquino; oppure, per dirla con Benedetto XIV, la virtù eroica.[1]

Ovviamente non esporrò l’intera questione, preferendo soffermarmi su qualche aspetto della teologia tomista, che mi pare utile e pure «originale» rispetto al comune pensare e perciò meritevole di essere ri-proposto. Si tratta anzitutto dell’esercizio delle virtù e sul significato della «eroicità» di questo esercizio.

 

Unità sostanziale dell’uomo ed esercizio delle virtù

Quanto all’esercizio delle virtù il Magister esordisce col dire che, come insegnano i teologi, «le virtù sono necessarie in chi deve essere beatificato e canonizzato», ma aggiunge che nel nostro caso si richiede che siano esercitate «in grado eroico».

Quanto al primo aspetto è chiaro che per «virtù» egli intende l’insieme di quelle che abitualmente sono chiamate virtù teologali e virtù cardinali. Su di esse Benedetto XIV dichiara di non volersi soffermare perché – dice – di esse trattano tutti i teologi.[2] Vediamo allora alcuni elementi propri che al riguardo che ci provengono dalla teologia tomista, da cui trarre ulteriori motivazioni per capire perché, al fine di valutare l’opportunità o meno di una beatificazione e canonizzazione, sia importante una indagine sull’esercizio delle virtù.

Le virtù teologali, anzitutto, ossia le fede, la speranza e la carità. Mi riferirò al prologo del Compendio di Teologia che dell’Angelico è una delle opere più significative, risalente alla sua maturità, scritta e dedicata a Reginaldo da Piperno, suo segretario e, anzi, come lo chiama nel Proemio, «figlio carissimo» (fili carissime Reginalde). Riguardo ad esse scrive in primo luogo che tutta la perfezione delle vita presente (totam praesentis vitae perfectionem) consiste nell’esercizio delle tre virtù teologali e che queste tre virtù sono strettamente collegate fra loro, sicché non possono essere mai separate. Difatti, come scrive, «l’amore non può essere retto se prima non è proposto alla speranza il fine ultimo e questo non è possibile se manca la conoscenza della verità».

Se facciamo attenzione a queste frase così sintetica (di Tommaso è proverbiale la concisione, sicché, come si diceva, dove bastano tre parole, san Tommaso ne dice due!) ci rendiamo conto che il suo punto di partenza è l’affermazione di Ebr 11,1: la fede è sostanza delle cose sperate! La fede non è un semplice avere degli «oggetti» da credere, ma è tensione verso le promesse di Dio e questo vuol dire che non può esservi fede senza speranza e che questa non ha senso senza una persona da amare, cioè Dio. «Fede, speranza e carità costituiscono, in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio», scrive Francesco nella enciclica Lumen fidei (n. 7). Dio esiste e non soltanto esiste, ma ci ha donato la strada per arrivare sino a Lui! È con questa certezza che san Tommaso inizia il suo Compendium e la sua la sua sintesi teologica: Dio ci ama e ci rende possibile amarlo. «È necessario, mentre siamo pellegrini su questa terra, conoscere la Via mediante cui giungere alla meta del nostro viaggio e una volta giunti al suo compimento non potremmo ringraziarlo a sufficienza e adeguatamente se non conoscessimo la via attraverso la quale egli è giunto sino a noi e ci ha salvati».[3] La vita teologale è, dunque, un cammino di cui Cristo è il senso, la meta e la via. Alla base della fede c’è la speranza e la consistenza della speranza è l’amore di Dio per noi; è la carità, come scrive l’Apostolo: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Non so se esiste, ma su ciò che scrive san Tommaso riguardo a questa frase paolina si potrebbe fare una tesi di dottorato in teologia.

Quanto alle virtù umane, o «cardinali» ricorderò che uno dei principali contributi di san Tommaso d’Aquino al pensiero cristiano è l’avere distinto ciò che appartiene all’ordine strutturale della natura delle cose da ciò che, invece, dipende dalla libera gratuità del dono di Dio. Tutti noi abbiamo sentito ripetere l’assioma per cui gratiam non tollit naturam sed perficit, la grazia non distrugge la natura, bensì la perfeziona.[4] Più sintetico è l’assioma gratia praesupponit naturam[5] e questo per il semplice fatto che natura praesupponit Deum.[6] Portato  nell’ambito dell’esercizio delle virtù in vista di una beatificazione e canonizzazione ciò vuol dire che laddove si tratta di indagare sulla spiritualità di una persona umana non si possono ignorare le leggi della sua natura, poiché la relazione con Dio è radicata nello stesso essere dell’uomo. È in ragione di questa relazione che anche l’indagine sull’esercizio delle virtù nel processo di beatificazione e canonizzazione non può limitarsi all’esercizio delle virtù teologali, ma deve necessariamente estendersi all’esercizio delle virtù umane, o cardinali come pure sono chiamate.

Anche queste virtù sono, per san Tommaso strettamente collegate fra loro sicché in STh I-II, q. 65, a. 1 Tommaso fa propria l’asserzione di san Gregorio Magno: Una itaque virtus sine aliis, aut omnino nulla est, aut imperfecta, ciascuna virtù non esiste senza l’altra e, se lo è, si tratta di una virtù imperfetta.[7] Per questo anche queste virtù sono armonicamente collegate fra loro.[8] Per esse un compito analogo a quello della carità per le virtù teologali è svolto dalla virtù della prudenza: questa virtù è simile a quella del direttore d’orchestra rispetto ai vari strumentisti. E c’è, d’altra parte, pure un legame fra virtù teologali e virtù cardinali in quanto le prime sono come la base e l’orientamento ultimo delle virtù cardinali. Le virtù teologali, difatti, guidano e informano il comportamento morale, assicurando che le virtù cardinali siano esercitate in modo virtuoso e in conformità con la fede e la carità. A loro volta, le virtù cardinali aiutano a tradurre la fede e la speranza in azioni morali concrete e a vivere una vita virtuosa nell’ambito della società.

Non c’è dubbio, in proposito, che, nella prospettiva di san Tommaso, le virtù umane possono esistere anche senza quelle teologali; tuttavia è altrettanto vero esse, e, tra quelle, in definitiva la carità pongono l’uomo all’altezza del suo vero fine. Scrive l’Angelico: «in quanto si limitano a compiere il bene in ordine a un fine che non supera la capacità naturale dell'uomo, le virtù morali si possono acquistare per industria umana e, così acquisite, possono esistere senza la carità: come si trovarono in molti pagani. Ma esse raggiungono perfettamente e realmente la natura di virtù solo in quanto sono fatte per compiere il bene in ordine al fine ultimo soprannaturale. Per questo esse non possono acquistarsi con azioni umane, ma sono infuse da Dio. E codeste virtù morali non possono esistere senza la carità».[9]

Qual è la conseguenza di tutto questo? Semplicemente che l’esame dell’esercizio delle virtù specialmente in vista di un processo per la beatificazione e canonizzazione non può e non deve essere fatto senza tenere conto dei legami e delle relazioni di tutte le virtù, tra loro in se stesse e pure nel duplice, distinto ordine delle virtù teologali e delle virtù cardinali. Questo in forza dell’assioma fondamentale di san Tommaso d’Aquino della unità sostanziale dell’essere umano: dato di fondamentale importanza specialmente oggi, per la prevalente tendenza a separare il corpo dalla persona, soprattutto nell’ambito dell’etica della sessualità. Ciò, ovviamente, non toglie che alcuni stati di vita richiedono una particolare attenzione ad alcune virtù umane: penso, ad esempio, all’esercizio della virtù della prudenza da parte di chi ha delle responsabilità di guida e di governo.[10]

Per spiegare come dall’insieme delle virtù teologali e cardinali si possa concludere in favore della santità, il Magister ricorre a un testo di Ugo di San Vittore: «La prima delle virtù, la fede, si apre all’umiltà, perché è impossibile piacere a Dio senza la fede, e il giusto vive di fede. Ma che cosa ottieni con la fede, se con la speranza non cerchi cosa abbracciare con la fede? Quello infatti che non vediamo ancora, lo speriamo, e la speranza non confonde. Poiché però sperando, amiamo quello che già teniamo con la fede, alla speranza segue la carità, e così la fede, che opera per amore, procede rettamente. In che modo poi queste tre virtù, cioè la speranza, la fede, la carità sono da distinguere e da comprendere, la prudenza lo insegna e informa, la giustizia lo adorna e consuma, la fortezza lo ritiene e corrobora, perché non si diffondano in molte cose e non vengano ristrette in modo incompetente dentro i propri confini, la temperanza lo modera e distingue. Se dunque aggiungi queste quattro virtù alle tre superiori, questo numero settenario delle virtù porta a chi le pratica la pienezza della grazia settiforme, per la quale si dissolve la compagine dei vizi, si vince la tentazione del diavolo e si va per il sentiero della giustizia alla fonte e all’origine di tutte le virtù».[11]

 

L’esercizio «eroico» delle virtù

Ritengo di dovere aggiungere alcune cose riguardo al grado «eroico» di esercizio delle virtù. Comincerei col dire che Benedetto XIV non trascura di sottolineare due cose: la prima è che «non tutti i giusti devono essere canonizzati dalla Chiesa, ma solo coloro che rifulsero di virtù eroiche»;[12] la seconda è di esprimere qualche perplessità sul termine di eroicità: si hoc verbo uti licet, scrive, ossia se è lecito utilizzare questa parola. Quest’ultima annotazione deriva dal fatto che il termine è ricorrente nella mitologia, sicché Benedetto XIV dedica alcune pagine della sua opera alla differenza del termine nell’uso cristiano.

Altro principio utile da seguire è che se normalmente nei martiri l’eroicità viene posta solo nella morte, quando si tratta di altri casi essa deve estendersi a tutta la vita[13] e riguarda non un singolo atto, ma in generale l’esercizio delle virtù cristiane.[14] In sintesi, «la virtù cristiana, perché sia eroica, deve far sì che l’uomo virtuoso si comporti facilmente, prontamente e piacevolmente sopra la misura comune per un fine soprannaturale, e così senza ragionamento umano, con l’abnegazione di chi opera e con l’assoggettamento dei sentimenti».[15] Abbiamo qui l’enunciazione delle tre caratteristiche che sono spesso e variamente ripetute: prompte, faciliter, delectabiliter.[16]

La sua importanza, a dire il vero, non è sfuggita ai commentatori. Ad esempio, citando Fortunato Scacchi, teologo agostiniano del XVI secolo,[17] Benedetto XIV scrive che nell’esercizio degli atti virtuosi «la piacevolezza è una nota dell’abito già acquisito e forte. Infine, se alla piacevolezza è congiunta la soavità, che qualcuno sperimenta nel praticare qualche atto di virtù in ordine a un fine soprannaturale per ispirazione della carità, tale soavità e piacevolezza è una nota e un segno dell’eroicità, la quale per sua natura conserva la prontezza e la piacevolezza con la soavità e genera i propri atti nelle potenze che li producono».[18] Ora è proprio su quest’ultima caratteristica che vorrei portare l’attenzione, giacché su tratta di una caratteristica del pensiero di san Tommaso d’Aquino sull’esercizio delle virtù.

Per san Tommaso, dunque, l’agire virtuoso rende buono colui che lo esercita ed è per lui fonte di gioia; anzi, per l’Angelico «non si è buoni, né virtuosi se non si trova la propria gioia nel ben agire».[19] Il p. J.-P. Torrell commenta che qui siamo assai lontani dal pio slogan fino a poco tempo fa molto diffuso per cui solo ciò che costa è meritorio.[20]

San Tommaso basa la sua affermazione sul testo di 1Cor 9,7: Dio ama chi dona con gioia. Un testo che egli commenta ampiamente. Il tema stesso, però, è suggestivo e e meritevole di approfondimento. Io stesso in proposito ero fermo alla breve voce «gaudio» scritta da Raimondo Spiazzi nel suo Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso d’Aquino.[21] Poi mi è accaduto di leggere il denso saggio di Giuseppe Abbà dal titolo Felicità, vita buona e virtù;[22] ora sull’argomento si aggiunge un approfondito e articolato studio del domenicano Christian M. Steiner dal titolo La gioia segno di vita autentica in Tommaso d’Aquino (2002) dove si spiega che in Tommaso virtuoso è spesso da intendersi come gioioso sicché , il perfezionamento e la crescita nelle virtù includono sempre un aumento di gioia, poiché la gioia non è qualcosa di estraneo all’esercizio della virtù, ma ad esso concomitante.[23] La vera virtù, insomma, deve causare piacere. Anche quanto alla delectatio in sé, san Tommaso asserisce che est enim melior delectatio cum virtute quam sine virtute.[24] Il tema è estremamente interessante, soprattutto oggi, risultando essere, oltretutto, anche una costruttiva critica al prevalente modo odierno di intendere il piacere e la gioia (nonché, come prima accennato, la sessualità umana).

Io, però, devo concludere, ben lieto se, soprattutto queste ultime osservazioni, hanno stimolato e incoraggiato il vostro impegno. Vogliate, allora, ascoltare queste altre parole di san Gregorio di Nissa, non distanti nel significato da ciò che dirà poi san Tommaso d’Aquino: «Soltanto la ricerca della virtù che è in noi ha solide e reali basi. Colui, infatti, che si è comportato rettamente secondo qualcuna delle virtù sublimi come la temperanza, la moderatezza, il timor di Dio o qualcun altro degli insegnamenti divini ed evangelici, gode non di una gioia transitoria e instabile per ogni azione retta; la sua gioia, invece, è costante, permanente e si estende a tutto lo spazio della vita. Perché? Perché queste azioni è possibile compierle sempre. Non c’è un momento particolare in tutto lo spazio della vita in cui siamo sazi di compiere il bene».[25] Intende dire che poiché lo stato virtuoso è la naturale condizione di vita dell’uomo, la creatura non si stanca mai di compiere il bene: dell’azione virtuosa è impossibile saziarsi, poiché la vita virtuosa è la scala di Giacobbe, che congiunge la terra al cielo.

 

Marcello Card. Semeraro

 

 

UNIVERSIDAD ECLESIÁSTICA SAN DAMASO

Facultad de Derecho Canónico – Curso sobre las Causas de los Santos

Lección Inaugural Año Académico 2023-2024

4 de octubre de 2023

 

 

Estoy muy contento de saludarles, y con mi saludo, les envío también los mejores deseos del Dicasterio de las Causas de los Santos para el año académico que comienza hoy. Nos alegra ver que este curso dentro de la Facultad de Derecho Canónico de esta Universidad está creciendo. Estoy sinceramente agradecido a la Conferencia Episcopal Española por el apoyo brindado a esta iniciativa, que aún es única, pero que con gusto señalo a otras Conferencias Episcopales cuando vienen al Dicasterio para las visitas periódicas "ad Limina".

Como saben, queridos amigos, en 2023 celebramos el 700º aniversario de la canonización de Santo Tomás de Aquino, y tuve el honor de celebrar esta ocasión, como enviado especial del Papa, el 18 de julio pasado en la abadía de Fossanova, donde falleció el Santo Doctor. El próximo año, en 2024, tendremos la oportunidad de conmemorar los 750 años de la muerte del Doctor Communis (1274-2024), y luego, en 2025, los 800 años de su nacimiento. Estas numerosas fechas me inspiraron el tema de nuestra reunión: el ejercicio heroico de las virtudes según Santo Tomás de Aquino, o para usar las palabras de Benedicto XIV, la virtud heroica.

Por supuesto, no expondré todo el asunto en detalle, sino que me centraré en algunos aspectos de la teología tomista que considero útiles y también "originales" en comparación con el pensamiento común, y, por lo tanto, dignos de ser nuevamente propuestos. En particular, hablaré sobre el ejercicio de las virtudes y el significado de la "heroicidad" en dicho ejercicio.

 

La unidad sustancial del hombre y el ejercicio de las virtudes

En cuanto al ejercicio de las virtudes, el Magister comienza diciendo que, como enseñan los teólogos, "las virtudes son necesarias en aquellos que deben ser beatificados y canonizados", pero agrega que en nuestro caso se requiere que sean ejercitadas "de manera heroica".

En cuanto al primer aspecto, está claro que por "virtudes" se refiere al conjunto de lo que comúnmente se llaman virtudes teologales y virtudes cardinales. Sobre ellas, Benedicto XIV declara que no quiere detenerse, porque, según dice, todos los teólogos tratan de ellas. Veamos algunos elementos propios que al respecto provienen de la teología tomista y que nos brindan más razones para entender por qué es importante una investigación sobre el ejercicio de las virtudes para evaluar la conveniencia de una beatificación y canonización.

Las virtudes teologales, en primer lugar, son la fe, la esperanza y la caridad. Me referiré al prólogo del "Compendio de Teología" de Santo Tomás de Aquino, que es una de sus obras más significativas, del tiempo de su madurez, escrita y dedicada a Reginaldo da Piperno, su secretario y, de hecho, como lo llama en el Proemio, su "hijo muy querido" (fili carissime Reginalde) en el Proemio.

Me gustaría recordar lo que escribe sobre estas virtudes en el prólogo. En primer lugar, afirma que toda la perfección de la vida presente consiste en el ejercicio de las tres virtudes teologales (totam praesentis vitae perfectionem). Además, señala que estas tres virtudes están estrechamente relacionadas entre sí y no pueden separarse. En palabras de Santo Tomás, "el amor no puede ser recto a menos que antes se haya propuesto la última finalidad a la esperanza, y esto no es posible si falta el conocimiento de la verdad".

En resumen, según Santo Tomás de Aquino, la perfección de la vida humana radica en el ejercicio de las virtudes teologales: fe, esperanza y caridad. Estas virtudes están interconectadas y no pueden separarse, ya que el amor solo puede ser recto cuando la esperanza se dirige hacia el fin último, y esto solo es posible cuando se conoce la verdad.

Si prestamos atención a esta frase tan concisa (Tomás es conocido por su concisión, como se mencionó antes, y así donde bastan tres palabras, Santo Tomás dice dos), nos damos cuenta de que su punto de partida es la afirmación de Hebreos 11:1: "La fe es la certeza de lo que se espera". La fe no es simplemente tener "objetos" en los que creer, sino una tensión hacia las promesas de Dios. Esto significa que no puede haber fe sin esperanza y que esta no tiene sentido sin una persona a quien amar, es decir, Dios.

"Fe, esperanza y caridad constituyen, en una maravillosa interacción, el dinamismo de la existencia cristiana hacia la plena comunión con Dios", escribe el Papa Francisco en la encíclica "Lumen Fidei" (n. 7). Dios no solo existe, sino que nos ha dado el camino para llegar a Él. Con esta certeza, Santo Tomás comienza su compendio, que es su síntesis teológica: Dios nos ama y nos hace capaces de amarlo.

"Es necesario, mientras somos peregrinos en esta tierra, conocer el Camino por el cual llegar a la meta de nuestro viaje, y una vez que hayamos llegado a su cumplimiento, no podremos agradecerlo lo suficiente y adecuadamente si no conocemos el camino por el cual Él llegó hasta nosotros y nos salvó". La vida teologal, por lo tanto, es un camino en el cual Cristo es el significado, la meta y el camino. En la base de la fe está la esperanza, y la consistencia de la esperanza es el amor de Dios por nosotros; es la caridad, como dice el Apóstol: "Y la esperanza no defrauda, porque el amor de Dios ha sido derramado en nuestros corazones con el Espíritu Santo que se nos ha dado" (Romanos 5:5). No sé si existe, pero sobre lo que Santo Tomás escribe acerca de esta frase paulina podría ser tema de una tesis doctoral en teología.

En cuanto a las virtudes humanas, o "cardinales", recordaré que una de las principales contribuciones de Santo Tomás de Aquino al pensamiento cristiano es haber distinguido lo que pertenece al orden estructural de la naturaleza de las cosas de lo que, en cambio, depende de la libre gratuidad del don de Dios. Todos hemos escuchado el axioma según el cual "la gracia no destruye la naturaleza, sino que la perfecciona". Más concisamente, está el axioma "la gracia presupone la naturaleza", y esto se debe al hecho simple de que la naturaleza presupone a Dios.

Cuando se aplica al ejercicio de las virtudes en el contexto de una beatificación y canonización, esto significa que cuando se investiga la espiritualidad de una persona humana, no se pueden ignorar las leyes de su naturaleza, ya que la relación con Dios está arraigada en el propio ser del hombre. Es en virtud de esta relación que la investigación sobre el ejercicio de las virtudes en el proceso de beatificación y canonización no puede limitarse al ejercicio de las virtudes teologales, sino que necesariamente debe extenderse al ejercicio de las virtudes humanas, o cardinales, como también se les llama.

También estas virtudes están estrechamente relacionadas entre sí según Santo Tomás. En la Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 1, Tomás adopta la afirmación de San Gregorio Magno: "Una itaque virtus sine aliis, aut omnino nulla est, aut imperfecta", lo que significa que ninguna virtud existe sin las demás y, si existe por sí sola, es una forma de virtud imperfecta. Por lo tanto, estas virtudes también están en una conexión armónica entre sí.

Entre estas virtudes, la virtud de la prudencia desempeña un papel similar al de la caridad para las virtudes teologales. La prudencia es como el director de orquesta en relación a los instrumentistas, coordinando y guiando las diversas virtudes cardinales para lograr un comportamiento virtuoso.

Además, existe un vínculo entre las virtudes teologales y las virtudes cardinales, ya que las primeras sirven como base y orientación última para las segundas. Las virtudes teologales guían e informan el comportamiento moral, asegurando que las virtudes cardinales se ejerzan de manera virtuosa y de acuerdo con la fe y la caridad. A su vez, las virtudes cardinales traducen la fe y la esperanza en acciones morales concretas y ayudan a llevar una vida virtuosa dentro de la sociedad.

No hay duda que, desde la perspectiva de Santo Tomás, las virtudes humanas pueden existir incluso sin las virtudes teologales. Sin embargo, también es igualmente cierto que estas últimas, especialmente la caridad, elevan al hombre a su verdadero fin. El Doctor Angélico escribe: "En la medida en que se limitan a hacer el bien en relación a un fin que no supera la capacidad natural del hombre, las virtudes morales se pueden adquirir por la industria humana y, una vez adquiridas, pueden existir sin la caridad, como se encontraron en muchos paganos. Pero alcanzan perfecta y realmente la naturaleza de virtudes solo en la medida en que están destinadas a hacer el bien en relación al fin último sobrenatural. Por eso, no se pueden adquirir mediante acciones humanas, sino que son infundidas por Dios. Y estas virtudes morales no pueden existir sin la caridad".

La consecuencia di todo esto es simplemente que el examen del ejercicio de las virtudes, especialmente en vista de un proceso de beatificación y canonización, no puede ni debe llevarse a cabo sin tener en cuenta las conexiones y relaciones entre todas las virtudes, tanto entre sí como en el doble y distinto orden de las virtudes teologales y cardinales. Esto se debe al axioma fundamental de Santo Tomás de Aquino sobre la unidad sustancial del ser humano, un aspecto de fundamental importancia, especialmente en la actualidad, dada la tendencia predominante a separar el cuerpo de la persona, especialmente en el ámbito de la ética de la sexualidad. Por supuesto, esto no quita que algunos estados de vida requieran una atención especial a ciertas virtudes humanas. Pienso, por ejemplo, en el ejercicio de la virtud de la prudencia por parte de aquellos que tienen responsabilidades de liderazgo y gobierno.

Para explicar cómo, a partir del conjunto de las virtudes teologales y cardinales, se puede llegar a la santidad, el Magisterio recurre a un texto de Hugo de San Víctor: "La primera de las virtudes, la fe, se abre hacia la humildad, porque es imposible agradar a Dios sin la fe, y el justo vive por la fe. Pero, ¿qué obtienes con la fe si con la esperanza no buscas aquello que abrazar con la fe? Porque lo que aún no vemos, lo esperamos, y la esperanza no defrauda. Sin embargo, mientras esperamos, amamos lo que ya sostenemos con la fe, y a la esperanza le sigue la caridad, y así, la fe, que obra por amor, avanza correctamente. Entonces, de qué manera estas tres virtudes, es decir, la esperanza, la fe y la caridad, deben ser distinguidas y comprendidas, la prudencia las enseña e informa, la justicia las adorna y completa, la fortaleza las sostiene y fortalece, y para que no se dispersen en muchas cosas y no sean restringidas de manera incompetente dentro de sus propios límites, la templanza las modera y distingue. Así que, si agregas estas cuatro virtudes a las tres superiores, este número siete de virtudes lleva a quienes las practican a la plenitud de la gracia septiforme, mediante la cual se disuelve la unión de los vicios, se vence la tentación del diablo y se avanza por el camino de la justicia hacia la fuente y el origen de todas las virtudes".

 

El ejercicio "heroico" de las virtudes

Creo que hay algunas cosas que debo añadir en relación con el grado "heroico" en el ejercicio de las virtudes. Comenzaría diciendo que Benedicto XIV no deja de mencionar dos cosas: la primera es que "no todos los justos deben ser canonizados por la Iglesia, sino solo aquellos que brillaron con virtudes heroicas"; la segunda es expresar ciertas dudas sobre el término heroicidad: "si hoc verbo uti licet," escribe, es decir, si es lícito usar esta palabra. Esta última observación se deriva del hecho de que el término es recurrente en la mitología, por lo que algunas páginas de la obra de Benedicto XIV están dedicadas a la diferencia del término en el uso cristiano.

Otro principio útil a seguir es que, si normalmente en los mártires la heroicidad se coloca solo en la muerte, cuando se trata de otros casos, esta debe extenderse a toda la vida y no se refiere a un solo acto, sino en general al ejercicio de las virtudes cristianas. En resumen, "la virtud cristiana, para ser heroica, debe hacer que el hombre virtuoso actúe fácilmente, prontamente y con placer por encima de la medida común para un fin sobrenatural, y así sin razonamiento humano, con la abnegación de quien obra y la sumisión de los sentimientos". Aquí tenemos la enunciación de las tres características que a menudo se repiten de diversas maneras: prontamente, fácilmente y con placer (prompte, faciliter, delectabiliter).

Su importancia no escapó a los comentaristas. Por ejemplo, citando a Fortunato Scacchi, un teólogo agustino del siglo XVI, el Papa Benedicto XIV escribe que en el ejercicio de los actos virtuosos, "el placer es una señal de que la virtud está arraigada y fuerte. Finalmente, si se une al placer la dulzura que alguien experimenta al realizar un acto de virtud en orden a un fin sobrenatural por inspiración de la caridad, esta dulzura y placer son signos de heroicidad, que por su naturaleza conserva la prontitud y el placer con dulzura y genera sus propios actos en las facultades que los producen." Ahora, me gustaría llamar la atención sobre esta última característica, ya que se trata de un aspecto del pensamiento de Santo Tomás de Aquino sobre el ejercicio de las virtudes

Para Santo Tomás, por lo tanto, la acción virtuosa hace que quien la realiza sea bueno y le brinda alegría; de hecho, para el "Doctor Angélico", "no somos buenos ni virtuosos a menos que encontremos nuestra alegría en hacer el bien". El Padre J.-P. Torrell comenta que aquí estamos muy lejos del piadoso lema que hasta hace poco era muy común: "solo lo que cuesta es meritorio". Esto no implica necesariamente que no debamos actuar por deber, sino que, ciertamente, si actuamos con mucho amor, encontraremos nuestra alegría.

San Tomás de Aquino fundamenta su afirmación en el pasaje de 1 Corintios 9,7: "Dios ama al que se da con alegría", un texto que él comenta extensamente. Sin embargo, el tema en sí mismo es sugerente y merece un estudio más profundo. Inicialmente, yo mismo me detuve en la breve entrada "gaudio" escrita por Raimondo Spiazzi en su Diccionario Enciclopédico del Pensamiento de Santo Tomás de Aquino. Luego, tuve la oportunidad de leer el denso ensayo de Giuseppe Abbà titulado "Felicidad, vida buena y virtud". Ahora, en relación con este tema, se agrega un estudio detallado y elaborado del dominico Christian M. Steiner titulado "La alegría como signo de vida auténtica en Tomás de Aquino" (2002), donde se explica que en Santo Tomás a menudo se debe entender virtuoso como algo alegre. Por lo tanto, el perfeccionamiento y el crecimiento en las virtudes siempre incluyen un aumento de la alegría, ya que la alegría no es algo ajeno al ejercicio de la virtud, sino que va de la mano con él. La verdadera virtud, en resumen, debe causar placer. Incluso en lo que respecta a la "delectatio" en sí, Santo Tomás afirma que "la alegría es mejor cuando va acompañada de virtud que cuando carece de ella".

El tema es sumamente interesante, especialmente en la actualidad, sobre todo como una crítica constructiva al modo predominante de entender el placer y la alegría en la sociedad actual, así como la sexualidad humana, como mencioné anteriormente.

Sin embargo, debo concluir, complacido si, especialmente estas últimas observaciones, han estimulado y alentado su compromiso. Ahora, por favor, escuchen estas otras palabras de San Gregorio de Nisa, no lejanas en su significado de lo que luego dirá Santo Tomás de Aquino: "Solo la búsqueda de la virtud que reside en nosotros tiene bases sólidas y reales. De hecho, aquel que se ha comportado correctamente según alguna de las virtudes sublimes como la templanza, la moderación, el temor a Dios u otro de los preceptos divinos y evangélicos, no disfruta de una alegría transitoria e inestable por cada acción correcta; su alegría, en cambio, es constante, permanente y se extiende a lo largo de toda la vida. ¿Por qué? Porque estas acciones son siempre posibles de realizar. No hay un momento específico en toda la vida en el que estemos saciados de hacer el bien". Quiere decir que, dado que el estado virtuoso es la condición natural de la vida humana, la criatura nunca se cansa de hacer el bien. Es imposible hartarse de la acción virtuosa, ya que la vida virtuosa es la escalera de Jacob que une la tierra con el cielo.

 

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[1] De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione III, 21, 1: ed. LEV III/1, Città del Vaticano 2015, pp. 591-632. Nei capp. successivi: “eroicità delle virtù”.

[2] De Servorum Dei III, 21, 4: ed. cit., p. 597.

[3] Compendium, lib. 1 cap. 2 co. È così che traduco: «Christi humanitas via est qua ad divinitatem pervenitur. Oportet igitur et in via viam cognoscere, per quam possit perveniri ad finem; et in patria Dei gratiarum actio sufficiens non esset, nisi viae, per quam salvati sunt, cognitionem haberent».

[4] Super Sent., lib. 2 d. 9 q. 1 a. 8 arg. 3.

[5] Super Sent., lib. 1 d. 17 q. 1 a. 3 arg. 3; Summa Theologiae I-II, q. 99 a. 2 ad 1.

[6] De potentia, q. 3 a. 7 s.c. 2.

[7] Moralia XX, 1, 2: PL 76, 212.

[8] STh., I-II, q. 68, a. 8 co: «le virtù morali stanno alle virtù intellettuali, le quali affinano la ragione, motrice delle virtù morali...».

[9] STh I-II, q. 65 a. 2 co.

[10] De Servorum Dei III, 21, 15: ed. cit., p. 628: nel beatificando e canonizzando si richiede l’esercizio di tutte e virtù, ossia «nella fede, speranza e carità, e nello stesso modo sia stato eroe in quelle virtù morali, nelle quali secondo il suo stato ha potuto esercitarsi, con la preparazione dell’animo a comportarsi ugualmente nelle altre, se fosse data l’occasione di esercitarle».

[11] De Servorum Dei III, 21, 3: ed. cit., p. 596. Per la citazione di Ugo di San Vittore, cf. De fructibus carnis et spiritus I: PL 176, 998.

[12] De Servorum Dei III, 21, 1: ed. cit., p. 592.

[13] Nella prassi attuale del Dicastero abitualmente si tiene conto degli ultimi dieci anni di vita.

[14] Si terrà conto del fatto che essendovi, pure nella prospettiva tomista, l’interconnessione delle virtù, può accadere (ed accade) che nell’esame del loro esercizio dalla presenza di una, o di alcune virtù, sia facilmente possibile dedurre la presenza di altre.

[15] De Servorum Dei III, 22, 1: ed. cit., p. 633.

[16] Annotando nella sua Presentazione il testo del Magister, il p. V. Criscuolo spiega che «alle caratteristiche fondamentali della virtù eroica il Lambertini aggiunge occasionalmente qualche altra espressione, come ad esempio “supra communem modum”, “ex fine supernaturali”, “sine humano ratiocinio”, “cum abnegatione operantis” o “cum abnegatione sui ipsius”, “cum affectu subiectione (cap. XXII, n. 1, nel presente volume p. 633); oppure qualche altro avverbio, come “iucunde” o “frequenter” oppure “alacriter” (cap. XXIII, n. 34, p. 700).

[17] Cf. P. Giovannucci, La virtù eroica nei processi di canonizzazione dell'età moderna. Prolegomeni ad una ricerca, in «Ricerche di storia sociale e religiosa» 32 (2003), pp. 181-194; Genesi e significato di un concetto agiologico: la virtù eroica nell’età moderna, in »Rivista di storia della Chiesa in Italia» 58/2 (luglio-dicembre 2004) pp. 433-478.

[18] De Servorum Dei III, 21, 11: ed. cit. pp. 621-622.

[19] Cf. l’intera Sententia Ethic., lib. 1, lect. 13: «universaliter operationes, quae secundum virtutem sunt delectabiles virtuosis virtutem amantibus».

[20] Cf. J.-P. Torrell, Saint Thomas d’Aquin, maître spirituel. Initiation 2, Éd. Univ. Friburg Suisse 1996, p. 354-355. Da ciò non deriva necessariamente che non bisogna agire per dovere, ma soltanto per piacere; è certo, però, che se si agisce con molto amore si troverà la propria gioia.

[21] Ed. Studio Domenicano, Bologna 2091, p. 276.

[22] Felicità, vita buona e virtù. Saggio di filosofia morale, Las, Roma 1995 (seconda ed. ampliata).

[23] STh I-II, q. 34 a. 3 ad 2.

[24] STh I-II, q. 34 a. 3 arg. 2.

[25] De Beatitudinibus Oratio IV: PG 44, 1244.