Facultad de Teología San Isidoro de Sevilla Inauguración del curso académico 2023-24

 

Facultad de Teología San Isidoro de Sevilla

Inauguración del curso académico 2023-24

Lección inaugural – 5 ottobre 2023

 

El estudio de la teología, camino de santificación personal

(La santità secondo san Tommaso d’Aquino)

 

Il tema a suo tempo suggeritomi per questa Lezione inaugurale dell’anno accademico 2023-2024 riguarda lo studio della teologia come cammino di santificazione personale ed io ve ne sono grato, anche se con rammarico devo annettere che è vera una della due cose: o non ho studiato bene la teologia, nonostante pure i miei anni di insegnamento della ecclesiologia; oppure nel cammino della santità non ho fatto davvero molti progressi. In ciascuna delle due alternative sono un «perdente». Eppure, quando insegnavo specialmente nel Seminario Teologico Pugliese, non mancavo di dare agli studenti il testo di una preghiera attribuita a san Tommaso d’Aquino conosciuta come «Lettera a uno studente» e intitolata De modo studendi. La leggo in traduzione:

Carissimo, giacché mi hai chiesto in che modo tu debba applicarti allo studio, per acquistare il tesoro della scienza, ecco in proposito il mio consiglio: non voler entrare subito in mare, ma arrivarci attraverso i ruscelli, perché è dalle cose più facili che bisogna pervenire alle più difficili. Questo dunque è l’avviso mio, che ti servirà di regola. Voglio che tu eviti i discorsi inutili; abbi purezza di coscienza; non trascurare la preghiera; ama il raccoglimento; sii cordiale con tutti; non essere curioso dei fatti altrui; non avere eccessiva familiarità con alcuno, perché essa genera disprezzo e dà occasione di trascurare lo studio; non divagare su tutto; cerca di imitare gli esempi delle persone rette; non guardare chi è colui che parla, ma tieni a mente tutto ciò che di buono egli dice; procura di comprendere ciò che leggi ed ascolti; certificati delle cose dubbie e studiati di riporre nello scrigno della memoria tutto ciò che ti sarà possibile; non cercare, infine cose superiori alla tua capacità. Seguendo queste norme, metterai fronde e produrrai utili frutti dove il Signore ti ha destinato a vivere. Mettendo in pratica questi insegnamenti, potrai raggiungere la mèta alla quale tu aspiri. Addio

Ci sarebbe da commentarla, tali e tanti sono i suggerimenti utili sotto il profilo dell’umana saggezza e della sapienza cristiana, ma san Tommaso era così: vita di grazia e maturità umana si tengono sempre per mano, sono compagne di viaggio e si aiutano a vicenda.

Voi mi domanderete perché ho iniziato con il rimando a san Tommaso d’Aquino. Vi rispondo subito ripetendovi l’assioma scolastico, usato anche da san Tommaso,[1] secondo cui quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur. In questi anni tempi, poi, ci sono tre ricorrenze che lo riguardano: la sua canonizzazione, di cui lo scorso 18 luglio è stato ricordato il 700mo anniversario; l’anno prossimo 2024 ricorreranno i 750 anni della sua morte e poi, nel 2025, gli 800 anni della sua nascita. È così che san Tommaso mi «gira per la testa», un po’ come Gesù, che, al dire di santa Teresa, gironzola anche fra le pentole della cucina.[2] A parte questo, c’è il fatto che nella mens della Chiesa san Tommaso dovrebbe essere la «principale guida» per gli studenti di teologia.

 

Santità e studio della teologia in san Tommaso d’Aquino

Studiorum ducem, lo indicò Pio XI nell’enciclica del 29 giugno 1923 che porta appunto  questo titolo. È un documento, questo, che inizia proprio col dichiarare che «la vera scienza e la pietà, che di tutte le virtù è compagna, sono tra di loro mirabilmente congiunte»; col ricordare che «l’unione della dottrina con la pietà, della erudizione con la virtù, della verità con la carità fu veramente singolare nel Dottore Angelico, a cui venne attribuito il distintivo del sole, poiché, mentre egli porta alle menti la luce della scienza, accende nelle volontà la fiamma della virtù». Per questo «sembrò che Iddio, fonte d’ogni santità e sapienza, volesse mostrare in Tommaso come queste due cose si aiutino a vicenda, come cioè l’esercizio delle virtù disponga alla contemplazione della verità ed a sua volta l’accurata meditazione della verità renda più pure e perfette le stesse virtù».

La convergenza fra studio della divina sapienza e santità lo vediamo luminoso nella vicenda terrena del Doctor communis. «Io penso che il compito principale della mia vita sia quello di esprimere Dio in ogni mia parola e ogni mio sentimento».[3] Quando Tommaso scrisse queste righe – che sono tra le prime della Summa contra Gentiles – aveva poco più di venticinque anni e stava per rientrare in Italia dopo la prima esperienza d’insegnamento a Parigi. Ciò che le caratterizza è il tono molto personale, ricco di emozione e di giovanile fervore. Sono una dichiarazione d’intenti, che non riguarda soltanto il suo lavoro teologico, ma, più ancora, il senso della propria vita. Quell’affermazione iniziale si completa e si chiude con quest’altra, riferita ancora a Tommaso quando, in preghiera davanti all’immagine del Crocifisso nella cappella San Nicola a Napoli, si sentì dire da Gesù: «Tu hai parlato bene di me, Tommaso, cosa desideri come ricompensa? – Nient’altro che te, Signore», fu la risposta.[4]

I due testi sono assai eloquenti per dirci pure come Tommaso intendeva la santità: relazione con Dio, significata e manifestata dall’amore e con l’amore all’umanità di Cristo. L’umanità di Cristo, infatti, come lo stesso Tommaso scrive nella Summa Theologiae, ci conduce come per mano verso la divinità.[5] Per lui l’amore verso l’umanità di Cristo è la pedagogia per la santità. In tal modo l’ascensus verso Dio percorre la stessa via del descensus di Dio verso di noi, ossia la carne di Cristo.

Il Maestro di Aquino non ha scritto, come san Bonaventura, un’opera titolata Itinerarium in Deum.[6] L’espressione motus in Deum, però, è presente nei suoi scritti. Il cap. 107 della prima parte del suo Compendio di teologia riguarda appunto il movimento verso Dio per conseguire la beatitudine, del quale san Tommaso dice che può essere paragonato a un moto, o a una mutazione naturale. Vuol dire che tra ciò che muove e ciò verso cui si muove c’è una proporzione, o inclinazione e ciò vuol dire che la persona umana, in quanto creata a immagine di Dio, ha una connaturale disposizione (analoga alla forza di gravità) verso di Lui. Vuol dire pure che solo in Dio il movimento dell’uomo trova il suo punto d’arrivo e la sua quiete, il suo riposo. Tommaso non ha il linguaggio di sant’Agostino, per quanto nei suoi testi liturgici scopriamo pure la poesia. Questo, però, non è molto dissimile da quanto scrive Agostino: fecisti nos ad te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te.[7]

Per toccare, ad ogni modo, più esplicitamente il tema indicatomi, sottolineerei che in San Tommaso d’Aquino, il rapporto tra lo studio della teologia e la santità è strettamente connesso. Non si tratta affatto di una semplice attività intellettuale, ma di una via per avvicinarsi a Dio e raggiungere la santità. Un primo elemento importante per qualificare questo rapporto è che per san Tommaso la via principale per la santità è la conoscenza di Dio, di cui lo studio della teologia fornisce le basi. Si aggiunge di proprio il fatto che lo studio della teologia aiuta a coltivare l’esercizio delle queste virtù teologali, che sono fondamentali per rispondere alla chiamata alla santità. Se compiuto seguendo il modus studendi, lo studio della teologia conduce a ua fede più profonda, a una speranza salda in Dio e all’amore verso Dio e il prossimo. La teologia, di conseguenza, aiuta a condurre una vita virtuosa, a comprendere cosa sia moralmente giusto e a seguire la volontà di Dio nella vita quotidiana.

Questo cammino verso Dio Tommaso non lo ha solo teoorizzato, ma lo ha percorso anche con la sua teologia poiché studio della teologia e santità sono secondo lui strettamente connessi. In genere si afferma che lo schema della Summa Theologiae sia quello dell’exitus a Deo e del reditus in Deum. Il p. Chenu lo ha sostenuto.[8] Comunque sia, nel suo «Commento alle Sentenze» san Tommaso ha applicato lo schema del reditus in Deum proprio a proposito della devozione verso i santi. Scrive: «Il fatto che i santi, trovandosi in patria, sono i più vicini a Dio esige che noi, ancora nel corpo e pellegrini lontani dal Signore, siamo ricondotti a lui mediante i santi e ciò accade quando, attraverso di loro, la bontà divina diffonde verso di noi la sua efficacia. E poiché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere al progresso della sua bontà verso di noi, alla stessa maniera in cui i benefici di Dio ci vengono per intercessione dei santi, così la loro intercessione siamo ricondotti a Dio sì da ricevere nuovamente i suoi benefici; ed è per questo che noi li invochiamo quali nostri intercessori presso Dio e pure quali nostri mediatori quando chiediamo loro di pregare per noi».[9]

 

La santità: camminare con Cristo verso il Padre

Considerando il modello dei santi, possiamo dire che la concezione tomista della santità consiste nell’andare verso Dio. Modello, per questo, è Gesù il quale, nel racconto della Cena secondo Giovanni, disponendosi a lavare i piedi dei discepoli, «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che da Dio era uscito e a Dio andava, si alzò da tavola …» (13,3-4). Analizzando parola per parola il testo evangelico, san Tomaso giunge all’espressione: a Dio andava e spiega che «la santità dell’uomo consiste nell’andare a Dio. Ed è proprio questo che l’evangelista ha voluto indicare, perché proprio andando a Dio Cristo ha fatto suo compito quello di ricondurre a Dio tutti gli altri».[10] Santità, dunque, è muoversi verso Dio. Meglio, è lasciarsi guidare da Cristo il quale, nel cammino verso il Padre, è pure il nostro compagno di viaggio. La descrizione è essenziale al massimo, ma oltremodo suggestiva. Commentandola, il p. Daniel Ols mette in evidenza che per San Tommaso la santità non consiste nelle penitenze e le macerazioni della carne e neppure consiste nelle opere buone, o nell’esercizio della virtù, bensì fondamentalmente nella relazione con Cristo.[11] Vediamo questo con uno sguardo veloce.

Le penitenze e le macerazioni della carne, anzitutto. Esse, insegna Tommaso, hanno un valore non in sé, ma soltanto se collegate all’esercizio di una virtù.[12] Al n. 59 di Gaudete et exsultate Francesco rimanda all’insegnamento di San Tommaso d’Aquino il quale «ci ricordava che i precetti aggiunti al Vangelo da parte della Chiesa devono esigersi con moderazione “per non rendere gravosa la vita ai fedeli”, perché così si muterebbe la nostra religione in una schiavitù». Riguardo, poi, al compimento delle opere buone e all’esercizio delle virtù il principio di San Tommaso è che pure le azioni più grandi non hanno senso e nulla valgono se non sono attuazione e espressione della carità. Questa, difatti, è il criterio di misura della perfezione della vita cristiana.[13] Se, perciò, manca la carità sarebbe illusorio parlare di perfezione poiché fede e speranza sono davvero virtù solo se sono congiunte alla carità e senza di essa la loro pratica non servirebbe a nulla.[14]

Non è possibile entrare qui nel dettaglio,[15] mi pare utile, tuttavia, ricordare che nella dottrina tomista ci sono due prospettive secondo le quali è possibile considerare la carità: secondo il suo oggetto e secondo la sua intensità, o anche secondo gli oggetti ed effetti («scilicet ut perfecte faciat»), oppure secondo la intensità affettiva («scilicet ut perfecte diligat»).

Per Tommaso la perfezione della vita cristiana si misura essenzialmente secondo l’intensità della carità. Questa importa ed esige senz’altro il compimento di opere che manifestino l’affetto, ma l’intensità e la grandezza dell’amore non sono, di per sé, legati e condizionati dalle opere che si compiono.[16] È, dunque, possibile avere una carità perfetta, senza che per questo si facciano opere straordinarie.[17] Per questa ragione in Gaudete et exsultate Francesco può scrivere che i santi «ci spronano a non fermarci lungo la strada, ci stimolano a continuare a camminare verso la meta. E tra di loro può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine. Forse la loro vita non è stata sempre perfetta, però, anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore» (n. 3).[18]

Ciò detto, è doveroso aggiungere alla carità un altro punto di riferimento ed è la verità. Lo stesso martirio, perché davvero sia tale deve avere il suo riferimento alla verità.[19] Tommaso cita per questo l’Apostolo, dove scrive: «né morte né vita… potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,39). È evidente che la certezza dell’Apostolo è tutta fondata sulla verità della carne di Cristo ed è in tale contesto che sarà spiegato ciò che scrive Tommaso: sic igitur sanctitas dicitur per quam mens hominis seipsam et suos actus applicat Deo.[20] Osserviamo un po’ nel dettaglio.

Mens hominis: per Tommaso la mens è il centro dell’uomo,[21] ciò che lo distingue fra tutti gli esseri creati e lo rende unico e consiste nella inerenza fra memoria, intelligenza e volontà.[22] Ne segue che la santità non è una questione di soli affetti e sentimenti, anche se essa ridonda senz’altro nella sfera affettiva, passionale. Una santità che non ama, non è santità! Nella santità, però, si coniugano armonicamente la memoria salutis, l’intelligenza della verità e la volontà orientata al bene, al vero, al giusto, come cantiamo per la lode a Dio: Vere dignum et iustum est, aequum et salutare.

Applicat: in altri testi affini al nostro, Tommaso ricorre all’espressione refert in Deum, ossia riferire, riportare a Dio. Si tratta, insomma, di prender Dio come fine: Dio deve essere il fine della nostra mente e dei suoi atti. Per la mente, avere Dio come fine vuol dire impegnarsi per conoscere e amare Dio: il santo cerca di conoscere Dio e, poiché così facendo scopre sempre di più quanto Dio sia degno di amore, allora lo ama sempre dipiù. Si crea, allora, un circolo virtuoso: più si conosce Dio, più si capisce quanto è degno di esser amato e più lo si ama; quanto, poi, più lo si ama, più si desidera di meglio conoscerlo e così via. Ci sono poi gli altri atti dell’uomo, i quali hanno un fine immediato che non è, né può essere Dio; anche questi, però, possono essere ordinati a Dio come a loro fine ultimo. Ne segue che il santo autentico è colui la cui vita trova senso soltanto in riferimento a Dio, poiché è il fine a dare senso. Questo si verifica perfettamente in Gesù Cristo.

Un’ultima precisazione, però, è necessario fare ed è che tutto, la conoscenza e l’amore per Dio fin qui molto sommariamente descritti, nell’uomo possono esserci soltanto come frutto della grazia. È un tema, questo, classico nella dottrina cristiana. Nell’esortazione Gaudete et exsultate, nelle pagine dedicate all’attuale pelagianesimo Francesco sottolinea più volte questo aspetto.[23] Secondo San Tommaso la santità deve essere nel cuore, la verità sulle labbra e la giustizia nelle opere: sanctitas sit in corde, veritas in ore, iustitia in opere[24] e questa è davvero una bella sintesi per ciò che vuol dire essere santi.

 

Come Tommaso d’Aquino è stato santo

In ciò che Tommaso scrive sulla santità e in particolare di San Paolo non ci è difficile riconoscere pure il suo cammino di santità. Santità è camminare verso Dio, si è detto sin dal principio e questo cammino San Tommaso lo ha percorso nello studio e nell’insegnamento e sempre nell’umiltà, nella semplicità e nella gioia.

Sono caratteristiche così sinteticamente richiamate da Guglielmo di Tocco, che potremmo considerare il postulatore della causa per la canonizzazione: «quanto alla reputazione di sé era umilissimo, puro nel corpo e nella mente, devoto nella preghiera e prudente nel consiglio, calmo nel parlare, espansivo nella carità …».[25] Poco più avanti sottolinea la delicatezza del suo tratto umano e anche così mostrava conforme al suo modello che era Cristo.[26] Tutti i biografi riconoscono in lui una personalità serena, anzi gioiosa, capace di scherzare anche con i suoi alunni. G. Di Tocco scrive che pure laetanter exivit de corpore.

Un’altra caratteristica della santità di Tommaso d’Aquino fu il suo amore per l’Eucaristia, che per lui si concretizza nella celebrazione della Santa Messa. Sempre Guglielmo di Tocco osservava che se per un verso gli era stato concesso di scrivere profondamente dell’Eucaristia, gli era stato dato pure di celebrare ancora più devotamente. A meno che, infatti, l’infermità non glielo impedisse, celebrava ogni giorno una Messa e un’altra ne serviva celebrata da un confratello. Spesso durante la Messa era rapito da estasi «con tale sentimento di devozione, da uscirne tutto inzuppato di lacrime, assorto nei misteri di così sacro Sacramento e ristorato dai doni spirituali».[27]

Caratteristica della santità di Tommaso d’Aquino fu pure la preghiera davanti al Crocifisso. Ho prima ricordato l’esperienza mistica napoletana del suo dialogo con il Crocifisso.[28] Al riguardo, Guglielmo di Tocco annota (e così pure gli altri biografi) che quando quell’esperienza avvenne Tommaso stava scrivendo la terza parte della Summa proprio nelle questioni relative al mistero pasquale di Cristo. Tutti aggiungono che da allora Tommaso cessò quasi del tutto dallo scrivere, come se avesse ormai esaurito la propria missione. Ciò vuol dire che pure il lavoro teologico egli lo concepiva come un ascensus in Deum.

Da qui quel suo costante e progressivo legame tra lo studio e la contemplazione, che si manifestava specialmente in quella abstractio mentis, che lo rese leggendario tra i confratelli. Tommaso fu uomo in ricerca, pronto a lasciar tutto nel momento in cui avrebbe veduto profilarsi quel che sempre aveva cercato. In tale luce sono da intendersi anche le confidenze da lui fatte nell’ultima fase della vita tra cui il venit finis scripturae meae, quia talia sunt mihi revelata, quod ea quae scripsi et docui, modica mihi videntur confidato da Tommaso al fido Reginaldo. Così Guglielmo di Tocco,[29] dove però Bartolomeo da Capua, nella sua deposizione al processo napoletano, ricorre al termine «paglia»: Omnia que scripsi videntur michi palee respectu eorum quae vidi et revelata sunt michi.[30] È probabile che questa sia la citazione più esatta, giacché , come osserva J.-P. Torrell, nella tradizione cristiana il termine è usato per distinguerlo dal frumento. Ora che ha fatto esperienza della realtà, Tommaso non sente più il bisogno delle parole che ha scritto: non le rinnega, ma ormai egli è oltre.

Nell’ora della morte nell’abbazia di Fossanova, ricevendo devotamente il viatico Tommaso disse: «Sumo te pretium redemptionis animae meae, sumo te viaticum peregrinationis meae, pro cuius amore studui, vigilavi, et laboravi, te praedicavi et docui …».

Guglielmo di Tocco narra pure che un anziano frate domenicano molto stimato, fr. Paolo de L’Aquila, trovandosi nel convento di Napoli vide in sogno Tommaso che commentava ai suoi studenti l’epistolario paolino. Nel frattempo si vide entrare nell’aula lo stesso San Paolo e Tommaso subito si alzò per scendere dalla cattedra. L’Apostolo, però, gli fece cenno di continuare e allora Tommaso gli domandò se stava spiegando bene le sue Lettere. Paolo rispose: «Sì, per quello che è possibile a un uomo durante la vita terrena tu le stai commentando bene. Ora però voglio che tu venga con me perché ti accompagnerò in un luogo dove tutto ti sarà molto più chiaro». Così dicendo, l’Apostolo prese Tommaso per la cappa e lo tirò fuori dell’aula. A questo punto fr. Paolo si svegliò e cominciò a gridare: «Correte, fratelli, correte, perché ci stanno portando via fra’ Tommaso». Gli altri frati gli domandarono perché gridasse così ed egli riferì il sogno. Giunse poi da Fossanova la notizia della morte di Tommaso e capirono il senso del sogno.[31]

Tutti i biografi dichiarano che, effettivamente, San Tommaso nutriva grande devozione per l’Apostolo Paolo. Concludo, allora, completando le parole con cui egli commentò Dionigi sul testo: Non vivo più io, ma Cristo vive in me: «Uscendo da se stesso si è totalmente riversato in Dio, cercando non ciò che è suo, ma ciò che è di Dio e lo ha fatto come un vero amante che sperimentava la passione dell’estasi: vivendo per Dio e non più la propria vita, bensì quella di Cristo, di cui era innamorato e la cui vita era per lui amabile più di ogni cosa».[32] Anche Tommaso d’Aquino è stato un teologo e un santo così.

 

Marcello Card. Semeraro

 

 

El tema que se me propuso en su momento para esta Lección Inaugural del año académico 2023-2024 se refiere al estudio de la teología como un camino de santificación personal, y les estoy agradecido por ello. Sin embargo, debo admitir con pesar que una de dos cosas es cierta: o no he estudiado la teología lo suficientemente bien, a pesar de mis años de enseñanza de la eclesiología, o no he avanzado mucho en el camino de la santidad. En cualquiera de las dos alternativas, soy un "perdedor". Sin embargo, cuando enseñaba, especialmente en el Seminario Teológico Pugliese, solía dar a los estudiantes el texto de una oración atribuida a Santo Tomás de Aquino, conocida como "Carta a un estudiante" y titulada "De modo studendi". La leeré en traducción:

Querido, ya que me has preguntado cómo debes aplicarte al estudio para adquirir el tesoro del conocimiento, aquí tienes mi consejo al respecto: no quieras entrar de inmediato en el mar, sino llegar a él a través de los arroyos, porque debes avanzar desde las cosas más fáciles hacia las más difíciles. Este es, por tanto, mi consejo que te servirá como regla. Quiero que evites las conversaciones inútiles; mantén una conciencia pura; no descuides la oración; ama la soledad; sé amable con todos; no seas curioso acerca de los asuntos de los demás; no te familiarices demasiado con nadie, porque eso genera desprecio y te distrae del estudio; no divagues sobre todo; intenta imitar los ejemplos de personas rectas; no mires quién es el que habla, sino ten en mente todo lo bueno que dice; esfuerza por comprender lo que lees y escuchas; aclarate sobre las cosas que te generen dudas y trata de guardar en la memoria todo lo que puedas; finalmente, no busques cosas más allá de tu capacidad. Siguiendo estas pautas, producirás frondosas ramas y darás frutos útiles en el lugar donde el Señor te ha destinado a vivir. Al poner en práctica estos consejos, podrás alcanzar la meta que aspiras. Adiós.

Ciertamente, esta carta contiene numerosos consejos que son útiles desde la perspectiva de la sabiduría humana y la sabiduría cristiana. San Tomás de Aquino tenía la capacidad de unir la vida de la gracia con la madurez humana, manteniéndolas siempre de la mano. Para él, estas dos dimensiones de la vida se complementaban mutuamente y se ayudaban en el camino de la virtud y la sabiduría. Su enfoque equilibrado y su profunda espiritualidad son evidentes en estos consejos, que son valiosos no solo para el estudio teológico, sino también para la vida en general.

La referencia inicial a Santo Tomás de Aquino se debe al principio escolástico que sostiene: "lo que se recibe se recibe de acuerdo con la capacidad del que recibe". Además, en estos años hay tres conmemoraciones relacionadas con él: su canonización, que se conmemoró el 700 aniversario el pasado 18 de julio; el próximo año 2024 marcará los 750 años de su muerte y, en 2025, se celebrarán los 800 años de su nacimiento. Esto hace que Santo Tomás esté muy presente en mi mente, de manera similar a lo que dijo Santa Teresa sobre Jesús, que también ronda entre las ollas de la cocina. Además, en la mente de la Iglesia, Santo Tomás debería ser la "principal guía" para los estudiantes de teología.

 

Santidad y estudio de la teología en Santo Tomás de Aquino

El Papa Pío XI lo señaló como el "Guía de los Estudios" en su encíclica del 29 de junio de 1923, que lleva precisamente ese título. Studiorum ducem. En este documento, se comienza declarando que "la verdadera ciencia y la piedad, que es compañera de todas las virtudes, están admirablemente unidas entre sí". Se recuerda que "la unión de la doctrina con la piedad, del conocimiento con la virtud, de la verdad con la caridad fue verdaderamente singular en el Doctor Angélico, a quien se le otorgó el distintivo del sol, porque mientras él lleva la luz de la ciencia a las mentes, enciende la llama de la virtud en las voluntades". Por eso, "pareció que Dios, fuente de toda santidad y sabiduría, quiso mostrar en Tomás cómo estas dos cosas se ayudan mutuamente, es decir, cómo el ejercicio de las virtudes dispone a la contemplación de la verdad y, a su vez, la meditación cuidadosa de la verdad hace que las mismas virtudes sean más puras y perfectas".

La convergencia entre el estudio de la sabiduría divina y la santidad se ve brillantemente en la vida terrenal del Doctor Común. "Creo que la principal tarea de mi vida es expresar a Dios en cada una de mis palabras y en cada uno de mis sentimientos". Cuando Tomás escribió estas líneas, que se encuentran entre las primeras de la Summa contra Gentiles, tenía poco más de veinticinco años y estaba a punto de regresar a Italia después de su primera experiencia de enseñanza en París. Lo que las caracteriza es el tono muy personal, lleno de emoción y fervor juvenil. Son una declaración de intenciones que no se refiere solo a su trabajo teológico, sino más aún al sentido de su propia vida. Esta afirmación inicial se completa y cierra con esta otra, atribuida también a Tomás cuando, en oración frente a la imagen del Crucifijo en la capilla de San Nicolás en Nápoles, escuchó decir a Jesús: "Has hablado bien de mí, Tomás, ¿qué deseas como recompensa?" - "Nada más que a ti, Señor", fue la respuesta.

Los dos textos son muy elocuentes para expresar cómo Tomás entendía la santidad: como una relación con Dios, significada y manifestada por el amor y hacia el amor a la humanidad de Cristo. La humanidad de Cristo, de hecho, como Tomás mismo escribió en la Summa Theologiae, nos guía como de la mano hacia la divinidad. Para él, el amor hacia la humanidad de Cristo es la pedagogía hacia la santidad. De esta manera, el ascenso hacia Dios sigue la misma vía que el descenso de Dios hacia nosotros, es decir, la carne de Cristo.

El Maestro Aquino no escribió una obra titulada "Itinerarium in Deum" como San Buenaventura, pero la expresión "motus in Deum" está presente en sus escritos. El capítulo 107 de la primera parte de su "Compendio de Teología" trata precisamente del movimiento hacia Dios para alcanzar la bienaventuranza, del cual Santo Tomás dice que puede compararse con un movimiento o un cambio natural. Esto significa que hay una proporción o inclinación entre lo que se mueve y hacia lo que se mueve, lo que significa que la persona humana, creada a imagen de Dios, tiene una disposición connatural (similar a la fuerza de la gravedad) hacia Él. También significa que solo en Dios el movimiento del ser humano encuentra su punto de llegada y su descanso, su reposo. Tomás no utiliza el lenguaje de Agustín, aunque en sus textos litúrgicos también encontramos poesía. Sin embargo, esto no difiere mucho de lo que escribió Agustín: "Nos has creado para ti, y nuestro corazón está inquieto hasta que descanse en ti".

Para enfocar más específicamente el tema que se me ha propuesto, destacaría que en Santo Tomás de Aquino, la relación entre el estudio de la teología y la santidad está estrechamente vinculada. No se trata simplemente de una actividad intelectual, sino de un camino para acercarse a Dios y alcanzar la santidad. Un primer elemento importante para calificar esta relación es que, para Santo Tomás, la vía principal hacia la santidad es el conocimiento de Dios, del cual el estudio de la teología proporciona las bases. Además, el estudio de la teología ayuda a cultivar el ejercicio de estas virtudes teológicas, que son fundamentales para responder al llamado a la santidad. Cuando se realiza siguiendo el modus studendi, el estudio de la teología conduce a una fe más profunda, a una esperanza firme en Dios y al amor hacia Dios y hacia el prójimo. Por lo tanto, la teología ayuda a llevar una vida virtuosa, a comprender lo que es moralmente correcto y a seguir la voluntad de Dios en la vida cotidiana.

Este camino hacia Dios, Santo Tomás no solo lo teorizó, sino que también lo recorrió con su teología, ya que, según él, el estudio de la teología y la santidad están estrechamente conectados. En general, se afirma que el esquema de la Summa Theologiae es el del "exitus a Deo" y del "reditus in Deum". El padre Chenu lo ha sostenido. De todos modos, en su "Comentario a las Sentencias", Santo Tomás aplicó el esquema del "reditus in Deum" precisamente en relación con la devoción a los santos. Escribe: "El hecho de que los santos, al estar en la patria, estén más cerca de Dios, exige que nosotros, aún en el cuerpo y siendo peregrinos lejos del Señor, seamos llevados de vuelta a Él a través de los santos, y esto sucede cuando, a través de ellos, la bondad divina difunde su eficacia hacia nosotros. Y dado que nuestro regreso a Dios debe corresponder al progreso de Su bondad hacia nosotros, de la misma manera en que los beneficios de Dios nos llegan a través de la intercesión de los santos, así a través de su intercesión somos llevados de vuelta a Dios para recibir nuevamente Sus beneficios. Y es por esto que los invocamos como nuestros intercesores ante Dios y también como nuestros mediadores cuando les pedimos que oren por nosotros".

 

La santidad: caminar con Cristo hacia el Padre

Considerando el modelo de los santos, podemos decir que la concepción tomista de la santidad consiste en acercarse a Dios. El modelo, por lo tanto, es Jesús, quien, en el relato de la Última Cena según Juan, mientras se disponía a lavar los pies de los discípulos, "sabiendo que el Padre le había puesto todas las cosas en las manos y que había salido de Dios y a Dios volvía, se levantó de la mesa..." (Juan 13:3-4). Analizando palabra por palabra el texto evangélico, Santo Tomás llega a la expresión: "volvía a Dios" y explica que "la santidad del hombre consiste en acercarse a Dios. Y esto es precisamente lo que el evangelista quiso indicar, porque yendo precisamente a Dios, Cristo asumió como su tarea la de llevar de vuelta a Dios a todos los demás". Por lo tanto, la santidad es moverse hacia Dios. Mejor dicho, es dejarse guiar por Cristo, quien, en el camino hacia el Padre, es también nuestro compañero de viaje. Esta descripción es esencial pero muy sugerente. Comentándola, el padre Daniel Ols destaca que para Santo Tomás, la santidad no consiste en penitencias ni en mortificaciones de la carne, ni siquiera en buenas obras o en el ejercicio de la virtud, sino fundamentalmente en la relación con Cristo. Veamos esto con un vistazo rápido.

Le penitencias y las mortificaciones de la carne, en primer lugar. Santo Tomás enseña que tienen valor no en sí mismas, sino solo si están relacionadas con el ejercicio de una virtud. En el número 59 de la exhortación apostólica Gaudete et exsultate, el Papa Francisco hace referencia a la enseñanza de Santo Tomás de Aquino, quien "nos recordaba que los preceptos añadidos al Evangelio por la Iglesia deben exigirse con moderación 'para no hacer pesada la vida de los fieles', porque de lo contrario nuestra religión se convertiría en una esclavitud". En cuanto a la realización de buenas obras y al ejercicio de las virtudes, el principio de Santo Tomás es que incluso las acciones más grandes carecen de sentido y no tienen valor si no son una manifestación y expresión de la caridad. De hecho, la caridad es el criterio de medida de la perfección de la vida cristiana. Por lo tanto, si falta la caridad, sería ilusorio hablar de perfección, ya que la fe y la esperanza son verdaderas virtudes solo cuando están unidas a la caridad, y sin ella, su práctica no serviría de nada.

Non es posible entrar en detalles aquí, pero es útil recordar que en la doctrina tomista hay dos perspectivas desde las cuales se puede considerar la caridad: según su objeto y según su intensidad, o también según los objetos y efectos ("scilicet ut perfecte faciat"), o según la intensidad afectiva ("scilicet ut perfecte diligat").

Tomás de Aquino enfatiza que la perfección de la vida cristiana se mide esencialmente por la intensidad del amor caritativo. Esto implica realizar obras que manifiesten este amor, pero la intensidad y la grandeza del amor no están necesariamente ligadas a las obras que se realizan. Por lo tanto, es posible tener una caridad perfecta sin necesidad de realizar obras extraordinarias. Es por esta razón que en la exhortación apostólica Gaudete et exsultate, el Papa Francisco puede escribir que los santos nos animan "a no detenernos en el camino, nos estimulan a seguir avanzando hacia la meta. Entre ellos puede haber también nuestra propia madre, una abuela o personas cercanas. Tal vez su vida no fue siempre perfecta, pero incluso en medio de imperfecciones y caídas, siguieron adelante y fueron agradables al Señor" (n. 3).

Dicho esto, es importante agregar que a la caridad se le debe añadir otro punto de referencia crucial, y es la verdad. Incluso el martirio, para ser verdaderamente martirio, debe estar relacionado con la verdad. Tomás de Aquino cita al Apóstol en este sentido, donde escribe: "ni la muerte ni la vida... podrán separarnos del amor de Dios que es en Cristo Jesús, Señor nuestro" (Romanos 8,39). Es evidente que la certeza del Apóstol se basa en la verdad de la humanidad de Cristo, y en este contexto se explica lo que Tomás de Aquino escribe: "Así, por lo tanto, la santidad se dice en virtud de la cual la mente del hombre se aplica a sí misma y a sus actos a Dios". Veamos esto en más detalle.

Mens hominis: para Tomás de Aquino, la mens (mente) es el centro del ser humano, lo que lo distingue de todos los seres creados y lo hace único. Consiste en la interconexión entre la memoria, la inteligencia y la voluntad. Como resultado, la santidad no se trata solo de afectos y sentimientos, aunque ciertamente influye en la esfera afectiva y emocional. ¡Una santidad que no ama no es santidad! En la santidad, sin embargo, se combinan armónicamente la memoria de la salvación, la inteligencia de la verdad y la voluntad orientada hacia el bien, lo verdadero y lo justo, como cantamos en alabanza a Dios: "Verdaderamente es digno, justo y saludable".

Applicat: en otros textos relacionados con el nuestro, Tomás de Aquino utiliza la expresión "refert in Deum", que significa llevar de vuelta a Dios o referir a Dios. En resumen, se trata de tomar a Dios como el fin: Dios debe ser el fin de nuestra mente y de sus acciones. Para la mente, tener a Dios como fin significa esforzarse por conocer y amar a Dios. El santo busca conocer a Dios y, al hacerlo, descubre cada vez más cuánto merece ser amado, por lo que lo ama cada vez más. Se crea, entonces, un círculo virtuoso: cuanto más conocemos a Dios, más comprendemos cuánto merece ser amado y más lo amamos. Además, cuanto más lo amamos, más deseamos conocerlo mejor, y así sucesivamente. Luego están las otras acciones del hombre, que tienen un fin inmediato que no es ni puede ser Dios; sin embargo, también pueden ser ordenadas a Dios como su fin último. Como resultado, el auténtico santo es aquel cuya vida solo encuentra sentido en referencia a Dios, porque es el fin lo que le da sentido. Esto se cumple perfectamente en Jesucristo.

Una última aclaración necesaria es que todo, el conocimiento y el amor a Dios que se han descrito muy brevemente hasta ahora, solo pueden estar en el hombre como fruto de la gracia. Este es un tema clásico en la doctrina cristiana. En la exhortación "Gaudete et exsultate", en las páginas dedicadas al pelagianismo contemporáneo, el Papa Francisco enfatiza este aspecto varias veces. Según Santo Tomás, la santidad debe estar en el corazón, la verdad en los labios y la justicia en las obras: "sanctitas sit in corde, veritas in ore, iustitia in opere", y esta es realmente una hermosa síntesis de lo que significa ser santo.

 

Cómo Tomás de Aquino fue santo

En lo que Tomás escribe sobre la santidad, y en particular sobre San Pablo, no es difícil reconocer su propio camino de santidad. La santidad implica caminar hacia Dios, como se dijo desde el principio, y este camino fue recorrido por Santo Tomás a través del estudio y la enseñanza, siempre caracterizado por la humildad, la sencillez y la alegría.

Son características que Guglielmo di Tocco menciona de manera concisa y que podríamos considerar como el postulador de la causa de canonización: "en cuanto a la reputación de sí mismo era muy humilde, puro en cuerpo y mente, devoto en la oración y prudente en el consejo, tranquilo en el habla, generoso en la caridad...". Poco después, destaca la delicadeza de su carácter humano, que reflejaba su modelo, que era Cristo. Todos los biógrafos reconocen en él una personalidad serena, e incluso alegre, capaz de bromear incluso con sus alumnos. Guglielmo di Tocco escribe que incluso se fue de este mundo con alegría

Otra característica de la santidad de Tomás de Aquino fue su amor por la Eucaristía, que se concretó para él en la celebración de la Santa Misa. Guglielmo di Tocco observó que, si bien se le había concedido escribir profundamente sobre la Eucaristía, también se le había dado celebrarla con aún más devoción. A menos que la enfermedad se lo impidiera, celebraba la Misa todos los días, y también se aseguraba de que otro sacerdote celebrara una Misa adicional. A menudo, durante la Misa, experimentaba éxtasis "con un sentimiento de devoción tan profundo que estaba empapado de lágrimas, absorto en los misterios de un Sacramento tan sagrado y fortalecido por los dones espirituales".

Otra característica de la santidad de Tomás de Aquino fue su oración ante el Crucifijo. Anteriormente mencioné su experiencia mística en Nápoles, donde dialogó con el Crucifijo. En este contexto, Guillermo de Tocco señala (al igual que otros biógrafos) que cuando tuvo esa experiencia, Tomás estaba escribiendo la tercera parte de la Summa, específicamente tratando sobre el misterio pascual de Cristo. Todos agregan que desde entonces Tomás dejó de escribir casi por completo, como si hubiera cumplido su misión. Esto significa que también concebía su trabajo teológico como un ascenso hacia Dios.

De aquí surgió su constante y progresiva conexión entre el estudio y la contemplación, que se manifestaba especialmente en esa "abstractio mentis" que lo hizo legendario entre sus hermanos. Tomás fue un hombre en búsqueda, listo para abandonarlo todo en el momento en que vislumbrara lo que siempre había buscado. En esta luz, también se deben entender las confidencias que hizo en la última fase de su vida, incluyendo su "venit finis scripturae meae, quia talia sunt mihi revelata, quod ea quae scripsi et docui, modica mihi videntur" confiado a su fiel Reginaldo. Así lo expresó Guillermo de Tocco, mientras que Bartolomé da Capua, en su testimonio durante el proceso napolitano, usó la palabra "paja": "Omnia que scripsi videntur michi palee respectu eorum quae vidi et revelata sunt michi". Es probable que esta última sea la cita más precisa, ya que, como señala J.-P. Torrell, en la tradición cristiana, la palabra se usa para distinguirlo del trigo. Ahora que ha experimentado la realidad, Tomás ya no siente la necesidad de las palabras que ha escrito: no las niega, pero él está más allá de ellas.

En la hora de su muerte en la abadía de Fossanova, mientras recibía devotamente el viático, Tomás dijo: "Sumo te pretium redemptionis animae meae, sumo te viaticum peregrinationis meae, pro cuius amore studui, vigilavi, et laboravi, te praedicavi et docui...". Guillermo de Tocco también relata que un anciano fraile dominico muy respetado, el hermano Paolo de L'Aquila, estando en el convento de Nápoles, vio en un sueño a Tomás comentando las cartas de San Pablo a sus estudiantes. Mientras tanto, vio entrar en el aula al propio San Pablo, y Tomás se levantó de inmediato para bajar de la cátedra. El Apóstol, sin embargo, le hizo señas para que continuara, y Tomás le preguntó si estaba explicando bien sus cartas. Pablo respondió: "Sí, por lo que es posible para un hombre durante la vida terrenal, las estás comentando bien. Ahora, sin embargo, quiero que vengas conmigo, porque te llevaré a un lugar donde todo te será mucho más claro". Diciendo esto, el Apóstol tomó a Tomás por la capa y lo sacó del aula. En este punto, el hermano Paolo se despertó y comenzó a gritar: "¡Corran, hermanos, corran, porque se están llevando a fray Tomás!". Los otros frailes le preguntaron por qué gritaba así, y él les contó el sueño. Luego llegó la noticia de la muerte de Tomás desde Fossanova, y comprendieron el significado del sueño.

Todos los biógrafos coinciden en afirmar que Santo Tomás tenía una gran devoción por el Apóstol Pablo. Para concluir, añado las palabras con las que comentó a Dionisio Areopagita sobre el versículo "No vivo yo, sino que Cristo vive en mí": "Saliendo de sí mismo, se derramó totalmente en Dios, buscando no lo que era suyo, sino lo que era de Dios, y lo hizo como un verdadero amante que experimentaba la pasión del éxtasis: viviendo para Dios y no su propia vida, sino la de Cristo, a quien amaba y cuya vida era para él más amable que cualquier otra cosa". .Por tanto,, Tomás de Aquino fue un teólogo y un santo de esta manera.

 

__________

[1] Cf. De veritate, q. 12 a. 6 arg. 4: quidquid recipitur in aliquo, est in eo per modum recipientis, et non per modum suum.

[2] Cf. Fondazioni, V, 8: «Cuando la obediencia os trajere empleadas en cosas exteriores; entended que, si es en la cocina, entre los pucheros anda el Señor ayudándoos en lo interior y exterior».

[3] Summa contra Gentiles, l. 1, c. 2: citazione di Sant’Ilario, De Trinitate, l. 1, c. 37: PL 84, 48 (conscius sum, ut te omnis sermo meus et sensus loquatur).

[4] L’episodio è narrato da Guglielmo di Tocco, al cap. 34 della sua Vita di San Tommaso d’Aquino: «Doctor conversus erat ad orandum cum lacrymis, hujuscemodi vocem prodire de imagine Crucifixi: Thoma bene scripsisti de me, quam recipies a me pro tuo labore mercedem? Qui respondit : Domine, non nisi te. Et tunc scribebat tertiam partem Summae de Christi passione et resurrectione»; ugualmente Pietro Calò: «Domine, nonnisi te» e Bernardo Gui, dove la risposta è: «Domine non aliam mercedem recipiam, nisi teipsum»: D. Prümmer, Fontes vitae S. Thomae Aquinatis. Notis historicis et criticis illustrati, Tolosae [1912], 38. 108. 189; cf. pure J.-P. Torrel, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, Piemme, Casale Monferrato 1994, 320.

[5] «Ea quae pertinent ad Christi humanitatem, per modum cuiusdam manuductionis, maxime devotionem excitant, cum tamen devotio principaliter circa ea quae sunt divinitatis consistat»: Th IIª-IIae q. 82 a. 3 ad 2.

[6] Tommaso usa, tuttavia, l’espressione motus in Deum.

[7] Confessiones, I, 1: PL 31, 661.

[8] Cf. M. D. Chenu, Introduction à l'étude de Saint Thomas d’Aquin, Institut d’études médiévales - Librairie Philosophique J Vrin, Montréal - Paris 1950, pp. 260-261.

[9] «Unde cum sancti qui sunt in patria, sint Deo propinquissimi, hoc divinae legis ordo requirit, ut nos qui manentes in corpore peregrinamur a domino, in eum per sanctos medios reducamur; quod quidem contingit, dum per eos divina bonitas suum effectum diffundit. Et quia reditus noster in Deum respondere debet processui bonitatum ipsius ad nos; sicut mediantibus sanctorum suffragiis Dei beneficia in nos deveniunt, ita oportet nos in Deum reduci, ut iterato beneficia ejus sumamus mediantibus sanctis; et inde est quod eos intercessores pro nobis ad Deum constituimus, et quasi mediatores, dum ab eis petimus quod pro nobis orent»: Super Sent., lib. 4 d. 45 q. 3 a. 2 co.

[10] Super ev. Ioannis, c. 13, lect.1, n. 4.

[11] Faccio qui riferimento a un breve, ma denso articolo dal titolo In che cosa consiste la santità? Il contributo di Tommaso d’Aquino, che si trova su https://www.dominicanes.it/predicazione/meditazioni/1266-in-che-cosa-consiste-la-santita-un-contributo-di-tommaso-d-aquino.html. Il p. Ols scrive pure che «se san Tommaso non si sottometteva a penitenze straordinarie, possiamo presumere che ciò era dovuto all’acuta coscienza che aveva di doversi consacrare totalmente alla sua missione di teologo: insegnare le verità divine, scrivere di Dio, era questa la missione affidatagli da Dio e in vista di Dio e sappiamo con quanto impegno e quanta dedizione egli l’ha riempita».

[12] «Maceratio proprii corporis, puta per vigilias et ieiunia, non est Deo accepta nisi inquantum est opus virtutis» (STh II-II, q. 88 a. 2 ad 3).

[13] «In spirituali vita simpliciter quidem homo perfectus dicitur ratione eius in quo principaliter spiritualis vita consistit… Consistit autem principaliter spiritualis vita in caritate: quam qui non habet, nihil esse spiritualiter reputatur» (De perfectione spiritualis vitae, cap. 1 co). A riguardo non c’è dubbio alcuno: «Secundum caritatem specialiter attenditur perfectio vitae christianae»: STh II/II, q. 184 a. 1 co.), la perfezione della vita cristiana consiste nella carità.

[14] Cf. ad esempio: « fides et spes sine caritate possunt quidem aliqualiter esse, perfectae autem virtutis rationem sine caritate non habent» (STh I-II, q. 65 a. 4 co); «virtutes morales sine caritate esse non possunt» (STh I-II, q. 65 a. 2 co.)

[15] Cf. in proposito A. Pigna, Consigli, precetti e santità secondo san Tommaso, in «Ephemerides Carmeliticae» 25 (1974/1-2), 318-376.

[16] Cf. Super Sent., lib. 3 d. 29 q. 1 a. 8 qc. 2 co.

[17] Nella sua esposizione San Tommaso contiene alcuni avverbi che permettono che osservare dentro gli atti buoni che si compiono per dedurne che sono davvero atti virtuosi: prompte et delectabiliter, firmiter et delectabiliter, faciliter et delectabiliter, sponte et delectabiliter, ad esempio. Sono quelle forme di esercizio di una virtù, che la tradizione cattolica chiama «esercizio eroico».

[18] Il p. D. Ols spiega: «Così veniamo a capire che, agli occhi di Dio, ciò che fa il valore delle nostre opere non è la loro difficoltà oggettiva, ma è la carità, ossia l’amore per Dio, con cui esse sono compiute, sicché santa Teresa di Lisieux facendo il bucato per gli anziani della casa di ricovero faceva presumibilmente un’opera più grande e più meritoria che non un monaco irlandese impegnato a recitare tre salteri interi in una tinozza di acqua gelata».

[19] STh II-II, q. 124 a. 1 co.: «pertinet ad rationem martyrii ut aliquis firmiter stet in veritate».

[20] Nella ScG lib. 3 cap. 130 n. 3, Tommaso scrive che summa perfectio humanae vitae in hoc consistit quod mens hominis Deo vacet, che vuol dire totale recettività, fare spazio totale nel centro del proprio essere perché Dio vi abiti. Il motto, che ha avuto un’ampia fortuna nella tradizione monastica e ascetica, risale a Origene, Omelie sull'Esodo 12,2, secondo la versione latina di Rufino: «omissis omnibus Deo vacemus». Il vacare Deo è caratteristico della vita contemplativa e San Tommaso lo spiega con una simpatica immagine: non si deve centellinare (taxare=misurare) il tempo in ciò che ci unisce a Dio (non fuit taxandum tempus illis quibus injungitur: Super Sent., lib. 3 d. 37 q. 1 a. 5 qc. 3 ad 2.

[21] STh I-II, q. 29 a. 4 co.: homo maxime est mens hominis.

[22] «Mens non est una quaedam potentia praeter memoriam, intelligentiam et voluntatem, sed est quoddam totum potentiale, comprehendens haec tria» (De veritate, q. 10 a. 1 ad 7).

[23] Cf. i nn. 47-56. I nn. 57-59 sono dedicati ai «nuovi pelagiani»! Per un approfondimento cf. M. Borghesi ne Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco, Jaca Book, 2022, 241-247 («Pelagianesimo e gnosticismo in Gaudete et exsultate»). Sulla questione, già Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera «Placuit Deo» ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana, 22 febbraio 2018. Cf. pure A. Villafiorita, «Un nuovo ordine di relazioni in Cristo: note in margine alla Placuit Deo», in Rassegna di Teologia 59 (2018), 181-196. Mi permetto rinviare pure a M. Semeraro, «Le “eresie” pastorali secondo Evangelii gaudium», ne il Regno-Documenti 7/2017, 246-256.

[24] Super Eph., cap. 4 l. 7.

[25] Prümmer, Fontes cit. cap. 23.

[26] Cf. Ibidem cap. 24.

[27] Ibidem cap. 29. Testimoniando al processo napoletano per la canonizzazione, Bartolomeo di Capua riferisce la testimonianza de visu di un frate domenicano, alunno di Tommaso, che ogni giorno prima di andare a scuola partecipava alla Messa celebrata da lui: «ogni giorno, molto presto al mattino, fra’ Tommaso celebrava la Messa nella cappella di San Nicola e subito, terminata la sua Messa, assisteva a quella celebrata da un altro frate. Quindi, spogliatosi degli abiti liturgici andava a scuola e iniziava l’insegnamento…», P. M.-H. Laurent O.P. (cur.), Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis. Fasc. IV. Processus Canonizationis S. Thomae. Neapoli, Revue Thomiste, in Prümmer, Fontes vitae S. Thomae Aquinatis. 373.

[28] La spiritualità di Tommaso è fondamentalmente cristologica. Se volessimo disegnare Tommaso d’Aquino in quanto «santo», dovremmo ritrarlo in preghiera davanti al Crocifisso, o (il che si equivale) davanti all’altare. In questo egli seguiva le orme del suo padre san Domenico, come indicato dal Modi orandi sancti Dominici descritti dal Codex Rossianus n. 3: cf. J.-P. Ravotti, Le nove maniere di pregare. San Domenico maestro di preghiera, ESD, Bologna 2004. All’epoca di Tommaso, peraltro, il Crocifisso è ormai ritenuto l’unico libro, la Bibbia vivente.

[29] Così G. di Tocco, ma pure P. Calò e B. Gui (Prümmer, Fontes cit. 43. 120. 193).

[30] Laurent, Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis cit., 377.

[31] Prümmer, Fontes cit. cap. 60.

[32] In De divinis nominibus, cap. 4, l. 10.