Il Venerabile Raffaello delle Nocche, un pastore a servizio della Chiesa del Sud

 

La spiritualità eucaristica, sorgente del ministero episcopale del Ven. Servo di Dio Raffaello delle Nocche

Intervento al Convegno «Il Venerabile Raffaello delle Nocche, un pastore a servizio della Chiesa del Sud»

 

I

«Come il mistero pasquale sta al centro della vita e della missione del Buon Pastore, così anche l’Eucaristia è al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote. Con la celebrazione quotidiana della Santa Messa, egli offre se stesso insieme con Cristo. Quando, poi, questa celebrazione avviene nella Cattedrale, o nelle altre chiese, specialmente parrocchiali, con il concorso e la partecipazione attiva dei fedeli, il Vescovo appare sotto gli occhi di tutti qual è, ossia come il Sacerdos et Pontifex, poiché agisce nella persona di Cristo e nella potenza del suo Spirito, e come lo hiereus, il sacerdote santo, occupato nell’operare i sacri misteri dell'altare, che annuncia e spiega con la predicazione. L’amore del Vescovo verso la Santa Eucaristia si esprime pure quando, nel corso della giornata, dedica parte anche abbastanza prolungata del proprio tempo all'adorazione davanti al Tabernacolo. Qui il Vescovo apre al Signore il suo animo, perché sia tutto pervaso e informato dalla carità effusa sulla Croce dal Pastore grande delle pecore, che per loro ha sparso il suo sangue e ha dato la propria vita. A Lui pure innalza la sua preghiera, continuando a intercedere per le pecore che gli sono state affidate» (Pastores gregis, n. 16).

Il brano che ho appena letto è tratto dall’esortazione apostolica Pastores gregis di San Giovanni Paolo II. Del rapporto del Vescovo con l’Eucaristia il testo mette in evidenza due aspetti. Il primo potremmo chiamarlo di ordine teologico-liturgico ed è desunto dal n. 41 della costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, dove si legge che «c'è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri».

Il secondo aspetto riguarda la spiritualità personale e propria del vescovo in rapporto alla Santa Eucaristia e tocca la celebrazione quotidiana della Santa Messa e l’adorazione privata del Sacramento. Dirò subito del primo aspetto; del secondo, lo farò più avanti.

 

II

In questa ottica, tradizionale e sempre attuale, guardiamo alla spiritualità eucaristica del Venerabile Servo di Dio Raffaello Delle Nocche, del quale oggi ricordiamo ol centenario di ordinazione episcopale, che avvenne a Napoli il 25 luglio del 1922. È questa una data che costituisce un po’ la prima ragione per la quale mi sento personalmente legato a lui. Nello stesso giorno, infatti, ma del 1998, fu resa pubblica la mia nomina a vescovo di Oria, in Puglia. Vi giungevo dopo una lunga esperienza di alunno, prima e poi di educatore e di docente nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese ed è questa la seconda ragione del mio affetto.

Mons. Raffaello delle Nocche, infatti, ne fu il primo Rettore dopo i passaggi della direzione dalla Compagnia di Gesù e della sede nella città e diocesi di Molfetta. Era il 1915 e vi rimase fino all’agosto 1920: furono anni molto difficili … non soltanto per la guerra mondiale di quel periodo… Quel Seminario - il primo tra i «Regionali» d’Italia – era sorto in Lecce nel 1908 e sistemato presso i Gesuiti del locale «Collegio “Argento”». Di quegli anni si legge nella biografia scritta da P. Perrone (ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 60-92) dove si tratta pure della sua presenza e azione in Lecce quale segretario del vescovo locale Gennaro Trama.

C’Questa è la terza ragione della mia attenzione per la figura di Mons. R. delle Nocche: io sono, infatti, originario di quella Chiesa e proprio lì da giovane seminarista avevo spesso sentito parlare del vescovo Trama e del suo segretario. Molti sacerdoti di quella Chiesa, che ebbero legami con Mons. Delle Nocche e hanno poi testimoniato al suo processo per la beatificazione e la canonizzazione, io li ho personalmente conosciuti da giovane chierico.

 

III

Oggi, però, devo soffermarmi sulla spiritualità eucaristica del vescovo Raffaello Delle Nocche. Per farlo ci sarà necessario avere un punto di confronto. Possiamo trovarlo in una espressione di san Tommaso d’Aquino, citata dal Vaticano II: l’Eucaristia è «la pienezza della vita spirituale», consummatio spiritualis vitae (STh III, q. 73, a. 3 co; cf. PO 5: «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua»).

C’è poi l’aspetto della spiritualità ed è quello su cui mi soffermerò un po’ di più, proprio per attenermi al tema assegnato a questa mia riflessione. È utile ricordare che per l’assimilazione del mistero eucaristico, quanto ai sacerdoti la pietà tradizionale ha sempre riservato un posto tutto speciale non soltanto alla celebrazione della Messa, ma pure al «ringraziamento dopo la comunione». Tutte le edizioni del Messa Romano riportano, in conclusione, testi di preghiera di Preparazione alla Messa e di Ringraziamento dopo la Messa. Ugualmente se guardiamo gli scritti spirituali riservati ai vescovi, i quali non si accontentano di queste preghiere.

San Giovanni di Avila, proclamato Dottore della Chiesa da Benedetto XVI, scrivendo a un sacerdote, gli diceva: «La prima regola della sua vita sia questa: anche di notte dormendo risenta sempre quella voce che lo invita: “Ecco, arriva lo sposo, andategli incontro” (cf. Mt 2,6) …Terminata la Messa si raccolga per una mezz’ora, oppure un’ora e ringrazi il Signore per una sì grande misericordia, di avere accettato di abitare in una dimora tanto indegna…» (Epist. 8: ed. BAC 2003, 49).

Più direttamente alla persona del vescovo, nel suo Speculum Pastorum (1551/2) divenuto un classico in materia, fr. Bartolomeo Carranza, arcivescovo di Toledo, scriveva: «Il primo compito del Vescovo è pregare per il popolo» (III, 48). Similmente, San Bartolomeo de Martyribus, che fu primate del Portogallo (Braga) e amico di San Carlo Borromeo, nel suo Stimulus Pastorum (1565) scriveva con espressione forte: «Guai a te, vescovo, se si dissecca in te la sorgente della devozione», scrive subito trattando della vita di preghiera  e poco più avanti aggiunge: «Cosa c’è di più alto e di più utile per le pecore di un pastore che ogni giorno offre per loro a Dio la vita e la passione di Cristo?» (II, 4).

In questa scia spirituale s’inserisce il nostro Sant’Alfonso M. de Liguori. In uno dei primi scritti: Riflessioni utili a' Vescovi per la prattica di ben governare le loro Chiese tratte dagli esempi de' vescovi zelanti ed approvate coll'esperienza (Napoli 1745) scriveva: «Per qualsivoglia cagione non deve il prelato tralasciar l’orazione. E per buono esempio anche degli altri sarebbe bene che ciascun vescovo facesse l'orazione una volta il giorno anche in pubblico, come praticava l’istesso s. Carlo insieme colla famiglia nella sua cappella; e il cardinal d'Arezzo ogni giorno a questo fine scendeva anche in chiesa a fare l’orazione avanti il ss. sacramento» (II, 1).

Il principio che guida queste considerazioni è che l’assimilazione personale del Mistero esige l’incontro personale con Cristo non soltanto per adorarlo presente in noi e ringraziarlo per il suo dono, ma anche per far sì tutte le ricchezze del mistero eucaristico siano assorbite dallo spirito e perché la sua presenza spirituale in noi ci apra alla comunione con tutti i fratelli nell’unità di un medesimo corpo.

Certo, se confrontiamo anche le poche testimonianze addotte con la prassi liturgica attuale, dobbiamo ammettere che, almeno teoricamente, quei momenti di silenzio e di assimilazione al Mistero sono stati inseriti nella stessa celebrazione. L’ODGMR avverte che il sacro silenzio fa parte della celebrazione (cf. n. 45); più avanti si legge che «terminata la distribuzione della comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l’opportunità, pregano per un po’ di tempo in silenzio» (n. 88). Per un sacerdote, però, questo è sufficiente? Di fatto, poi, spesso non si lascia neppure il tempo psicologicamente necessario per questa «comunione spirituale» con Cristo! Si rende, allora, necessario, prolungarlo personalmente affinché più agevolmente l’energia eucaristica  passi nella vita concreta.

L’abbandono di questo spazio di assimilazione personale è davvero un segno di negligenza verso il dono di Dio e influisce negativamente sull’inserimento dell’Eucaristia nella vita. L’istruzione Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967) spiegava cosi il senso di questa preghiera personale dopo la comunione: «L’unione con Cristo, cui è ordinato questo sacramento, non dev’essere suscitata solo durante il tempo della celebrazione eucaristica, ma dev’essere prolungata durante tutta la vita cristiana sì che i fedeli, contemplando ininterrottamente nella fede il dono ricevuto, trascorrano la vita di ogni giorno nel rendimento di grazie, sotto la guida dello Spirito Santo e producano più abbondanti frutti di carità» (n. 38).

È questo il senso che nella teologia oggi ha la cosiddetta «comunione spirituale». Non si tratta in primo luogo di un desiderio di ricevere sacramentalmente il Signore (come si esprimevano le formule tradizionali: si veda per questo la classica e nota formula di sant’Alfonso M. de Liguori); si tratta, piuttosto di riattivare nella fede e nell’amore la presenza spirituale di Cristo in noi mediante il dono del suo Spirito e così tenere sempre destala comunione di vita trinitaria iniziata nel Battesimo. Lo Spirito, con la nostra disponibile collaborazione, realizza progressivamente quella assimilazione a Cristo di cui la celebrazione eucaristica è stata l’inizio e il segno sacramentale.

 

IV

Alla luce di questi principi di vita spirituale, possiamo ora ripercorrere la spiritualità eucaristica del Venerabile Servo di Dio Raffaele Delle Nocche. Per fare questo mi rifarò sostanzialmente alla Positio super virtutibus et fama sanctitatis depositata nella Congregazione nel 1996, nonché alla Relatio et vota del Congresso teologico svoltosi il 22 gennaio 2011.

In tutta questa abbondante documentazione il punto principale di riferimento, oltre alle singole testimonianze, è la Relazione al processo ordinario di Tricarico della Commissione storica, che a Mons. Delle Nocche quale «uomo dell’Eucaristia» dedica ben cinque pagine (cf. Positio II, 907-911) conclude con una affermazione di capitale importanza: «Mons. Raffaello Delle Nocche non fu tanto un “uomo dell’Eucaristia” ma “uomo-Eucaristia”, uomo donato alla Chiesa e al mondo» (Positio II, p. 911).

Questa affermazione mi ha fatto tornare alla memoria un’immagine – potrebbe anche dirsi un gioco di parole – cui fece ricorso san Bonaventura per indicare la qualità, meglio l’identità, del buon pastore. Diceva che il pastor deve essere anche pastus; intendeva dire che il «pastore» è buono – ossia autentico – quando diventa egli stesso «pasto», ossia nutrimento spirituale per le sue pecore. Questa – scriveva sempre san Bonaventura – è una figura che «deve imprimersi nei cuori dei pastori della Chiesa come la forma del sigillo che si imprime nella cera, perché a loro volta possano inciderlo, con la parola e con l’esempio, nel cuore dei fedeli» (Serm. Dominic. 23, 3: ed. Città Nuova, Roma 1992, 287).

Tale fu – come appare dalle testimonianze – il nostro Venerabile. Egli fu uomo dell’esperienza vitale del Cristo Eucaristico e questa fu un’esperienza maturata e realizzata nelle lunghe contemplazioni fino a diventare concreta familiarità. Una sua biografa scrive che i colloqui di Mons. Delle Nocche con l’Eucaristia occupavano buona parte della sua giornata; si dice che egli trascorresse non meno di cinque ore al giorno al suo inginocchiatoio al punto che a quanti domandavano di lui i canonici della Cattedrale rispondevano sapidamente: «Monsignore è alla mangiatoia» (cf. M. R. Puzio, Animo eucaristico e mariano, in D. Sorrentino [ed.], Alla scuola dell’Eucaristia. Spiritualità di Raffaello Delle Nocche, Città Nuova, Roma 1988, p. 77).

È una frase ricca di contenuto, che mi rimanda a una espressione abituale del Servo di Dio Cardinale Josef Beran, riferitami molti anni or sono da un sacerdote cecoslovacco mio alunno nella Facoltà di Teologia del Laterano. A chi gli domandava perché indugiasse tanto tempo nell’adorazione eucaristica, rispondeva: «Sono come un cane ai piedi del pastore».

I testimoni nel processo per la beatificazione e la canonizzazione dicono che la sua giornata incominciava ogni mattina alle ore cinque dinanzi al tabernacolo, anche da vecchio, e lì rimaneva per ben due ore, fino alla celebrazione della sua messa di ringraziamento. Al Tabernacolo poi tornava spesso, come cervo assetato alla fonte, durante la giornata: normalmente a mezzogiorno per quasi un’altra ora con la recita dell’Ufficio e poi dopo i pasti, e ancora nel primo pomeriggio e infine a sera prima di cena. Era lì , al Tabernacolo, che il nostro Venerabile Servo di Dio portava non solo se stesso, ma tutto quanto gli apparteneva, le sue gioie e le sue sofferenze, le sue ansie e le sue speranze; era lì che maturava i suoi programmi e le sue grandi decisioni di impegno e di lavoro; era lì che ricaricava il suo spirito dello Spirito di Gesù.

Quei colloqui eucaristici, pur così intimi e intensi, nei quali faceva profonda esperienza del Cristo, non erano isolati dal contesto della sua giornata, quasi momenti a sé stanti ed avulsi dalla vita e dall'azione. Proprio quei colloqui, anzi. lo rendevano pronto e disponibile come non mai, alla sua Chiesa, alla quale si era donato. La stessa collocazione materiale dell'inginocchiatoio di preghiera – fra la cappella e la sala dove accoglieva quanti ricorrevano a lui – era plasticamente indicativa del suo facile e immediato passaggio dalla contemplazione eucaristica all’impegno pastorale.

Il vertice della sua azione eucaristica fu la celebrazione di ben due Congressi Eucaristici Diocesani nel 1938 e nel 1947. Si tratta di due eventi esterni che testimoniano l’amore per l’Eucaristia del nostro Venerabile Servo di Dio. L’altro fatto pubblico è la fondazione di una congregazione religiosa. Il primo teologo censore  asserisce: «L’Eucaristia è stata per il Servo di Dio un polo irresistibile di attrazione. Era naturale che egli cercasse di trasmettere questa sua passione alle anime a lui più vicine: il nome stesso dato alla sua Congregazione dice tutto» (in Informatio cap. VIII, p. 139).

Della scelta di questo nome abbiamo una testimonianza diretta da una lettera di Mons. Delle Nocche scritta da Roma il 9 maggio 1924: «Stamane poi il S. Padre [Pio XI] mi ha concesso una lunghissima udienza durata più di 45 minuti e come primo affare gli ho chiesto la grazia che scegliesse il nome. Gli ho detto che ne erano proposti due: Apostole dell’Eucaristia e Discepole del Cuore Eucaristico di Gesù. Il Santo Padre non ha accettato né l’uno né l’altro ed ha detto che le Suore si chiameranno: “Le Discepole di Gesù Eucaristico”» (Positio II. Summarium, p. 452),

Suor Maria Raffaella Puzio, che ho prima citato, scrive che Mons. Delle Nocche vedeva nell’Eucaristia la realizzazione pregnante del Magister adest, la presenza viva del Maestro, che determina ogni scelta di vita, di azione e di apostolato. Il significato di questa frase evangelica per la vita spirituale lo troviamo così illustrato nell’Imitazione di Cristo: «Forse che Maria Maddalena non balzò subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando Marta le disse: “C’è qui il maestro, ti chiama?” (Gv 11,28). Momento felice, quello in cui Gesù ci invita dal pianto al gaudio spirituale. Come sei arido e aspro, lontano da Gesù; come sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa d’altro, che non sia Gesù. Non è, questo, per te, un danno più grande che perdere il mondo intero? Che cosa ti può mai dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere senza Gesù è un duro inferno; essere con Gesù è un dolce paradiso. Non ci sarà nemico che possa farti del male, se avrai Gesù presso di te. Chi trova Gesù trova un grande tesoro prezioso; anzi, trova un bene più grande di ogni altro bene. Chi perde Gesù perde più che non si possa dire; perde più che se perdesse tutto quanto il mondo. Colui che vive senza Gesù è privo di tutto; colui che vive saldamente con lui è ricco di tutto» (Libro II, cap. 8).

 

Pontificia Facoltà Teologia dell’Italia Meridionale –  sez. San Tommaso

Napoli, 31 maggio 2022

 

Marcello Card. Semeraro