Incontro con i Postulatori
Carissimi Postulatori e Postulatrici, siamo ben lieti d’incontrarvi – io con il Segretario e il Sotto-Segretario del Dicastero – per questo appuntamento annuale e ringraziamo di vero cuore il carissimo P. Carlo Calloni O.F.M. Cap., Presidente del vostro Collegio, sempre sollecito e attento. Colgo, anzi, questa circostanza per comunicare ufficialmente e fare pubblicamente a lui l’augurio per la nomina a membro della «Commissione dei Nuovi Martiri – Testimoni della Fede», disposta dal Santo Padre in sostituzione del Rev.mo P. Arturo Sosa Abascal S.J. il quale, a motivo del suo incarico di Preposito generale della Compagnia di Gesù, aveva reali difficoltà a espletare quell’incarico. Auguri e buon lavoro, dunque, anche per questo, carissimo p. Carlo.
A voi tutti, carissimi, il nostro saluto per il lavoro che svolgete nelle Cause di beatificazione e di canonizzazione ed è nel quadro di tale apprezzamento che desidero comunicarvi alcune mie riflessioni, condivise con coloro che più da vicino mi collaborano.
Un lavoro «basilare
Nell’incontro che Benedetto XVI ebbe con voi il 17 dicembre 2007, il vostro lavoro egli lo chiamò «basilare» sia nella fase diocesana, sia in quella romana.[1]
Talvolta il nostro Dicastero è chiamato «fabbrica dei santi». A parte la superficialità dell’affermazione, si riconoscerà, invece, che il processo che si conclude con la beatificazione e la canonizzazione trova la sua origine nella vita delle Chiesa locali, dove si è svolta la vicenda terrena dei singoli cristiani, dove hanno espresso la loro testimonianza di fedeltà a Cristo e di amore ai fratelli.
Il vostro lavoro pone le fondamenta per tutto quanto accade successivamente ed è per questo che Benedetto XVI scrive che «deve rivelarsi ineccepibile, ispirato da rettitudine e improntato ad assoluta probità».
Il riconoscimento ufficiale della loro vita santa comincia nelle Chiese particolari con la vostra fondamentale collaborazione e con la vostra assistenza prosegue pure nella fase romana. Anche qui, infatti, siete sempre voi, postulatori e postulatrici, i primi interlocutori delle varie istanze. A voi spetta il compito di preparare la Positio e di accompagnare l’intero percorso sino alla Beatificazione e Canonizzazione.
Proseguendo nel suo discorso Benedetto XVI metteva in luce due aspetti, distinti ma simultanei del dinamismo processuale: uno è lo sguardo verso il passato, cioè al reale vissuto storico di un Servo di Dio; l’altro è lo sguardo che, pure soffermandosi sul presente, cerca anche di scrutare i tempi e immaginare il futuro di una vicenda agiografica. Il Papa parlava perciò del dovere di presentate i candidati alla beatificazione e canonizzazione non soltanto nella loro realtà storica, ma pure nel loro dinamismo spirituale.
La realtà storica
Per il primo aspetto vale il principio che «tutti gli operatori delle cause dei santi, sebbene con ruoli distinti, sono chiamati a porsi esclusivamente al servizio della verità».[2]
Questo aspetto di servizio alla verità è richiamato più volte nei testi normativi e ispiratori del lavoro dei postulatori. Prima di Benedetto XVI già l’Istruzione Sanctorum Mater all’art. 17 §2 aveva ricordato il dovere del postulatore di riferire al Vescovo competente il risultato delle proprie ricerche «avendo cura di non occultare eventuali ritrovamenti contrari alla fama di santità o di martirio e alla fama di segni goduta sal Servo di Dio». Il successivo §3 aggiunge che «il postulatore è tenuto ad agire nell’interesse superiore della Chiesa e, pertanto, a ricercare la verità con coscienza e onestà evidenziando le eventuali difficoltà, onde evitare anche la necessità di successive ricerche che ritardano il prosieguo della causa». Alla questione fece riferimento anche papa Francesco nel suo Discorso del 12 dicembre 2019: «i postulatori siano sempre più consapevoli che la loro funzione richiede un atteggiamento di servizio alla verità».[3] Se ne trova, da ultimo, un riflesso nelle prime affermazioni del Regolamento: «I postulatori nel compiere la loro opera, devono essere sempre più consapevoli che la loro funzione richiede un atteggiamento di servizio alla verità…».
Qual è la prima conseguenza di questo servizio alla verità? Benedetto XVI richiama questa: «nel corso dell’Inchiesta diocesana, le prove testimoniali e documentali vanno raccolte sia quando sono favorevoli sia quando sono contrarie alla santità e alla fama di santità o di martirio dei Servi di Dio». Si tratta di un principio davvero basilare, oltreché di grande valore deontologico.
Cosa aiuta un Postulatore a dare attenzione alla realtà storica? Stimoli potranno giungergli dai Relatori del Dicastero, oppure dalle Consulte degli storici e dei teologi, a volte anche da Membri della Ordinaria del Dicastero. Altre volte, invece, si tratta di sollecitazioni che giungono dall’esterno, ossia da studi e ricerche i cui risultati, magari proprio per il fatto di non coincidere, in tutto o in parte, con il lavoro delle Postulazioni inducono ad approfondimenti, verifiche, puntualizzazioni… Eventuali obiezioni, o osservazioni vanno prese non come offese (talvolta purtroppo accade), ma come stimoli almeno a «dire meglio», se non pure a «vedere meglio».
Il lavoro del Postulatore, come quello dell’intero Dicastero, del resto, va inteso non come affermazione di una tesi prestabilita, ma – lo ripeto – come servizio alla verità. Un servizio che si attua all’interno di un «processo», ossia, per dirla semplicemente, … «cammin facendo»! È, d’altra parte, noto l’assioma, che Cervantes – rendendolo così più noto – fa citare pure da don Chisciotte in una lettera a Sancio, divenuto governatore: «Amicus Plato, sed magis amica veritas».[4]
Anche il postulatore avrà caro questo assioma: magis amica veritas! Criterio di verità, da ultimo, sarà certamente il riferimento cristologico, come ricordava papa Francesco quando diceva che «le Cause di beatificazione e canonizzazione sono realtà di carattere spirituale; non solo processuale».[5]
Questo vale, ovviamente, benché nei loro ruoli distinti, per tutti gli operatori delle cause dei santi. Da ciò derivano pure le altre caratteristiche richiamate da Francesco che si accompagnano alla (ovvia) competenza professionale: ossia una «spiccata sensibilità evangelica e rigore morale». Punto di riferimento del servizio della verità sarà, dunque, Cristo, del quale i medievali dicevano che è via, per quam itur; veritas, ad quam pervenitur; vita, in qua statur, la via su cui si cammina, la verità cui si perviene e la vita dove si trova la pace.[6]
Il dinamismo spirituale
Oltre al dovere di presentate i candidati alla beatificazione e canonizzazione nella loro realtà storica Benedetto XVI richiamava il dovere di tenere conto del dinamismo spirituale. E qui la cosa diventa ancora più delicata e importante.
Mi sovviene in proposito una annotazione fatta da H. Brémond, eminente storico e critico letterario francese, autore di una famosa Histoire litteraire du sentiment religieux en France depuis la fin des guerres de religion jusqu’a nos jours.[7] Nel vol. II di quest’opera egli parla della beata Maria dell’Incarnazione-madame Acarie (1566-1618), amica di san Francesco di Sales e tra le principali figure mistiche della Francia. Ella, oltretutto, ha introdotto in Francia il Carmelo di santa Teresa. Molto nota nel periodo della sua esistenza terrena e nei decenni successivi, nel XIX secolo era però praticamente caduta nell’oblio. Brémond coglie l’occasione per scrivere: «Chi ci spiegherà la storia postuma dei santi?». Continua: «Un grande movimento devozionale oggi raggiunge la tomba di una giovane carmelitana, morta di recente, di cui però nessuno ha parlato durante la sua vita terrena e della quale oggi sembra molto probabile la beatificazione. I cattolici del XXI secolo, però, ricorderanno ancora il nome di Suor Teresa del Bambino Gesù?».[8]
Riguardo a Teresa di Lisieux, la domanda di Brémond ha di certo una risposta positiva: nel XXI secolo questa santa non soltanto è ricordata, ma è pure divenuta dottore della Chiesa. Questa «piccola» santa, anzi, è, a mio parere, una icona della Chiesa del XXI secolo chiamata ad assidersi – come lei scriveva – alla mensa degli increduli![9] Accanto al lei potremo mettere san Charles de Foucauld, «il fratello universale», che non senza ragione papa Francesco ha ricordato al termine dell’enciclica Fratelli tutti, e con lui i Monaci di Tibhirine, beatificati l’8 dicembre 2018. In queste figure di santità è possibile trovare dei tratti quella che
potrebbe essere la vocazione della Chiesa nella nostra società, che è cambiata così profondamente. Una Chiesa umile, che vive nella diaspora. Una Chiesa fedele alla sua fede, priva di complessi e di arroganza. Ma anche una Chiesa aperta, solidale con le domande e le sfide, le gioie e i dolori degli uomini del nostro tempo. Una Chiesa e dei cristiani che s’impegnano per una società più umana, per i poveri e i più diseredati di questa terra, per quelli che, nonostante il progresso e l’emancipazione che sono frutti della modernità, non contano e sono vittime dell’indifferenza. Una Chiesa che irradia soprattutto la gioia, la bellezza della fede e la felicità di poter vivere nella semplicità del Vangelo.[10]
Sono le ragioni per le quali la domanda di Brémond rimane provocatoria per ieri e per oggi. Per quanti beati e santi (e più ancora Servi e Serve di Dio) la domanda di Brémond circa una storia postuma della santità ha la sua verità?
Ecco, carissimi, cosa evoca nel mio animo il dinamismo spirituale richiamato da Benedetto XVI. E voi, ve ne sentite provocati per i Servi di Dio e Beati e Santi oggetto dei vostri studi, delle vostre ricerche e delle vostre attenzioni? Quale sarà la loro storia postuma? Cogliete la domanda soprattutto per quando, nelle vostre Positio, giungete a descrivere l’esercizio in modo eroico delle virtù teologali e cardinali dei Servi e Serve di Dio di cui siete nominati postulatori. Domando ad esempio: l’esercizio di queste virtù va trattato per tutti alla stessa maniera? In molti casi sembra si leggano delle fotocopie, ossia degli schemi prefabbricati!
Stiamo disponendoci, per esempio, ad un anno giubilare e proprio ieri il Papa ne ha parlato dopo la preghiera mariana dell’Angelus. Il tema del prossimo Giubileo sarà – lo sappiamo – la virtù della Speranza: quale posto, però, ha questa virtù nelle nostre Positio? Si trova, ad esempio, considerato quel che insegna il Vaticano II, ossia che «l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo»?[11]
Penso pure alla virtù cardinale della Prudenza: sarà trattata alla stessa maniera se si tratta di un padre/madre di famiglia, un superiore/superiora religiosi, o un semplice religioso/a? Perfino di un papa? Un vescovo mi confidava giorni or sono: credo che la maniera di studiare l’esercizio delle virtù debba essere profondamente rivisto ai giorni nostri.
Nella sua opera dedicata a Teresa di Lisieux ed Elisabetta di Digione titolata Sorelle nello spirito, H. U. von Balthasar faceva una distinzione, anche questa molto provocatoria, tra santità «abituale» e santità particolare, o rappresentativa, con la quale Dio, per il bene della chiesa e della comunità, eleva una singola persona a esempio tutto speciale di santità».[12] Von Balthasar prosegue:
A questa distinzione fra santità «abituale» e «rappresentativa» ne è collegata un’altra alquanto differente. All’interno della chiesa, che è il corpo dì Cristo, ci sono missioni e vie di santità che dal corpo tendono di più verso il capo ed altre, che dal capo tendono di più verso il corpo. Benché capo e membra costituiscano un unico corpo, benché Cristo e la chiesa vivano della sola, unica grazia e santità di Cristo e di Dio, esiste all’interno di questa unità una certa polarità. Essa si manifesta proprio nell’ambito delle santità differenziate. Ci sono delle missioni, che piombano sulla chiesa come dei fulmini celesti, in quanto devono farle conoscere una volontà unica e irripetibile di Dio nei suoi confronti; ma ce ne sono anche altre che crescono dal seno della chiesa, della comunità, degli ordini religiosi e che per la loro purezza e coerenza diventano di modello alle altre. Le prime vengono da Dio e si sviluppano nella chiesa, che, se vuole obbedire allo Spirito Santo, deve accoglierle e inserirle nella concreta pienezza della propria santità; le seconde nascono dalla chiesa e sono fiori che essa, nella sua grazia feconda, ha fatto sbocciare e che presenta a Dio come le proprie primizie. Ambedue questi tipi di santi vivono della medesima santità di Dio e ambedue sono cristiani e insieme ecclesiali. Tutti e due dimostrano perciò il proprio spirito cristiano attraverso il proprio spirito ecclesiale. Tuttavia il primo gruppo ha un’impronta incomparabilmente più marcata del secondo. Esso abbraccia quelle chiare forme dì santità, che Dio stesso pone come pietre miliari, come segni distintivi, come validi schemi esplicativi del proprio vangelo per oggi e forse anche per i secoli futuri. Essi sono irrefutabili, intangibili, indivisibili come numeri primi; comunicano ciò che lo Spirito divino, che è sempre vivo e spira dove vuole dischiudendo aspetti sempre nuovi della sua rivelazione inesauribile, intende manifestare proprio ai nostri giorni. Nella canonizzazione del primo gruppo è più la chiesa che obbedisce al Signore; nella canonizzazione del secondo invece è più il Signore che accondiscende al giusto desiderio della sua chiesa. Ma poiché è più importante che la chiesa assecondi i desideri di Dio e non viceversa, per essa è anche più importante cercare attentamente e accogliere quei santi che egli chiaramente, senza ombra di dubbio le invia, fare proprio il loro messaggio, nonché impetrare e rendere possibile con la propria santità generale il sorgere di simili ambasciatori divini, anziché erigere, per così dire di proprio arbitrio, un gran numero di santi.[13]
Anche questi sono interrogativi, che riguardano il lavoro dei Postulatori; non soltanto di loro, ma dell’intero Dicastero. Di quali figure di santi e di sante ha bisogno oggi la Chiesa? Non si tratta affatto di «selezionare» i Processi, ma certamente di mettere in luce in forma adeguata qual è il messaggio, la pro-vocazione per l’oggi, che giunge da una storia di santità.
È la richiesta che abitualmente noi facciamo ai Vescovi diocesani, quando giungono al Dicastero in visita ad limina. Di quali figure di santi e di sante ha bisogno oggi la Chiesa? Alcuni importanti sintomi per rispondere a questa domanda sono la presenza o meno di una fama di santità, che nasce dalla convinzione dei fedeli circa la santità di una persona ed ha come conseguenza logica la convinzione comune circa l’efficacia della sua intercessione presso il Signore. Questa poi è testimoniata dalla fama signorum. Di fatto, l’assenza di «segni» è il primo e grave sintomo dell’assenza di una reale «fama di santità».
Su questi temi abbiamo voluto riflettere nel Convegno dell’ottobre 2022, di cui sono stati pubblicati di recente gli Atti.[14] Nel mio saluto introduttivo ai lavori dicevo che l’accertamento di una solida e ben diffusa fama sanctitatis è stato sempre il requisito fondamentale per l’avvio di una Causa di Beatificazione e Canonizzazione. Negli ultimi decenni, però, sembra che questo vaglio previo sia passato in secondo piano. È la ragione per cui il 31 maggio 2021 il Dicastero si è preoccupato di trasmettere a tutti i Vescovi una lettera con cui raccomandava di verificare la consistenza e la genuinità della fama di santità e di una significativa fama signorum.
Un incarico fiduciale
Parlando del compito dei postulatori Benedetto XVI diceva pure che si tratta di un incarico «fiduciale» e lo sviluppa sia in rapporto con i Vescovi diocesani per una istruzione completa, obiettiva e sostanzialmente valida delle Cause, sia in rapporto al Dicastero delle Cause dei Santi «nella ricerca processuale della verità da raggiungere mediante una appropriata discussione, che tenga conto della certezza morale da acquisire e dei mezzi di prova realisticamente disponibili». » nella ricerca processuale della verità». A queste due relazioni ne aggiungerei una terza, che riguarda gli Attori promotori di una determinata Causa e comporta una oggettiva e veritiera presentazione dei Candidati agli onori degli altari.
È stata usata l’espressione: «ricerca processuale della verità». È una formula che ha di sicuro bisogno di approfondimenti. È, però, certamente da escludere che con essa si intenda una verità formale, che però non corrisponderebbe a una verità effettiva. Qualcuno lo intende così per i processi civili, ma per i nostri processi questa interpretazione non è ammissibile!
Per noi, l’espressione «ricerca processuale della verità» indica che il principale locus per la ricerca della verità è il dialogo. Benedetto XVI parlava di «appropriata discussione»! Questo comporta per un verso la piena legittimità da parte di un postulatore/postulatrice di porre istanze, richieste di riesame ecc.; per l’altro verso comporta legittimità anche per il Dicastero di domandare approfondimenti e chiarimenti.[15]
Siamo, carissimi, nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Una colletta della Messa per questa circostanza particolare ci fa chiedere al Signore di sapere offrire agli uomini la testimonianza della verità. È lo scopo dei processi che si tengono nel nostro Dicastero. Pur seguendo la procedura fissata, il giudizio finale non sarà mai da intendersi né come «promozione», né come «condanna» di un Servo, o Serva di Dio, ma sempre come ricerca di «verità» finalizzata unicamente alla gloria di Dio e al bene del Popolo di Dio. Una verità non teorica, ma concreta, poiché nei suoi Beati e nei suoi Santi il Popolo di Dio ha dei modelli da imitare e degli intercessori da invocare.
Roma – Convento dei Frati Cappuccini in Via Vittorio Veneto, 22 gennaio 2024
Marcello Card. Semeraro
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[1] Benedetto XVI, Discorso al Collegio dei Postulatori, 17 dicembre 2007.
[2] Benedetto XVI, Discorso cit.
[3] Francesco, Discorso ai membri della Congregazione del 12 dicembre 2019.
[4] Don Chisciotte della Mancia, II, 51.
[5] Francesco, Discorso cit.
[6] Alcuinus, Epistola CLXXII: PL 10, 444.
[7] :L’opera fu edita in 11 volumi tra il 1916 e il 1933. Si trova spesso citata da G. B. Montini sia da arcivescovo di Milano, sia da papa.
[8] H. Brémond, Histoire litteraire… cit., t. II, p. 194 (éd. J. Millon – 2006, I, p. 563.
[9] Francesco lo ricorda al n. 26 della esort. apost. C’est la confiance del 15 ottobre 2023.
[10] J. De Kesel, Cristiani in un mondo che non lo è più. La fede nella società moderna, LEV, Città del Vaticano 2023, p.110.
[11] Cost. past. Gaudium et spes, n. 39.
[12] H. U. v. Balthasar, Sorelle nello Spirito. Teresa di Lisieux ed Elisabetta di Digione, Jaca Book, Milano 2017, p. 25.
[13] Von Balthasar, Sorelle nello Spirito cit., pp. 26-27.
[14] Cf. Dicastero delle Cause dei Santi, La Santità oggi. Atti del Convegno di studio, Roma 2022 (“Sussidi per lo studio delle Cause dei Santi”, 12).
[15] Talvolta, purtroppo, accade che il comportamento di un postulatore, o di una postulatrice somigli piuttosto a quello di alcuni avvocati difensori nei processi civili i quali si servono delle prove non per far sì che emerga la verità, ma per persuadere che la propria causa ha tutti i crismi per concludersi positivamente! Laddove ciò accadesse, sarebbe non soltanto un venir meno all’incarico fiduciale, ma anche uno snaturare la funzione del postulatore.