Intervento alla Plenaria del Dicastero per la Comunicazione

 

Sinodo e comunicazione: un percorso da sviluppare

Intervento alla Plenaria del Dicastero per la Comunicazione

 

Nel contesto dell’attenzione che nella Chiesa, già a livello di Chiese particolari e ora di Chiese locali in dimensione continentale, si dà al tema della sinodalità, mi è stato chiesto di offrire alcune indicazioni di percorso sul rapporto tra «sinodo e comunicazione». È da tener conto che da quando il Papa ne parlò nel discorso del 17 ottobre 2015, il tema della sinodalità è divenuto ormai (talvolta – mi sia consentito dirlo – in forme eccessive e non appropriate) tema ordinario all’ordine del giorno. Una ragione in più per essere attenti e discreti nell’uso.

In quell’occasione, dunque, Francesco parlò della sinodalità «come dimensione costitutiva della Chiesa» spiegando, subito dopo, che «la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore». L’espressione descrittiva del Papa fa riferimento a una prima etimologia del termine «sinodo»; cosa che, proprio per essere tale, è certo un pregevole punto di partenza, ma non può, evidentemente, essere esaustiva e conclusiva. E difatti già il documento pubblicato nel 2018 dalla Commissione Teologica Internazionale (CTI) col titolo La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa allargava la prospettiva e riprendendo proprio il riferimento fatto da Francesco a un testo di San Giovanni Crisostomo scriveva: «La Chiesa… è l’assemblea convocata per rendere grazie e lode a Dio come un coro, una realtà armonica dove tutto si tiene (σύστημα), poiché coloro che la compongono, mediante le loro reciproche e ordinate relazioni, convergono nell’ἁγάπη e nella ὁμονοία (il medesimo sentire)» (CTI, n. 3).

Troviamo qui una preziosa indicazione, che ci permette di entrare più agevolmente nel nostro tema. Non si tratta, infatti, di un semplice «camminare insieme», ma piuttosto di un modo di vivere insieme, ossia di uno stile che è poi la base su cui si edifica la sinodalità: «La sinodalità designa innanzi tutto lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa. Tale modus vivendi et operandi si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione» (CTI, n. 70). Questa citazione ci permette di riconoscere nella «sinodalità» non un concetto e ancor meno un fare, quanto piuttosto un modello di vita sicché il termine diventa espressivo dell’ecclesiologia di comunione, anzi è «un’espressione viva della cattolicità della Chiesa comunione» (CTI, n. 58).

A questa dimensione, che chiamerei «esperienziale», della sinodalità ha fatto allusione Francesco nel suo incontro del 3 giugno scorso con un delegazione di giovani sacerdoti e monaci di chiese ortodosse orientali. Il Papa parlava loro dell’unità e disse che questa «non è un progetto da scrivere, un piano studiato a tavolino; non si fa nell’immobilismo, ma nel movimento, nel dinamismo nuovo che lo Spirito, a partire dalla Pentecoste, imprime ai discepoli. Si fa cammin facendo: cresce nella condivisione, passo dopo passo, nella comune disponibilità ad accogliere le gioie e le fatiche del viaggio, nelle sorprese che nascono lungo il percorso. Come scrive San Paolo ai Galati, siamo tenuti a camminare secondo lo Spirito (cf. Gal 5,16.25). O, come dice Sant’Ireneo, che ho recentemente proclamato Dottore dell’Unità, la Chiesa è tôn adelphôn synodia, espressione che può essere tradotta come “una carovana di fratelli”. Ecco, in questa carovana cresce e matura l’unità, che – secondo lo stile di Dio – non arriva come un miracolo improvviso ed eclatante, ma nella condivisione paziente e perseverante di un cammino fatto insieme».

Ho scelto questo passaggio perché è in qualche maniera sinottico con un altro di Evangelii Gaudium, che fa esplicito riferimento alla competenza di questo nostro Dicastero. Si legge, infatti: «Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene» (n. 87).

Il richiamo di Francesco è davvero molto pertinente in chiave di sinodalità e il suo commento basterebbe da sé per un approfondimento del nostro tema. Si terrà conto, difatti, che l’unica volta in cui nel Nuovo Testamento, con synodía, appare la parola “sinodo” è Lc 2,44, dove compare insieme col termine “via” (odós), di cui peraltro si compone. Siamo nel racconto che chiude i due capitoli introduttivi di Luca. Prima che Maria e Giuseppe tornino a Gerusalemme in cerca di Gesù, il termine accompagna quel singolare “smarrimento”: «credendo che egli fosse nella comitiva (en tê synodíâ), fecero una giornata di viaggio (odòn) e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti».

Sia concessa una breve glossa: nell’unico “sinodo” evangelico, Gesù non è dove si pensa! Egli, invece, è altrove! Egli è a Gerusalemme a occuparsi delle cose del Padre. Camminare insieme, dunque, non è di per sé espressione di sinodalità, non basta a costruire la sinodalità! Ancora dodicenne, a noi Gesù sta già dicendo: siete voi a dover venire dietro a me, non io dietro voi! Capisco che vi faccia piacere camminare insieme, ma la prima persona con cui dovete camminare sono Io, che sono la via (cf. Gv 14,6)! È ben vero, come sin dal principio ripete Papa Francesco, che «una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto» (Discorso del 17 ottobre cit.), ma il primo a essere ascoltato devo essere Io, il Verbo eterno del Padre.

La sinodalità è anzitutto un modo di essere discepoli di Gesù. Si ricorderà che già Sant’Ignazio d’Antiochia indicava e individuava i cristiani col termine synòdoi, ossia «coloro che camminano insieme» (Eph. 9,2). I cristiani, però, sono tali perché hanno con loro  il synodos per eccellenza, il «compagno di viaggio» che fa di loro dei synòdoi e questo è Cristo, come leggiamo in una commovente invocazione conservata negli apocrifi, ma importanti «Atti di Tommaso»: «Credi in Cristo Gesù … Egli ti sarà compagno (synodos) lungo il sentiero pericoloso, ti sarà guida verso il regno suo e di suo Padre» (Acta Thomae, 103).

Io ho sempre pensato che una teologia della comunicazione debba iniziare con una intonazione ecclesiologica e precisamente con quella che ci proviene dall’incipit della prima lettera di Giovanni: « … quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi …» (vv. 1-3).

Credo che questo possa ritenersi l’inizio e l’attuazione della sinodalità, se davvero essa rimanda al mistero della Chiesa come comunione. La Chiesa nasce da un annunzio, al cui inizio c’è una esperienza: l’esperienza del Verbo incarnato veduto e contemplato, toccato e ascoltato. Questa esperienza è sempre annunciata perché nasca una sempre nuova esperienza

Gesù, in effetti, si è lasciato cercare, trovare, toccare, gustare, vedere, ascoltare… Ma non ha mai accettato di essere trattenuto, pilotato! Una volta che, pur con tutte le migliori intenzioni e per il grande amore verso di lui Pietro ha cercato di farlo, gli ha detto: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23). Compito della sinodalità è cercare e camminare non su una qualunque via, ma cercare la Via di Cristo, sapendo tuttavia che essa ci trascende e non può essere manipolata, delimitata, posseduta. Cristo non lo si possiede, ma lo si segue e allora è Lui che possiede noi.

Il testo dell’inizio di 1Gv dice al comunicatore che all’inizio dell’essere-chiesa non c’è una ideologia e neppure un’aspirazione, o un progetto sociale, umanistico, politico. All’inizio c’è una persona: una persona storica, che è stata sperimentata da un gruppo di discepoli i quali ne parlano maniera carnale. C’è una esperienza non tenuta per sé, ma comunicata. C’è una comunicazione che non è solo informativa; una comunicazione che non vuole solo convincere. È, invece, una comunicazione che vuole anzitutto sollecitare una reazione: perché voi siate in comunione con noi. Ecco, dunque, che queste due parole: comunione (potremmo anche dire sinodalità a questo punto) e comunicazione si illuminano e sostengono reciprocamente. Non per nulla hanno la medesima radice.

 

Città del Vaticano, 10 novembre 2022

 

Marcello Card. Semeraro