Intervento conclusivo al Convegno "La Santità oggi"

 

CONVEGNO DI STUDIO "LA SANTITÀ OGGI"

Intervento conclusivo

 

Le mie, non intendono essere parole di chiusura del nostro Convegno, poiché quelle le pronuncerà domani il Santo Padre, quando ci riceverà in udienza; saranno, perciò, soltanto parole con le quali, anche a nome del Dicastero delle Cause dei Santi, intendo dire: grazie! Grazie a tutti, perché il Convegno è stato «fatto» da tutti: da chi lo ha organizzato e preparato, a chi lo ha ospitato; da chi, con la sua parola competente e autorevole, ha offerto preziose indicazioni, a chi vi ha corrisposto «creativamente» – ossia voi, che avete scelto di prendervi parte –, al fine di ulteriormente qualificare il proprio servizio all’interno del Dicastero. La massima parte di voi è composta da membri del Dicastero, da consultori e consultrici, da postulatori e postulatrici, da iscritti al Corso di Alta Formazione in Cause dei Santi. A voi tutti, grazie di vero cuore.

Durante le ore trascorse insieme in questi pochi giorni, ho pensato di paragonare il nostro lavoro a un «viaggio». Trattandosi di santità, e quindi anche di sante e di santi, ho pensato a un viaggio verso il «paradiso»: a quello di Dante Alighieri, beninteso, come descritto nella terza Cantica della sua «Commedia». Nel nostro percorso non abbiamo avuto come guide Virgilio e Beatrice, ma degli amici e delle amiche: i relatori e le relatrici e i moderatori delle due «tavole rotonde», che hanno sollecitato interventi pure da parte dei partecipanti al Convegno. Diversamente da quello dantesco, però, il nostro non è stato un ascensus, bensì un descensus: dico questa parola pensando al descensus che è stato richiamato da S. E. Mons. O. F. Piazza; ossia quello del Figlio eterno che descendit… «si è fatto uomo». Nei nostri incontri è stato spesso ripetuto che la santità è pienezza di vita umana; attuazione completa dell’intenzione creatrice di Dio.

Siamo partiti nel primo pomeriggio di Convegno da una prospettiva di ampio respiro e questo era davvero necessario, perché senza orizzonti veri e spaziosi non si va da nessuna parte, si gira a vuoto. La santità, frutto dello Spirito è stato il tema della Prolusione magistralmente svolta da S.E. Mons. Bruno Forte. Mentre egli parlava, io pensavo a quella bellissima espressione della Liturgia di Ippolito che descrive la Chiesa come il terreno, o l’albero dove fiorisce lo Spirito: Ecclesia, ubi floret spiritus! Nei due giorni successivi ci siamo, poi, accostati al vissuto e abbiamo cercato di farlo sempre con rispetto, senza manipolarlo o adattarlo e riferendoci in modo specifico ad alcune problematicità, almeno dal nostro punto di vista. Nel nostro lavoro, difatti, abbiamo a disposizione parole antiche, come eroismo, fama …. che oggi non sono più intese alla maniera del Magister, Benedetto XIV e hanno quindi bisogno di essere comprese, forse riformulate.

Questa terminologia classica, che si riferisce alla santità canonizzabile/canonizzata, però, non ci ha fatto perdere di vista la vocazione universale alla santità, autentica perla del magistero del Concilio Vaticano II ed è bello che, per la preparazione al prossimo Giubileo, sia stato scelto di «tornare» a quel Concilio. Ce n’è bisogno davvero. In un dossier pubblicato in questi giorni per i sessant’anni dall’inizio di quell’evento sul settimanale italiano «Famiglia cristiana» c’è inserita questa mia riflessione: «Quando intrapresi gli studi di teologia, nel 1966-67, si viveva l’immediato post-Concilio, con una serie di difficoltà come l’assenza di manuali e testi aggiornati. Il docente di Dogmatica ci disse: “Un giorno, dopo di voi, verranno qui tra questi stessi banchi giovani che parleranno del Vaticano II come voi parlate del concilio di Trento”. La cosa allora mi colpì molto, mi sembrava impossibile. Però oggi forse il magistero conciliare non è effettivamente conosciuto per la portata che ebbe».

Il capitolo quinto della costituzione dogmatica Lumen Gentium, dicevo. Chi ne ha studiato la stesura sa bene che nel secondo schema de Ecclesia – quello ripreso nel 1963 per il secondo periodo conciliare – il capitolo sulla vocazione universale alla santità era il fastigio dell’intero documento. Una volta assunto il modello del peregrinante popolo di Dio (ed è davvero bella la coincidenza di questa figura della Chiesa con l’immagine scelta per il nostro Convegno), lo si doveva portare a compimento proprio con la chiamata di tutti alla comunione con Dio Padre in Cristo mediante lo Spirito. In quello stesso periodo, difatti, fu scelta la frase di san Cipriano, che chiude Lumen Gentium n. 4: la Chiesa, de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata. Nel corso dei lavori conciliari, poi, nel de Ecclesia furono inseriti altri capitoli e, in ogni caso, il capitolo mariano ne è uno splendido sigillo.

Chiamata universale alla santità e santità canonizzata: non sono affatto due santità, ma un’unica santità. In Gaudete et Exsultate Francesco ha scritto: «Non pensiamo solo a quelli già beatificati o canonizzati. Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché “Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità”. Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (n. 6).

Ho pensato, allora, che la santità è come un fiume sotterraneo che se pure sempre alimenta la Chiesa, in alcuni luoghi – e sono la vita dei santi canonizzati – fuoriesce e zampilla come una fontana.

Il più delle volte, certo, occorre che ci sia qualcuno disponibile a scavare il pozzo… e questo è, un po’, il lavoro del nostro Dicastero: dall’inizio nelle Chiese particolari fino al lavoro dei postulatori e delle postulatrici, dei vari Consultori, dei Cardinali e Vescovi nell’Ordinaria del Dicastero, sino alla decisione del Successore di Pietro. Scavare il pozzo da cui sgorga l’acqua sotterranea, nascosta!

Il p. M. Faggioni ha detto ieri che se qualcuno non avesse messo in luce i Manoscritti di Teresa di Gesù Bambino, noi non avremmo avuto la santa che conosciamo. Pensando a questo mi sono poi distratto e ho ricordato una scena evangelica… Spero che il card. G. Betori, che è un biblista, mi perdoni! Ho pensato, dunque, che a Cana di Galilea, per fare compiere a Gesù quello che Gv 2,11 chiama l’inizio dei segni c’è stato bisogno dell’intervento della Madre. Conosciamo tutti quel breve dialogo tra lei e Gesù, su cui i biblisti hanno scritto pagine di spiegazione. Ma c’è stata, alla fine, la Madre che disse ai servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». E Gesù… ha cominciato a donarci i suoi segni!

Voi potete obiettarmi che non siamo alle Nozze di Cana. Penso, allora, a Lourdes, a una ragazza poi canonizzata: Santa Bernadette Soubirous. Nei suoi racconti diceva che la Vergine le aveva indicato una fontana dove bere, ma… questa non la vedeva! La Vergine, però, insistette e così Bernadette si mise scavare nella terra fangosa che era in fondo alla Grotta e scoprì una sorgente!

Ecco, carissimi: vorrei dire che nei processi per la beatificazione e la canonizzazione, pure noi dobbiamo fare un po’ come Bernadette: scavare perché dal terreno della Chiesa escano quelle testimonianza che poi condurranno a una beatificazione, a una canonizzazione. La Santa Vergine ci aiuterà. Certamente. Grazie.

 

Roma, Istituto Patristico Augustinianum, 5 ottobre 2022

 

Marcello Card. Semeraro