Intervento sulla Beata Colomba da Rieti

 

Intervento alla presentazione dell’opera

«La Sante delle due città. Colomba tra Rieti e Perugia nel contesto europeo»

 

Ringrazio sinceramente per l’invito a suo tempo rivoltomi e vi confido di essere davvero lieto di trovarmi con voi qui a Perugia, in questa regione, l’Umbria, che il Cardinale Gualtiero Bassetti – che saluto di tutto cuore – ha definito «la “terra dei Santi” per antonomasia» (Saluto, p. XII). L’occasione è quella della presentazione di questa opera corposa, in due volumi, dedicata alla Beata Colomba, edita dalla Libreria Editrice Vaticana e inserita nella collana del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, di cui saluto cordialmente il presidente, Padre Bernard Ardura O. Praem. Un fraterno saluto rivolgo agli Eccellentissimi Vescovi qui presenti, in particolare all’Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, S. E. Mons. Ivan Maffeis, cui sono legato da antica amicizia. Un affettuoso ricordo sento doverlo riservare anche all’attuale Amministratore Apostolico di Rieti, S. E. Mons. Domenico Pompili, che ha salutato qualche settimana fa la Chiesa e la città che diedero i natali alla nostra Beata. Saluto il Priore della Provincia Romana dell’Ordine domenicano e il Presidente dell’Associazione Culturale “Beata Colomba”, promotrice di questo evento. Saluto infine tutti voi che siete qui e penso di interpretare i sentimenti di tanti manifestando profonda ammirazione verso i curatori e i tanti autori dei singoli contributi, che rendono l’opera così ricca di spunti e documenti storici.

Preparandomi a questo intervento e considerando il mio attuale servizio di Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ho pensato fosse giusto riguardare le vicende storiche legate alla Causa di beatificazione e canonizzazione della Beata Colomba. Ci sono due articoli, nel secondo tomo dell’opera, dedicati a questo tema. Il primo ripercorre le tappe della Causa, fino a delineare con dettaglio quella che chiameremmo la «fama di segni» attribuita alla nostra Beata[1]. Il secondo riporta una sintesi degli Atti del Processo, che si tenne a partire dal 1629[2]. Non potevo tuttavia non rivolgermi anche all’Archivio del nostro Dicastero delle Cause dei Santi, dove ho a mia volta trovato alcuni documenti inediti, che ritengo di grande valore. L’attribuzione del titolo di Beata a Colomba da Rieti ha un posto molto importante dal punto di vista storico. Si colloca infatti immediatamente dopo il 1625, anno in cui Urbano VIII diede il via alla promulgazione dei decreti passati alla storia come «Decreti di Urbano VIII» sulla verifica e proibizione di ogni culto indebito. Secondo la terminologia specifica degli storici e dei canonisti, la beatificazione di Colomba ricade sotto la definizione di casus exceptus, ossia non compreso nei divieti di Urbano VIII a motivo di un culto ritenuto legittimo e tollerato dai vescovi, attestato da almeno un secolo. Su questo, gli autori degli articoli sono molto precisi e spiegano bene quel passaggio storico. Del decreto con cui la Santa Inquisizione, con l’intervento diretto di Papa Urbano VIII, riconosce quello di Colomba da Rieti come casus exceptus, esistono due versioni. Una è stata riportata nel volume (p. 673), che rimanda all’Archivio dell’attuale Dicastero per la Dottrina della Fede. L’altra viene citata quasi integralmente dal Magister, il Papa Benedetto XIV[3], il quale, già Promotore della Fede alla Sacra Congregazione dei Riti, ebbe accesso alla versione del documento ancora oggi conservata nel Dicastero delle Cause dei Santi[4]. La data è 25 febbraio 1627. Di appena cinque giorni prima è però un altro foglio, anch’esso conservato inedito nel nostro Archivio, da cui traggo un passaggio che trovo particolarmente suggestivo per il nostro incontro di questa sera. Si tratta della petizione con la quale le Città di Rieti e di Perugia, che si dichiarano «fedelissime suddite della Santa Sede Apostolica», chiedono di poter celebrare la festa della Beata, il 20 maggio, utilizzando come testi l’Officio Comune di una Vergine[5]. Permettete che ne legga alcuni passaggi: «Sono già centocinquant’anni che la Beata Colomba, Vergine del Terz’Ordine San Domenico, originaria di Rieti, vissuta per molti anni in Perugia, fiorì con tale innocenza, asprezza e santità di vita, che si rese a tutto il mondo ammirabile: ornata di spirito di profezia, visione ammirabili, rapimenti ed estasi quasi continui, miracoli numerosi e stupendi, in vita e morte, al pari di quanti se ne leggono di un’altra sposa di Gesù Cristo; (…) la purità, innocenza e vita miracolosa di lei non era inferiore a quella di Santa Caterina di Siena, il che fu comprovato con miracoli in persona di Curiali notissimi al Sommo Pontefice. Per lo spazio di centoventicinque anni dopo la sua morte, continuamente è stata notata, riverita e invocata come Beata, con tolleranza e consenso dei Vescovi».

Di quanto riportato dal testo, mi ha colpito l’accostamento della Beata Colomba al profilo della grande Santa Caterina da Siena, accostamento che peraltro compare in trasparenza anche in un altro articolo inserito nella raccolta di quest’opera[6]. Non solo colpisce l’analogia fra la vita breve dell’una (Caterina), morta appena trentatreenne, e quella di Colomba, vissuta fra il 1467 e il 1501. Ma ci sono tanti aspetti in comune fra le due: lo spirito di preghiera, la pratica della penitenza, l’amore all’Eucaristia, l’aiuto ed assistenza ai poveri e ai bisognosi, solo per citarne alcuni. Per sintetizzare la vicenda della nostra Beata si potrebbero perfino usare le parole pronunciate da San Paolo VI su Caterina da Siena, quando la definì «la maestra delle cose divine, la mistica ispirata, la donna ardita, semplice ed abile ad un tempo, che osa iniziative diplomatiche altrettanto candide che sapienti, (…) la vergine estatica nella preghiera e tutta dedita all’assistenza dei sofferenti, capace di conversazione fascinatrice che muta gli interlocutori in discepoli, in amici fedelissimi» (Udienza Generale, 30 aprile 1969)[7]. Vorrei a questo punto abbandonare i panni dello storico, per riflettere su due aspetti, per i quali il profilo di Santa Caterina da Siena e quello della Beata Colomba da Rieti mi appaiono tanto assimilabili.

Il primo aspetto è quello della sponsalità. Sia Caterina da Siena, sia la Beata Colomba vivono un tale rapporto con Cristo, da riconoscersi sue spose. Tutti ricordiamo quel racconto della Legenda maior di Raimondo da Capua, che riporta le parole di Cristo a Caterina, mentre le consegnava uno splendido anello: «Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne»[8]. Come ha sottolineato Benedetto XVI, «in questo episodio straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà; è il bene amato sopra ogni altro bene» (Udienza Generale, 24 novembre 2010)[9]. Nella Santa di Siena la nostra Beata trovò un riferimento costante per l’ascesi e per l’apostolato: se compì il gesto del taglio dei capelli, attestato di una volontà decisa e costante di appartenere a Cristo quale unico sposo, fu proprio per imitazione di Santa Caterina. Queste due donne sono dunque state donate alla Chiesa come richiamo alla sua natura di sposa di Cristo e, per questo motivo, vita e mistero di fecondità. Una preghiera liturgica utilizzata per commemorare la Beata Colomba prima della riforma liturgica diceva: «Deus, qui Beatam Columbam tuam ab initio nativitatis Eius sponsam tibi signis mirabilibus praesignasti», «O Dio, che con segni stupendi hai prefigurato la Beata Colomba tua sposa fin dall’inizio, dalla sua nascita»[10]. Sono numerosissimi gli autori, antichi e moderni, che su questo tema si potrebbero citare. In questa “sinfonia al femminile”, mi piace ricordarne una in particolare: Santa Ildegarda, la mistica tedesca morta a Bingen nel 1179, dichiarata Dottore della Chiesa nel 2010. Nel racconto della Visione VI, ella scrive: «E di nuovo udii una voce dal cielo che mi diceva: “Quando Cristo Gesù vero Figlio di Dio prendeva dal legno della sua passione, la Chiesa, nel segreto dei misteri celesti, fu a lui sposata e ricevette come dono nuziale il suo sangue purpureo. Lei stessa lo dimostra frequentemente accostandosi all'altare, richiedendo la propria dote”»[11]. Come non ricordare poi, in questo sessantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, un passaggio del primo capitolo della Lumen gentium, testo intriso di sapienza biblica e citazioni della Sacra Scrittura: «La Chiesa, chiamata “Gerusalemme celeste” e “madre nostra” (Gal 4,26; cfr. Ap 12,17), viene pure descritta come l’immacolata sposa dell'Agnello immacolato (cfr. Ap 19,7; 21,2 e 9; 22,17), sposa che Cristo “ha amato... e per essa ha dato se stesso, al fine di santificarla” (Ef 5,26), che si è associata con patto indissolubile ed incessantemente “nutre e cura” (Ef 5,29), che dopo averla purificata, volle a sé congiunta e soggetta nell’amore e nella fedeltà (cfr. Ef 5,24), e che, infine, ha riempito per sempre di grazie celesti, onde potessimo capire la carità di Dio e di Cristo verso di noi, carità che sorpassa ogni conoscenza (cfr. Ef 3,19). Ma mentre la Chiesa compie su questa terra il suo pellegrinaggio lontana dal Signore (cfr. 2Cor 5,6), è come un esule, e cerca e pensa alle cose di lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio, dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, fino a che col suo sposo comparirà rivestita di gloria (cfr. Col 3,1-4)» (LG 6). Dalla coscienza sponsale della Chiesa ha origine la capacità della Comunità cristiana di portare in questo mondo «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5): se siamo consapevoli che l’opera di Cristo salva il mondo e che il suo Vangelo è vera speranza per gli uomini di ogni tempo, solo la coscienza di essere amati di un amore profondo, vero, fedele, ci darà la possibilità di assumere il cuore di Cristo e imparare a farci prossimi, ad annunciare il Vangelo della speranza e della gioia, a consolare e sostenere, a guarire e perdonare. Sant’Agostino mette sulle labbra di Cristo queste parole rivolte alla Chiesa: «Aprimi, tu che in virtù del sangue che ho versato per te sei mia sorella, in forza dell'unione che ho realizzato con te sei la mia amata, grazie al dono dello Spirito Santo sei la mia colomba, in virtù della mia parola che con maggior pienezza hai ascoltato nella tua meditazione sei la mia perfetta: aprimi e predicami»[12]. Predicare significa di fatto rendere presente l’azione di Cristo, quella di cui ha bisogno incessantemente il mondo. Commenta Benedetto XVI: «Come la santa senese – e noi aggiungiamo: analogamente alla Beata Colomba – ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama» (Udienza Generale, 24 novembre 2010)[13].

Il secondo aspetto è quello della città. Sponsalità il primo aspetto, città il secondo. Ha detto Papa Francesco: «Giovanni ci dice che nella Chiesa, sposa di Cristo, si rende visibile la “Gerusalemme nuova”. Questo significa che la Chiesa, oltre che sposa, è chiamata a diventare città, simbolo per eccellenza della convivenza e della relazionalità umana» (Udienza Generale, 15 ottobre 2014)[14]. Santa Caterina da Siena e la Beata Colomba, con un impegno serio ed instancabile per le città in cui vissero, divennero vere costruttrici di convivenza umana. Non è un caso che dietro a quella già citata petizione del 1627 non ci fossero tanto delle comunità religiose, quanto le realtà cittadine di Rieti e di Perugia; quest’ultima si diceva pure «obbligata a questa Beata»[15]. Di Caterina da Siena si ricorda la carità, quale elemento distintivo del principe da lei idealizzato, fonte unica della giustizia e dell’esercizio delle buone opere. Della nostra Beata gli agiografi ricordano lo sforzo di riconciliazione e concordia, nonché il ruolo di protezione dai mali sociali della divisione e della violenza. Non possiamo tralasciare di mettere in evidenza peraltro il ruolo della stessa istituzione cittadina, in quella frazione di Medioevo in cui ambedue, Caterina e Colomba, vissero: per l’uomo del Medioevo la città è un universo, un ambiente amico, contrapposto al contado, alla “non città”, simbolo di qualcosa di caotico ed oscuro. Già Sant’Agostino, nel De civitate Dei, si era posto in dialogo con Cicerone, avvertendo l’urgenza di passare da una mera res publica ad una res populi. Per il Santo di Ippona, che non mi stanco mai di citare, occorre una forma di “amore sociale” per far nascere un popolo, una concordia, per la quale l’accusa rivolta ai cristiani dopo il sacco di Roma del 410 si possa del tutto capovolgere: l’amore non soltanto non indebolisce le istituzioni e non destabilizza la sfera politica, ma ne rappresenta piuttosto il vero principio generativo[16]. Anche in questo tempo, in cui le nostre comunità stanno uscendo a fatica dal difficile periodo della pandemia, con la lacerazione di tanti legami in presenza e un individualismo che, per diverso tempo, ci è sembrato quasi fosse l’unica possibilità di sopravvivere. La Beata Colomba da Rieti ci fa sentire l’urgenza di vivere o rivivere relazioni giuste, vere, oneste; di impegnarci per la coesione sociale e il bene comune; di costruire o ricostruire luoghi abitabili, città al servizio dell’uomo, convivenze capaci di esprimere il bene, la cura e – temi ancor più caldi in questo momento – la pace, la fratellanza e l’amicizia sociale.

Ho voluto soffermarmi su questi due aspetti, proprio perché mi sembrano di assoluta attualità. E al contempo mi sono sembrate utili chiavi di lettura per comprendere l’accostamento fra Santa Caterina da Siena e la Beata Colomba, in quel documento del 1627. La loro è quella “santità al femminile”, che ha dato e continua ad offrire contributi forti alla presenza della Chiesa e all’efficacia della sua missione. Desidero quindi concludere con le parole di Papa Francesco: «La sensibilità attuale del mondo esige che siano restituite alla donna la dignità e il valore intrinseco di cui l’ha dotata il Creatore. L’esempio di vita di queste sante mette in evidenza alcuni elementi che delineano quella femminilità così necessaria nella Chiesa e nel mondo: la forza per affrontare le difficoltà, la capacità di concretezza, una naturale disposizione a essere propositive per ciò che è più bello e umano, secondo il piano di Dio, e una visione lungimirante del mondo e della storia – profetica – che le ha rese seminatrici di speranza e costruttrici di futuro»[17].

 

Perugia, Sala dei Notari, 12 ottobre 2022

 

Marcello Card. SEMERARO

 

 

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[1] M. Papalini, «La Causa di beatificazione e la tipologia dei miracoli di Colomba da Rieti», pp. 665-706.

[2] P. Monacchia, «Il processo di beatificazione del 1629-1630», pp. 789-847.

[3] Benedetto XIV, De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione, vol. II/1, cap. XXIV, par. I, Libreria Editrice Vaticana 2012, p. 445; in forma ridotta, lo stesso testo viene citato da F. Veraja, La Beatificazione. Storia, problemi, prospettive, S. Congregazione per le Cause dei Santi, Roma 1983, p. 77. Su questo punto specifico, si veda la nota 14 a p. 673 dell’opera che presentiamo.

[4] Archivio del Dicastero delle Cause dei Santi, Fondo Q (II) 114.

[5] Archivio del Dicastero delle Cause dei Santi, Positiones decretorum et rescriptorum, 6925.

[6] A. Bini, «Colomba da Rieti e Caterina Lenzi: la vita collegiale tra Siena e Perugia», pp. 367-387.

[7] Insegnamenti di Paolo VI, vol. VII (1969), Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1970, p. 939.

[8] Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena. Legenda maior, n. 115, Siena 1998.

[9] Insegnamenti di Benedetto XVI, VI/2 (2010), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, p. 905.

[10] Papalini, p. 704.

[11] Ildegarda di Bingen, Scivias. Il nuovo cielo e la nuova terra, a cura di Giovanna della Croce, Liberia Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, p. 159.

[12] Agostino, In Jo. ev. Tractatus, 57, 4: PL 35, 1791.,

[13] Insegnamenti di Benedetto XVI, VI/2 (2010), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, p. 906.

[14] Insegnamenti di Francesco, II/2 (2014), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016, p. 389.

[15] Archivio del Dicastero delle Cause dei Santi, Positiones decretorum et rescriptorum, 6925.

[16] Si può leggere, a questo proposito: Agostino, De Civitate Dei, XIX, 21, 1: PL 41, 649.

[17] Francesco, Messaggio ai partecipanti al Congresso internazionale interuniversitario sulle donne dottori della Chiesa e compatrone d’Europa, 1 marzo 2022.