Introduzione alla Giornata di studio su «Santità, matrimonio e famiglia»

 

Santità e Matrimonio

Introduzione alla Giornata di studio su «Santità, matrimonio e famiglia»

 

Il magistero del Concilio Vaticano II sulla vocazione universale alla santità e in particolare sulla vocazione dei laici (cf. Lumen Gentium, capp. IV e V), permette oggi di considerare in una nuova luce la santità vissuta nel matrimonio ed ecco che nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, Papa Francesco afferma che «ci sono molte coppie di sposi sante, in cui ognuno dei coniugi è stato strumento per la santificazione dell’altro» (n. 141). Poco più avanti il Papa indica nella Santa Famiglia l’esempio più alto: la «comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria» (n. 143). Ancora la scorsa domenica 15 maggio 2022, nell’Omelia per la canonizzazione di dieci Beati ha detto: «Sei sposato o sposata? Sii santo e santa amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa».

Tra le numerose cause di beatificazione di sposi, la Chiesa ha già riconosciuto la santità di alcuni. Nel XIX° secolo, ci sono gli esempi dei santi Luigi e Zelia Martin, genitori di santa Teresa di Lisieux, e dei venerabili Tancredi e Giulia, marchesi di Barolo. Nel XX° secolo, ci sono i beati Luigi e Maria Beltrame Quatrocchi e i venerabili Sergio e Domenica Bernardini. Questi sposi ci offrono la più alta teologia vissuta del Matrimonio e della famiglia.

La santità degli sposi è certamente la santità di due persone distinte, la santità personale di un uomo e di una donna; allo stesso tempo, però, è la santità comunitaria della coppia. Si tratta di due aspetti inseparabili della santità che debbono essere attentamente considerati allorquando si tratti di beatificazione degli sposi: l’aspetto personale e l’aspetto comunitario. Può, difatti, accadere che uno degli sposi sia santo e non lo sia, invece, l’altro: per questo si potrà pensare a santa Monica e al suo marito Patrizio, pagano e peccatore, che però alla fine si convertirà.

Pare, tuttavia, giunto il tempo di elaborare una teologia della santità di coppia come moltiplicazione e non semplice addizione della santità personale di ciascuno dei coniugi. Si tratta di proseguire – applicandola alla condizione inaugurata dal sacramento del Matrimonio – nella linea indicata da Francesco in suo recente discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quando ha detto che «la famiglia umanizza le persone attraverso la relazione del “noi” e allo stesso tempo promuove le legittime differenze di ciascuno. Questo, attenzione, è proprio importante per capire cosa è una famiglia, che non è soltanto un’aggregazione di persone» (Discorso del 29 aprile 2022).

Per avviare questa teologia della santità di coppia occorre, però, superare previamente alcune posizioni del passato e anche una visione alquanto individualistica della santità non del tutto ancora oggi scomparsa.

Per rimanere nell’ambito delle procedure per le Cause dei Santi, si potrà cominciare considerando ciò che nel De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione di Benedetto XIV si trova riguardo alle donne coniugate: per loro, rispetto al marito il Magister aggiunge la verifica della presenza di ulteriori doveri (specialia sanctitatis argumenta: mansuetudine verso il marito, la suocera e tutta la famiglia, modestia e indifferenza verso il mondo femminile, governo della casa…: cf. III/2, 37, 10: ed. LEV 2017, 282ss). Analogamente si dirà per la castità coniugale, laddove il Magister mentre ricorda «santi coniugi [che] conservarono illibata la verginità» richiama pure taluni comportamenti oggi assolutamente improponibili (cf. De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione III/1, 24, 57-58: ed. LEV 2015, 793-801).

Ho citato solo alcuni esempi. Se poi consideriamo nel suo complesso la dottrina di Benedetto XIV (e questo, ovviamente, non vale soltanto per la sua epoca, ma anche per quella successiva, almeno sino al Vaticano II) appare evidente l’idea che lo status matrimoniale pur non impedendo la santificazione, non è di per sé una configurazione della vocazione universale alla santità. Altrimenti detto, secondo il Magister (la cui dottrina ha guidato e tutt’ora, per molti aspetti, guida la prassi della Congregazione delle Cause dei Santi) è certamente possibile santificarsi nel matrimonio, praticando in esso le virtù cristiane e questo anche nella forma «eroica» sì da giungere alla beatificazione; non compare, però, nulla che faccia allusione al santificarsi mediante il matrimonio.

Si tratta, allora, di considerare anzitutto che il matrimonio è risposta a una vocazione e come tale è via di santità. In questa Pontificia Università, non è possibile non ricordare quel che san Josemaría affermava quasi un secolo fa. Nel 1939 egli scriveva: «Ridi perché ti dico che hai “vocazione matrimoniale”? Ebbene, l’hai: proprio così, vocazione» (Cammino, n. 27; cf. pure È Gesù che passa, nn. 22-30 che costituiscono l’omelia “Il matrimonio, vocazione cristiana”).

Quella alla vita matrimoniale è una vocazione di certo non meno esigente delle altre nella Chiesa. Nella lettera agli sposi del 26 dicembre 2021 scritta in occasione dell’Anno «Famiglia Amoris laetitia», al quale con questo incontro qui si dà conclusione, Francesco ha ricordato che «La vocazione al matrimonio è una chiamata a condurre una barca instabile – ma sicura per la realtà del sacramento – in un mare talvolta agitato. Quante volte, come gli apostoli, avreste voglia di dire, o meglio, di gridare: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (Mc 4,38). Non dimentichiamo che, mediante il Sacramento del matrimonio, Gesù è presente su questa barca. Egli si preoccupa per voi, rimane con voi in ogni momento, nel dondolio della barca agitata dalle acque».

In secondo luogo si potrà considerare la vita dei santi, che sempre ci offre modelli concreti e possibili. Abbiamo, per il nostro tema, dei casi esemplari già riconosciuti dalla Chiesa, ossia di sposi che hanno vissuto tutta la loro vita matrimoniale nella più perfetta unione e unità di Amore, nella grazia del sacramento del Matrimonio vissuta in continua crescita sino alla più alta santità. È un amore umano totalmente trasformato, trasfigurato e sempre rinnovato dall’Amore di Cristo, lo Sposo della Chiesa. Analogamente – si direbbe – all’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana, così la santità personale di ciascuno si mescola e si moltiplica con la santità dell’altro nella comune grazia del sacramento del Matrimonio.

Per dare a tutto un impianto sistematico si potrebbe cominciare col sottolineare che la santità cui tutti siamo chiamati è la perfezione della carità e che «il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui» (Lumen Gentium, nn. 40. 42). Sono queste le due dimensioni della carità, nelle quali è rispettivamente sperimentata una duplice presenza di Gesù: «dentro» l’anima (ossia la singola persona) e «in mezzo» ad una comunità di persone. D’altronde, chi dice: ««Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23) è lo stesso Gesù che ci dice: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

La prima forma della presenza di Gesù, col Padre e lo Spirito Santo, caratterizza la vita interiore della singola persona sicché, per ricorrere l’espressione simbolica di santa Teresa d’Avila, è come un Castello Interiore. La seconda modalità della presenza di Gesù «in mezzo», caratterizza a sua volta la vita comune della coppia, della famiglia, della comunità cristiana e di tutta la Chiesa. Secondo la Serva di Dio Chiara Lubich, è il Castello Esteriore della comunità, inseparabile dal Castello Interiore. Sono due Castelli comunicanti e non si può costruire l’uno senza costruire l’altro.

Ascoltiamo quello che scrive Chiara Lubich: «Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, parla di un “castello interiore”: la realtà dell’anima abitata al centro da Sua Maestà, da scoprire e illuminare tutto durante la vita superando le varie prove. E questo è un culmine di santità in una via prevalentemente individuale, anche se poi lei trascinava in quest’esperienza tutte le sue figliole. Ma è venuto il momento, almeno questa è la nostra vocazione, di scoprire, illuminare, edificare, oltre il castello “interiore”, anche il castello “esteriore”. Noi vediamo tutto il Movimento come un castello esteriore, dove Cristo è presente e illumina ogni parte di esso, dal centro alla periferia. E se pensiamo che questa nuova spiritualità che Dio dona oggi alla Chiesa arriva anche a responsabili della società e della Chiesa, comprendiamo subito che questo carisma non fa solo dell’Opera nostra un castello esteriore, ma tende a farlo del corpo sociale ed ecclesiale» (C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma 2002, 28-29).

Schematicamente: secondo Teresa d’Avila, la porta del Castello Interiore è l’orazione come relazione personale di amore con Cristo Sposo (cf. Castello interiore I, 7); per Chiara Lubich, la porta del Castello Esteriore è il patto di unità come impegno forte nell’amore del prossimo, amore reciproco.

Una delle modalità più alte di questo patto è evidentemente il sacramento del matrimonio. Così, negli sposi santi, vediamo un bellissimo riflesso del Mistero Trinitario, della distinzione delle Persone, della loro uguaglianza e della loro Unità nell’Amore.

È anche riflesso dell’unità di Cristo e della Chiesa nello Spirito Santo, e della Santa Famiglia di Nazareth dove Gesù è contemplato «in mezzo», tra Maria e Giuseppe, nel loro verginale e vero matrimonio (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Custos e Francesco, Patris Corde). Nella lettera agli sposi che ho prima citato, Francesco ha scritto: «essere due in Cristo, due in uno. Un’unica vita, un “noi” nella comunione d’amore con Gesù, vivo e presente in ogni momento della vostra esistenza. Dio vi accompagna, vi ama incondizionatamente. Non siete soli!».

In questa luce trinitaria e cristocentrica la carità matrimoniale dei santi sposi e genitori cristiani si mostra quale riflesso dell’Amore di Dio Padre, fonte di ogni paternità e maternità, e dell’Amore di Cristo Sposo, fonte di ogni sponsalità per l’uomo e per la donna.

Le sante coppie riconosciute dalla Chiesa ci mostrano delle realizzazioni diverse della santità matrimoniale. Così, i Marchesi di Barolo, ricchi e colti, mentre, non potendo avere dei figli, sperimentavano quella che per una coppia è la più grande povertà, al tempo stesso vivevano pienamente la loro paternità e maternità (generatività) beneficando i poveri e curando i sofferenti… ed è così che mentre ci sono alcuni «genitori» che non diventeranno mai padri e madri, vi sono, al contrario,  molti «padri» e «madri» che non hanno fisicamente generato.

Diversamente dai Marchesi di Barolo, gli sposi Bernardini erano dei poveri e semplici contadini, ma ebbero una grande ricchezza di dieci figli, rimasti tutti fedeli al Signore. Come pure gli sposi Martin, che hanno dato alla Chiesa la loro figlia, santa Teresa di Lisieux e allo stesso modo, una figlia degli sposi Beltrame Quattrocchi, Enrichetta, è stata dichiarata venerabile. C’è poi anche l’esempio di sposi e genitori martiri, uccisi insieme ai i loro figli: i Servi di Dio Jozef e Wiktoria Ulma durante la seconda guerra mondiale e i Servi di Dio Cyprien e Daphrose Rugamba al momento del genocidio nel Rwanda. In ambedue i due casi, il processo per la beatificazione include i figli, inseparabili dai genitori nel martirio.

Questi e altri esempi li ascolteremo fra poco nella «tavola rotonda» che seguirà. Faccio di cuore il mio augurio di buon lavoro.

 

Pontificia Università della Santa Croce – Roma, 26 maggio 2022

 

Marcello Card. Semeraro