L’odium fidei nel martirio del beato Giuseppe Puglisi

 

L’odium fidei nel martirio del beato Giuseppe Puglisi

Due giornate di studio e di riflessione sulla figura del beato don Pino Puglisi

 

Con la data del 28 giugno 2012 il papa Benedetto XVI dispose che la Congregazione delle Cause dei Santi promulgasse il Decreto sul martirio del Servo di Dio sacerdote Giuseppe Puglisi e stabilì che il solenne rito per la Beatificazione si celebrasse a Palermo il 25 maggio 2013. Per quella circostanza il nuovo papa Francesco indirizzò una Lettera Apostolica, dove si legge che don Puglisi fu «martire, pastore secondo il cuore di Gesù, testimone eminente del suo Regno di giustizia e di pace, seminatore evangelico di perdono e di pace». Di quell’evento oggi ricordiamo il X anniversario, insieme con quello del martirio a trent’anni dall’evento. Lo facciamo in occasione della ufficiale presentazione del volume che raccoglie le Omelie pronunciate dal Cardinale Salvatore De Giorgi nelle annuali celebrazioni eucaristiche dal 1996 al 2006, quand’era arcivescovo metropolita di Palermo.[1]

Il beato Puglisi non è certamente l’unico martire della storia della Chiesa, che anzi, come spesso ricorda papa Francesco, i martiri del nostro tempo sono ancora più numerosi di quelli dei primi secoli della storia cristiana. Lo ha ripetuto, ad esempio, nell’Udienza del mercoledì 19 aprile 2023 dove ha pure precisato che i martiri «non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, come fiori spuntati in un deserto, ma come frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa». Ha pure spiegato quale sia il dinamismo spirituale che anima i martiri: amano Cristo nella sua vita e lo imitano nella sua morte.

Così dicendo Francesco ha messo in luce la motivazione ultima del martirio, che è la carità. È la dottrina della Chiesa. San Tommaso d’Aquino, ad esempio, riecheggiando sant’Agostino afferma che, fra tutti gli atti virtuosi, il martirio è quello che maxime demonstrat perfectionem caritatis, «fra tutti gli atti virtuosi è quello che dimostra meglio la perfezione dell’amore».[2]

Il concilio Vaticano II riprenderà questa idea sicché in Lumen gentium il martirio è definito come «suprema testimonianza d’amore». Ne viene pure spiegata la ragione, poiché «il martirio rende il discepolo simile al suo maestro che accettò liberamente la morte per salvare il mondo, e lo conforma a lui nell’effusione del sangue; perciò il martirio viene stimato dalla chiesa come dono esimio e prova suprema di carità» (n. 42).

In breve, il martire cristiano non è uno che muore per un’idea, benché elevata, fosse pure per affermare la dignità dell’uomo, o la libertà, la solidarietà con gli oppressi… Tutti questi valori potranno senz’altro essere presenti e giocare un loro ruolo nell’evento martiriale. Il martire, però, muore con Qualcuno che è già morto precedentemente per lui e per amore di Lui.

Per avere, tuttavia, una definizione in senso proprio del martirio dovremo attendere l’opera maggiore di Benedetto XIV, il quale scrive che «il martirio è la sopportazione o la tolleranza volontaria della morte per la fede in Cristo o per un altro atto di virtù riferito a Dio».[3] Questo c’induce a qualche precisazione circa l’importanza dell’odium fidei nelle cause di martirio.

Punto di partenza sarà il celebre detto di sant’Agostino per cui martyres non facit poena, sed causa.[4] In altri termini, alla professione di fede da parte del martire deve corrispondere l’odium fidei da parte di chi procura la morte. È su questo secondo aspetto che fermo la mia attenzione, lasciando perciò da parte, come già accolta, la disposizione al martirio da parte del nostro Beato (ex parte victimae, come si dice in termini tecnici). Procediamo, dunque, per gradi.

 

A. Cosa, anzitutto, in una causa super martyrio, si intende per odium fidei, ossia di odio per la fede cristiana? Al riguardo già san Tommaso spiegava che non si tratta solo di essere messi a morte per la professione della fede fatta con le parole, ma pure per avere fatto una qualsiasi buona opera, o avere voluto evitare qualsiasi peccato, per amore di Cristo.[5]

Un esempio noto al riguardo potrà essere quello di Maria Goretti, uccisa a dodici anni avere difeso la sua castità: fu proclamata beata come martire il 27 aprile 1947 e poi canonizzata il 24 giugno 1950. Più recente il martirio della famiglia Ulma, beatificata il 10 settembre 2023. La Causa, in questo caso, fu il fatto di avere accolto e nascosto in casa la famiglia ebrea di Saul Goldmann composta di 8 persone quando c’era oramai stata la decisione di Hitler di attuare l’infame «soluzione finale». In questo caso la scelta di aiutare gli ebrei fu valutata alla luce del comandamento dell’amore e dell’esempio del buon samaritano.

Ciò premesso, in una causa super martyrio l’esistenza di un nesso fra l’uccisione di un fedele, o di un gruppo di fedeli cristiani e il motivo di fede deve sempre essere verificato e provato e questo pure nel caso si tratti di un delitto compiuto nel contesto di una persecuzione religiosa. Anche in tali evenienze, difatti, può accadere che siano intervenute altre ragioni di tipo politico o sociale, oppure vendette personali, ecc. Si terrà, dunque, conto di ciò per quanto dirò poco più avanti.

 

B. In secondo luogo, sempre, ma soprattutto nel nostro tempo e nel nostro caso, occorrerà tenere presente ciò che Benedetto XVI sottolineò in occasione di un incontro con la Congregazione della Cause dei Santi. Disse, infatti, che

i martiri di ieri e quelli del nostro tempo danno la vita (effusio sanguinis) liberamente e consapevolmente, in un supremo atto di carità, per testimoniare la loro fedeltà a Cristo, al Vangelo, alla Chiesa. Se il motivo che spinge al martirio resta invariato, avendo in Cristo la fonte e il modello, sono invece mutati i contesti culturali del martirio e le strategie ex parte persecutoris, che sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede cristiana o ad un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale.[6]

L’annotazione di Benedetto XVI, ossia che il persecutore sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede cristiana o ad un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale ci porta immediatamente nella tipicità della causa super martyrio del beato Puglisi. Per essa, difatti, dopo il primo che fu celebrato il 2 maggio 2006, al fine di chiarire la presenza dell’odium fidei si rese necessario un secondo Congresso peculiare, che si svolse il 10 ottobre 2006. In breve, ciò che occorreva meglio focalizzare era proprio la causa della sua uccisione, ossia il suo elemento formale. Qualcosa di analogo avvenne per la causa sul martirio di Rosario Angelo Livatino, beatificato il 9 maggio 2021.

 

C. In questo ultimo evento martiriale, difatti, accaduto anch’esso in terra di Sicilia, ebbe una sua rilevanza quanto il processo per la beatificazione di don Puglisi aveva già permesso di mettere in luce, ossia l’identità della mafia quale struttura di peccato, capace di uccidere se ostacolata nel raggiungimento dei suoi scopi. In tal modo si è giunti per la mafia ad una conclusione analoga a quella in generale riconosciuta alle persecuzioni comunista, spagnola, messicana, nazi-fascista.

Uno spartiacque per la maturazione di questa consapevolezza possono ritenersi le famose affermazioni fatte da Giovanni Paolo II ad Agrigento, il 9 maggio 1993, al termine della Santa Messa. Nella comprensione del carattere interno della mafia l’intervento di Giovanni Paolo II è da considerarsi decisivo.

Come annotava Benedetto XVI nel discorso che ho poco prima citato, è certamente necessario che l’odium fidei del persecutore «affiori direttamente o indirettamente, pur sempre in modo moralmente certo», come pure è necessario che in ogni caso siano cercate e trovate «prove inconfutabili sulla disponibilità al martirio, come effusione del sangue, e sulla sua accettazione da parte della vittima».

Se difatti mancano questi due elementi, non si avrà un vero martirio quale lo intende la stabile dottrina teologica e giuridica della Chiesa.

Verificata, al contrario, la presenza di questi due elementi, don Giuseppe Puglisi è stato dalla Chiesa dichiarato «martire, pastore secondo il cuore di Gesù, insigne testimone del suo Regno di giustizia e pace, seminatore evangelico di perdono e pace».[7]

 

Università LUMSA – Roma, 12 dicembre 2023

 

Marcello Card. Semeraro

 

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[1] S. De Giorgi, Il Beato Giuseppe Puglisi. La voce del sangue, Ed. We can Hope, Palermo 2023.

[2] S.Th. II-II, q. 124, a. 3r.

[3] De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, III/1, cap. 11, n.1.

[4] Enarrationes in Psalmos, 34, 2, 13: PL 36, 340.

[5] Cf. S.Th. II-II, q. 124. a. 5 ad 1.

[6] Lettera ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi, 24 aprile 2006.

[7] Francesco, Lettera apostolica per la beatificazione del Venerabile Servo di Dio sacerdote Giuseppe Puglisi, 25 maggio 2013.