Mandato missionario

 

Mandato missionario

 

Praedicate Evangelium: è il primo servizio che la Chiesa può rendere all’intera umanità nel mondo moderno

 

Che per la Curia romana si sia reso necessario un processo di riforma non deve meravigliare. Se, in effetti, c’è una realtà cui s’adatta pienamente l’adagio latino semper reformanda, questa è proprio la Curia romana. In fase di redazione della nuova Costituzione apostolica apparve subito la necessità di individuare un principio ispiratore e lo si cercò alla luce di Evangelii gaudium, cui Francesco aveva esplicitamente dato un significato programmatico, confidando la sua speranza che tutte le comunità si adoperassero fattivamente «per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno», perché «ora non ci serve una “semplice amministrazione”» (n. 25).

Il titolo scelto per la Costituzione apostolica risponde precisamente a questa ispirazione. L’espressione Praedicate Evangelium è tratta da Mc16,15: un mandato, quello missionario, che come aveva scritto Giovanni Paolo II in Redemptoris missio, costituisce «il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità nel mondo odierno» (n. 2).

C’è, tuttavia, un altro elemento da indicare: qual è, per la Curia, il primo significato di una “riforma”? Ciò in considerazione dell’ormai comune convinzione che la “riforma” è una dimensione costitutiva della Chiesa stessa. Per spiegarlo, nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2016, Francesco riprese l’adagio latino: deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare. Si tratta di tappe progressive che richiamano il percorso delle quattro settimane degli Esercizi spirituali ignaziani.

In tutti questi passaggi la parola “forma”, con le diverse accezioni denotate dai diversi prefissi, ha il significato di un lasciarsi plasmare da Dio, come in principio egli fece con Adamo. A questo processo allude la parte conclusiva del Preambolo della Praedicate Evangelium, dove si legge che «la riforma della Curia romana sarà reale e possibile se germoglierà da una riforma interiore». Vale, infatti, anche per la Curia ciò che è scritto in Evangelii gaudium: «La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (n. 27).

Nel discorso del 22 dicembre 2016 alla Curia, Francesco richiamò ben dodici criteri-guida della riforma: individualità, pastoralità, missionarietà, razionalità, funzionalità, modernità, sobrietà, sussidiarietà, sinodalità, cattolicità, professionalità e gradualità.

Vale la pena soffermarsi almeno su alcuni. Il principio della pastoralità, anzitutto, che per Francesco è strettamente connesso alla caratteristica della Curia romana di essere comunità di servizio, ossia comunità di persone che nel loro operare incontrano persone e trattano di persone. Il che è l’esatto contrario della “burocrazia”. «Dietro le carte ci sono persone», disse Francesco, citando un ammonimento di Paolo VI. Per Francesco è proprio la pastoralità, con la sua spiritualità di servizio, l’antidoto contro tutti i veleni della vana ambizione e dell’illusoria rivalità. Nella stessa prospettiva della pastoralità si leggerà l’inserimento di quello per il Servizio della carità nel complesso dei Dicasteri curiali: intende mettere in luce che il servizio dell’amore del prossimo, esercitato ordinato e organizzato, è una struttura fondamentale della Chiesa. Altro principio guida è quello della missionarietà, insito nello stesso titolo della costituzione apostolica e già implicito in Evangelii gaudium n. 26: «Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo». Al principio della missionarietà è collegato quello della decentralizzazione, anch’esso anticipato da Evangelii gaudium: «Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria» (n. 32; cf pure n. 36).

Al principio della missionarietà risponde la scelta di coinvolgere laiche e laici anche in ruoli di governo e di responsabilità della Curia romana. Al riguardo il Preambolo asserisce: «Il Papa, i vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. [...] Ogni cristiano, in virtù del battesimo, è un discepolo missionario “nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù”. Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia» (n. 10).

Tale scelta, seppure timidamente, fu auspicata dal Vaticano II (cf Christus Dominus, n. 10) sicché, pensando oggi a questa istanza conciliare, tornano alla memoria le parole di Francesco nel dialogo privato che ebbe il 23 settembre 2018 coi gesuiti dei Paesi baltici: «Sento che il Signore vuole che il Concilio si faccia strada nella Chiesa. Gli storici dicono che perché un Concilio sia applicato ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada. Dunque, se vuoi aiutarmi, agisci in modo da portare avanti il Concilio nella Chiesa. E aiutami con la tua preghiera. Ho bisogno di tanta preghiera».

 

Marcello Card. Semeraro

 

Articolo apparso sul mensile "Vita Pastorale", N.9 ottobre 2022, pagg. 20-21