Presentazione del volume «Omaggio a Pio X. Ritratti coevi» di Mons. Lucio Bonora

 

Negli occhi di un Pontefice il volto della Chiesa

Presentazione del volume «Omaggio a Pio X. Ritratti coevi» di Mons. Lucio Bonora

 

Giorni or sono L’Osservatore Romano ha pubblicato un articolo, accompagnato da immagini, nel quale si riferisce di un fumetto di circa cinquanta pagine nel quale, con un linguaggio adatto anche e soprattutto ai più piccoli, narra la storia di un uomo che «dalla campagna veneta arriva sino al soglio pontificio, rimanendo uno spirito libero e semplice, profondamente vicino ai poveri e ai bisognosi fino alla fine del suo ministero». Tornerò più avanti su questo aspetto, ma sicuramente avrete compreso che si tratta di san Pio X (Claudio Bandoli e Davide Nordio, Pio X. Un Papa di campagna, Treviso 2023; cf. L’Osservatore Romano del 6 maggio 2024, p. 8). Le immagini del fumetto sono ben diverse dalle centinaia di illustrazioni inserite in questo poderoso e ponderoso volume frutto dello studio intelligente, dell’attenzione, della cura e…anche della pazienza di Mons. Lucio Bonora, che questa sera ho l’onore di presentare.

Inizio, dunque, con due annotazioni che egli stesso scrive nella sua Introduzione. La prima è che l’intera opera è concepita come un percorso, «un ideale cammino che parte dalla sua [di san Pio X] infanzia e giunge alla sua maturità umana e sacerdotale, fino alla sua santa morte, quale ci è consegnato dai ritratti che lo rappresentarono» (p. 29). La seconda annotazione è interna, direi, alle tante raffigurazioni in ciascuna delle quali – cito ancora Mons. Bonora – «possiamo cogliere un guizzo o un intuito che l’artista ha potuto rilevare di Giuseppe Sarto e che ci ha trasmesso con lo studio e le abilità che poteva possedere» (p. 26). Sono osservazioni molto importanti, che hanno delle conseguenze nello stesso lavoro di Mons. Bonora. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che, nel percorso illustrativo, egli accompagna le illustrazioni con testimonianze di persone che in quella fase della vita gli sono state vicine e degli stessi autori delle opere. Tuttavia, ciò che ogni volta è prezioso – e questo non soltanto perché è informativo e illustrativo, ma perché introspettivo – è proprio il commento col quale Mons. Lucio accompagna ogni illustrazione. Da ogni pagina traspaiono la fatica dell’indagine, l’attenzione dello studio, la passione della ricerca, la commozione della scoperta. E traspaiono pure le rinunce che da uno studio così completo e diligente sono derivate. È una dedizione che soltanto l’amore rende comprensibile. Amore per chi? Per un grande personaggio? Per un conterraneo? Qui si tratta di un Papa e si tratta, perciò di amore per la Chiesa.

Sfogliando le pagine del volume, alla p. 436 ho veduto la riproduzione dell’olio su tela – opera di grandi dimensioni (cm. 150 x 123) – che quotidianamente è davanti ai miei occhi, nella sede del mio attuale impegno ministeriale nel Dicastero delle Cause dei Santi: il Pio X di Otto Hierl-Deronco. L’immagine è imponente, ma probabilmente non trasmette a chi l’osserva l’animo del Papa. Ecco un giudizio sulle opere del pittore bavarese: «manca in queste figure la soavità di quello sguardo, di quel sorriso che non si possono dimenticare» (p. 437). E anche del ritratto di cui sto parlando (che ora non è più, come indicato a p. 436, nel Palazzo San Callisto, bensì nel sala di accoglienza del Dicastero delle Cause dei Santi) si legge: «… ma il volto di Pio X, pur connotato da una amabile paciosità, non pare consegnarci le vere espressioni del Papa o quanto meno esse vennero trasfigurate dal pittore» (p. 438).

Ed eccomi portato ad un punto che è fondamentalmente ciò su cui Mons. Lucio Bonora mi ha chiesto di portare la comune attenzione: Negli occhi di un Pontefice il volto della Chiesa. Che gli occhi siano lo specchio dell’anima è un detto comune fin dall’antichità. Fra i padri della Chiesa, sant’Agostino diceva che il pensiero è nelle menti com’è lo sguardo negli occhi e proseguiva: «Non è lo stesso avere gli occhi e guardare, ed egualmente non è lo stesso guardare e vedere. Pertanto l'anima ha bisogno di tre disposizioni: che abbia occhi di cui possa bene usare, che guardi, che veda. Occhio dell’anima è la mente immune da ogni macchia del corpo, cioè già separata e purificata dai desideri delle cose caduche» (Soliloqui, I, 6, 12: PL 32, 876). Sotto un aspetto umano, guardando le riproduzioni presenti in questo volume e soprattutto le foto lo sguardo di Giuseppe Sarto è abitualmente uno sguardo sereno, rivolto in avanti.

Già nelle prime pagine del volume si riportano alcune righe di Henri Des Houx in un articolo del 9 novembre 1909: «Sebbene i suoi occhi siano grandi, non fissano, né penetrano l’interlocutore, piuttosto sembrano rivolti all’interiorità dell’anima per trarne ispirazione. L’espressione generale è dolce e buona, ma non paternalistica o timida. Al contrario rileva molta energia e volontà…» (p. 25). Considerando le tante foto e riproduzioni, si dirà che talvolta quello di Pio X è uno sguardo pensoso, come nella tela di Vittorio Pittaco, che lo riproduce vescovo di Mantova (cf. pp. 80-82), o in quella di Orazio Gaigher conservata nella Nunziatura di Washington, per la quale si parla di «mite espressione unita ad una profonda serietà e lo sguardo di paziente sofferenza» (p. 445). Nella riproduzione dell’opera di Henry Jones Thaddeus (cf. p. 193) il Papa appare con lo sguardo verso l’orizzonte, pensoso, ma quasi sorridente. Lo stesso pittore osservava: «A riposo il suo volto è triste, quasi severo, ma quando si accende con un piacevole sorriso, la radiosità della sua espressione tralascia ogni traccia di tristezza e abbellisce l’effettiva semplicità dei suoi lineamenti» (p. 195).

Il tema indicatomi da Mons. Bonora, però, chiede di individuare negli occhi di un Pontefice il volto della Chiesa e, a questo punto, la cosa diventa ancora più impegnativa. Vorrei, allora, cominciare col riferire ciò che han detto due Papi, successori di san Pio X. Il primo è Pio XII. Nel discorso che egli tenne in piazza San Pietro la domenica 3 giugno 1951, giorno della beatificazione, disse fra l’altro: «Quanti rivedono ancora col pensiero, come lo rivediamo Noi stessi, quel volto spirante una bontà celeste!». Procedendo nel suo dire, Pio XII aggiunse: «Col suo sguardo d’aquila più perspicace e più sicuro che la veduta corta di miopi ragionatori, vedeva il mondo qual era, vedeva la missione della Chiesa nel mondo, vedeva con occhi di santo Pastore quale ne fosse il dovere in seno ad una società scristianata, ad una cristianità contaminata o almeno insidiata dagli errori del tempo e dalla perversione del secolo». Ecco una prima corrispondenza al tema richiestomi da Mons. Bonora.

La seconda la colgo da un altro Papa, questa volta quando ancora non era salito alla cattedra di Pietro, ma, a Milano, era successore di sant’Ambrogio. Parlo – l’avrete compreso – di Paolo VI. È un passo che traggo da uno dei suoi primi discorsi fatti da arcivescovo di Milano, quando, però, non era ancora stato ordinato vescovo. Lo tenne a Roma nella chiesa di sant’Ivo alla Sapienza, il 21 novembre 1954. Lì G. B. Montini rievocò gli anni in cui era stato assistente della FUCI e la percezione del volto nuovo ed antico della Chiesa. Disse: «abbiamo capito che per essere cristiani e per vivere in completezza ed il pienezza di gioie questo grande evento spirituale che si era inaugurato nell’anima nostra, non occorreva mutuare da altri e al di fuori della Chiesa le forze per cui la Chiesa poteva opporsi, ringiovanirsi e rifarsi. La Chiesa ha fatto storicamente tanti sforzi, alleanze, compromessi, concordati ecc. per trovare, dicevano alcuni critici superficiali, chi la sostenesse… Ma con Pio X la Chiesa ha guardato in se stessa e ha esplorato profondamente le proprie radici, è scesa nella profondità dei tesori che Cristo le ha dato, ha detto: “Di tutto questo, si, ci potrà essere bisogno per avere contatti esterni, ma io vivo di me, ma io ho in me una tale polla di forze, ho una sorgente di vita, di luce, che non ho bisogno di andare al di fuori; basta che io faccia appello a me stessa e che senta interiormente in me”» (Discorsi e Scritti Milanesi, I, Istituto Paolo VI, Brescia 1997, pp. 15-16).

Montini alludeva alla questione francese, che fu origine di ansia e di dolore. In proposito, nella sua testimonianza al processo ordinario romano per la beatificazione (1923-1931) il card. Rafael Merry del Val, che da 1903 al 1914 fu Segretario di Stato di Pio X, disse: «Il Servo di Dio desiderava avere buone relazioni con tutti i Governi. Però, dove si trattava della difesa della religione era irremovibile con tutti». Riferendosi poi alla questione francese disse che il Papa tutti sentiva, ma alla fine, additando il Crocifisso  diceva: «Deciderò quando me lo dirà Lui» (Positio super introductione causae [1942], pp. 191-192). Analoga è la testimonianza di don Giuseppe Pescini, sacerdote veneziano chiamato a Roma come segretario privato dal nuovo papa Pio X. Quando, un giorno, gli riferì in privato che alcuni cardinali non condividevano le sue scelte nella questione francese, ebbe questa risposta: «“So tutto questo: so che dicono che io non capisco niente; non me ne importa…” Poi indirizzando la penna che aveva in mano verso il Crocifisso che aveva innanzi soggiunse: “Io non ho che una via…un punto di vista… Lo vedi, io vado diritto verso di Lui”» (Ibid., p. 107).

Il volume di Mons. Bonora è introdotto e impreziosito da una Lettera di papa Francesco che comincia col ricordare la sua devozione verso san Pio X e l’usanza che aveva, all’epoca in cui era arcivescovo di Buenos Aires, di celebrare nel giorno della sua memoria anche la festa dei catechisti. Chiama san Pio X «papa mite e forte», «umile e chiaro», «Papa che desiderava stare con i piccoli, i poveri, i bisognosi, i terremotati, gli svantaggiati e con quanti soffrivano per calamità naturali o per gli stenti della vita».

È proprio con questo volto della Chiesa dei poveri e dei sofferenti, che, come ho accennato in principio parlando del fumetto, desidero concludere il mio intervento perché è soprattutto questo il volto della Chiesa che si riflette negli occhi di san Pio X. Per questo, cogliendo l’opportunità offertami dal mio attuale ministero, attingerò alle fonti del processo per la beatificazione e canonizzazione.

La sua carità e attenzione di Pio X verso i poveri, quale ministro di Cristo e della Chiesa, si manifestò subito fin da quando era giovane sacerdote. Nella sua deposizione, la sorella Maria Sarto ricorda quando a Salzano si manifestò il colera e il parroco «nulla tralasciò per il bene spirituale e anche materiale dei suoi figliani: li assistette tutti, li visitò spesso e dopo morti li accompagnò di notte al Cimitero. Li esortava a prendere le medicine prescritte dai medici, e siccome gli infermi si mostravano diffidenti non solo di prendere tali medicine, ma persino il vino, credendolo anch’esso avvelenato, egli per rassicurarli prendeva un poco di vino con essi… I poveri si rivolgevano a lui, ed egli segretamente somministrava loro quel che poteva, ed a noi di famiglia imponeva di dare farina e legna, qualche scodella di brodo ecc. Per far tutto questo, spesso trascurava se stesso, omettendo anche di fare le spese necessarie. Una volta gli facemmo notare che aveva bisogno di una veste, ed egli ci rispose: “Non ho soldi”» (Positio cit., pp. 34-35). L’altra sorella del Papa, Anna Sarto, riferisce un simile episodio dell’episcopato mantovano: «Essendoci noi accorte, quando era Vescovo, che dava in elemosina la sua biancheria personale, lo consigliammo di dare l’incarico a noi di comprarne di più grossolana: Egli acconsentì e noi spesso ne comperammo, perché la distribuisse a chi gliela chiedeva. Essendo vescovo a Mantova, ricordo che qualche volta ci fece dare il brodo ai malati, dicendo che per noi si poteva allungarlo con l’acqua…» (Positio cit., p. 691).

Nella sua Prefazione al volume di Mons. Bonora papa Francesco accenna pure alla carità di san Pio X in occasione di un terremoto. Il riferimento è al terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. Al riguardo c’è un apposito e accurato studio pubblicato nel 2010 sulla rivista Claretianum (cf. Alejandro Mario Dieguez, Pio X, gli Istituti Religiosi e gli orfani del terremoto calabro-siculo del 1908, in «Claretianum», I (L)/2010, pp. 153-224) che s’introduce proprio con la riproduzione di una illustrazione di Achille Beltrame ne La Domenica del Corriere di Milano, 26 dicembre 1909 - 2 gennaio 1910, che riproduce Il Papa fra gli orfani. La ricerca riguarda l’opera di assistenza agli orfani e alle orfane del terremoto calabro-siculo istituita da papa Giuseppe Sarto, continuata poi da Benedetto XV a favore dei piccoli sopravvissuti al terremoto di Avezzano del 1915 e di quelli dell’epidemia influenzale, detta spagnola, del 1918-1919.

In questo ampio e dettagliato studio si ricorda che «mentre a Roma le istituzioni statali, filantropiche e cattoliche incominciavano a organizzare i primi soccorsi, Pio X andava maturando una decisione che, se attuata, avrebbe senz’altro suscitato scalpore: uscire dalla “reclusione” del Vaticano e recarsi personalmente sui luoghi del disastro. A tale scopo aveva inviato il suo segretario particolare, don Giovanni Bressan, da un dirigente delle Ferrovie dello Stato, veneto di origine e buon cattolico, affinché gli mettesse a disposizione un “carrozzone”. Purtroppo, il Segretario di Stato Merry del Val ed altri cardinali di curia, venuti a conoscenza delle trattative in corso, riuscirono a distogliere dal progetto il pontefice, il quale, si dice, in seguito «ebbe a dolersi di essersi lasciato convincere. Papa Sarto dovette perciò accontentarsi di guidare i soccorsi “a distanza”: i suoi primissimi provvedimenti furono quindi lo stanziamento di 100.000 lire, l’apertura dell’ospizio di S. Marta ai feriti e l’invio, già dal 2 gennaio 1909, di una commissione sui luoghi del terremoto per “mostrare ai desolati superstiti tutto il suo vivo interessamento e per essere direttamente informato delle tristissime condizioni locali”, e per prendere accordi colle autorità ecclesiastiche locali “sulle modalità di provvedere, per quanto è possibile, ai più stringenti bisogni attuali, specialmente di ordine religioso”. Successivamente, il 7 gennaio, Pio X inviò il canonico reggiano Emilio Cottafavi, con l’incarico di procedere all’imbarco degli orfani e dei feriti sul vapore “Cataluña”, messo a disposizione del pontefice dall’armatore spagnolo Claudio López Brou de Comillas e allestito come nave ospedale per il trasporto dei feriti all’ospizio di S. Marta. La nave, arrivata in ritardo per un’avaria, dopo mille peripezie tecniche ed ostacoli burocratici riuscì a imbarcare 200 orfani che giunsero al porto di Civitavecchia solo il 1° febbraio» (o.c. p. 156-157). Nell’opera di soccorso il Papa coinvolse presto don Luigi Orione, il fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, nominandolo Vicario Generale della diocesi di Messina. Don Orione sarà beatificato nel 1980 e poi canonizzato nel 2004 da san Giovanni Paolo II.

Un efficace collaboratore di Pio X in quest’opera fu Giuseppe Fornari (Roma 23 settembre 1868 – Nettuno 28 settembre 1942), già presidente del Circolo di S. Pietro, che il 20 maggio 1909 ebbe dal Papa l’incarico di occuparsi dei fanciulli e delle fanciulle superstiti del terremoto di Sicilia e Calabria e ricoverati dalla munificenza pontificia nei diversi istituti. Nella sua deposizione nel processo canonico per la Beatificazione e Canonizzazione ricordò che quel terremoto coincise con il Giubileo sacerdotale di Pio X e commenta: «Se il Servo di Dio aveva voluto che la Giubilare ricorrenza fosse celebrata in opere di preghiera e di carità, tanto più allora immediatamente volle che la carità mondiale fosse rivolta tutta al sollievo di quelle infelici popolazioni…» (Positio cit., p. 274). La testimonianza prosegue col ricordo delle disposizione opportunamente date dal Papa agli Istituti di Roma e d’Italia per sovvenire in quelle emergenze.

La carità del Papa, però, era prevalentemente riservata e conservata segreta. Il sig. Francesco Rosa, che conobbe Pio X all’epoca dell’episcopato a Mantova ma poi risiedette in Roma, nella sua deposizione per il processo canonico riferì questo episodio: «Mi fece scrivere sopra un foglio un indirizzo sotto sua dettatura e vi mise dentro seimila lire, poi mi raccomandò di prendere una carrozzella e di portarle subito a destinazione dicendomi: “Consegnale e scappa”. Mi impose di non palesare mai la persona soccorsa. Andai e trovai una persona quasi disperata, la quale non mi voleva aprire neppure la porta, ma che si rasserenò appena sentì che mi mandava il Papa. La sera dopo ritornai dal Servo di Dio per dirgli che mi pareva di non essermi sbagliato. Ed egli mi disse: “Vedi che è arrivato come lo zucchero sulle fragole”» (Positio cit., pp. 733-734).

Ho citato questi episodi perché anche questi ci aiutano a vedere quale volto di Chiesa c’è stato negli occhi di san Pio X. Normalmente di lui si ricordano le grandi scelte del pontificato. Alla luce del suo motto Instaurare omnia in Christo (Rinnovare tutte le cose in Cristo) si ricordano la riorganizzazione della Curia Romana e l’avvio dei lavori per la redazione del Codice di Diritto Canonico (poi promulgato da Benedetto XV). Altri ambiti importanti di intervento furono la revisione degli studi e dell’iter di formazione dei futuri presbiteri e questo pure con la fondazione in Italia di vari Seminari regionali, e anche la formazione dottrinale del Popolo di Dio: si pensi al Catechismo chiamato di Pio X che per molti anni, a motivo del suo linguaggio semplice, chiaro e preciso e per l’efficacia espositiva, è stato una guida sicura nell’apprendere la dottrina cristiana. Molta attenzione Pio XI dedicò alla riforma della Liturgia e, in particolare, della musica sacra. Decisiva per la formazione cristiana fu la scelta di anticipare la Prima Comunione dei bambini verso i sette anni di età, «quando il fanciullo comincia a ragionare» (cf. Decreto Quam singulari: AAS 2 [1910], p. 582). C’è poi il suo intervento deciso con la condanna del Modernismo, per difendere i fedeli da concezioni erronee e promuovere un approfondimento scientifico della Rivelazione in consonanza con la Tradizione della Chiesa.

Questi sono alcuni riferimenti fondamentali del suo pontificato, uniti all’ultimo appello per la pace lanciato il 2 agosto 1914 per esprimere «l’acerbo dolore» dell’ora presente, era il grido sofferente del padre che vede i figli schierarsi l’uno contro l’altro. In principio del mio intervento riportavo l’osservazione di Mons. Bonora sul fatto che ogni artista ha colto un guizzo di ciò che san Pio X trasmetteva di sé con la sua presenza. Permettete allora con una proposta per voi, che guarderete le sue immagini raccolte in questo bel volume: non mancate di riconoscervi ciò che pure Benedetto XVI ha indicato come le caratteristiche di tutta la sua vita e che sono l’umiltà e semplicità e la grande carità verso i più bisognosi (cf. Udienza generale del 18 agosto 2010).

 

Treviso, Sala Ducale dell’episcopio, 10 maggio 2024

 

Marcello Card. Semeraro