Presentazione della miscellanea Sui sentieri di Amoris Laetitia. Svolte, traguardi e prospettive

 

“Il discernimento in Amoris Laetitia”

Presentazione della miscellanea

Sui sentieri di Amoris Laetitia. Svolte, traguardi e prospettive

 

Il tema del discernimento è certamente uno degli assi portanti di AL. Ne è ulteriore conferma il volume che oggi presentiamo, esito del Corso di alta formazione promosso dalla Facoltà Teologica Pugliese per l’anno accademico 2021/2022, una riflessione che, composta da molte voci, potremmo definire “sinodale”.

Nella Prefazione alla miscellanea, che il curatore Roberto Massaro mi ha chiesto, ho desiderato soffermarmi su questo aspetto del discernimento, anche perché ad esso mi sto dedicando ormai da anni, fin da quando, dopo la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, alla pubblicazione del documento, volli rifletterci attentamente insieme ai sacerdoti e agli operatori pastorali della Diocesi di Albano[1].

 

La necessità del discernimento

La parola “discernimento” è presente moltissime volte in AL: nei suoi 9 capitoli, se ne contano 32 ricorrenze.

La ragione di una tale insistenza diviene particolarmente emergente di fronte a tutte quelle situazioni, che il linguaggio canonistico cataloga come “irregolari” e che, oggi più che mai, urgono risposte adeguate da parte della Chiesa. L’esortazione ne ricorda alcune: «la scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza» (n. 294) e «i divorziati che vivono una nuova unione» (n. 298).

Ogni situazione merita un approccio specifico, cui il discernimento conferisce una possibilità costruttiva, ossia la ricerca del come trasformarle, se possibile e con rispetto, in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo (cf. n. 293).

C’è, però, un altro elemento di cui è necessario tener conto – l’ho voluto richiamare anche nella Prefazione – ed è che «l’ideale pieno del matrimonio» (cf. nn. 307-308), considerati i limiti e le fragilità della condizione storica, può essere vissuto dai coniugi solo incompiutamente. Non si tratta quindi soltanto di considerare gli elementi di imperfezione presenti nelle situazioni di irregolarità, quanto più di evidenziare come, stante il già e non ancora che caratterizza la nostra fase storico-salvifica, «nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare» (n. 325). Lungo lo scorrere della storia e, d’altra parte, proprio perché sacramento, lo stesso matrimonio è «segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa» (n. 72).

Sulla necessità di riscoprire il valore del discernimento come elemento essenziale della prassi pastorale della Chiesa, Papa Francesco – che peraltro sta dedicando all’argomento le catechesi delle Udienze generali del mercoledì – si è espresso, con la consueta chiarezza, anche nel 2016, incontrando un gruppo di gesuiti in Polonia. Ha detto allora: «Oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento, nella capacità di discernere. E soprattutto i sacerdoti ne hanno davvero bisogno per il loro ministero. (…) Bisogna formare i futuri sacerdoti non a idee generali e astratte, che sono chiare e distinte, ma a questo fine discernimento degli spiriti, perché possano davvero aiutare le persone nella loro vita concreta. Bisogna davvero capire questo: nella vita non è tutto nero su bianco o bianco su nero. No! Nella vita prevalgono le sfumature di grigio. Occorre allora insegnare a discernere in questo grigio»[2].

Di cosa si occupa il discernimento? Il discernimento ha lo scopo di individuare il bene possibile. Non il bene soltanto, ma il bene possibile. AL riporta dunque la questione su un piano diverso da quello della norma generale di tipo canonico/giuridico, applicabile in tutti i casi. L’Esortazione apostolica preferisce piuttosto «un responsabile discernimento personale e pastorale di casi particolari» (n. 300). Questo almeno per due ragioni.

La prima sta nel rapporto fra norma generale e casi particolari. Al n. 304 di AL si cita San Tommaso, che nella Summa ha scritto: «quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione»[3]. Continua AL: «È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» (n. 304).

La seconda ragione rimanda alla consolidata dottrina della Chiesa, riguardo ai condizionamenti e alle circostanze attenuanti, che influiscono sulla capacità di decisione e ne diminuiscono – talvolta perfino annullano – la responsabilità del soggetto e la piena imputabilità del peccato. A tale proposito, il n. 302 dell’Esortazione apostolica sviluppa la riflessione sulla base del n. 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica, dove si legge: «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali». Elenca poi alcune delle circostanze che attenuano la responsabilità morale: «l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali». Conclude: «Un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta».

 

I tre momenti del discernimento

Una volta definite le ragioni del discernimento, AL sembra distinguere tre momenti, strettamente connessi l’uno all’altro, ma non perfettamente identici.

Il primo momento è il discernimento morale, nel quale si cerca di conoscere la volontà di Dio a livello generale, affinché cioè sia valida per tutti. Lo scopo del discernimento morale è riconoscere ciò che è bene per farlo e identificare ciò che è male per evitarlo. Il discernimento morale – potremmo dire – è come un faro, che indica al navigante la rotta da percorrere.

Su questa base, il discernimento pastorale – è il secondo momento – ha lo scopo di aiutare la persona a conoscere la situazione nella quale si trova, quanto sia lontano o vicino all’ideale, alla meta da raggiungere. Il discernimento pastorale aiuta pure a muovere i primi passi nella giusta direzione. Il n. 300 dell’Esortazione apostolica presenta un’ampia esemplificazione, valida per un buon «esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento».

L’ambito appropriato e privilegiato per questo discernimento pastorale è il foro interno, il colloquio col sacerdote, la guida spirituale e, in senso stretto, la celebrazione del sacramento della Penitenza (n. 300). Ciò significa che il discernimento non coincide in tutto e per tutto con la celebrazione della Penitenza: il discernimento è ben più ampio: è un cammino graduale, nel quale la guida spirituale accompagna le possibili tappe di crescita delle persone, che si vanno costruendo giorno dopo giorno.

Si tratta, in altre parole, di quella che la Tradizione della Chiesa, fin dai tempi antichi, ha identificato come arte pastorale[4]. L’espressione – l’ho già ricordato in più contesti – si trova nell’Orazione seconda di San Gregorio di Nazianzo, il quale ne enuncia pure il principio (logos): quello della «differenziazione» o «variabilità» (diaphoros) che, come nell’arte medica, permette di differenziare il medesimo farmaco da persona a persona, valutando ogni volta circostanze, età, situazioni varie e carattere dei pazienti. Gregorio dice pure che occorre esaminare il giusto mezzo, ad esempio distinguendo tra coloro che sono avanti nella vita spirituale e quelli ancora vi sono solo indirizzati. In un’ultima analisi, si tratta ancora di fare discernimento: tutto, alla fine, è affidato alla perspicacia e all’esperienza.  Dice ancora il Nazianzeno: «Definire a parole e abbracciare con la più rigorosa esattezza tutti questi elementi, per riassumere in sommi capi la nostra medicina, è impossibile, anche se qualcuno è capace di raggiungere la più alta cura e perspicacia. Invece, nell’esperienza stessa e nei fatti, tali elementi appaiono chiaramente all’arte medica e al medico»[5].

Sant’Alfonso Maria de' Liguori, nella sua Pratica del confessore, scriveva a sua volta: «Bisogna avvertire quel che scrisse San Gregorio, che l’ufficio di guidare le anime per la vita eterna è l’arte delle arti: ars artium regimen animarum. Alcuni, che si vantano di essere letterati e teologi d’alto rango, sdegnano di leggere i moralisti, che chiamano col nome (presso loro d’improperio) di casisti. Dicono che basta, per confessare, possedere i principi generali della morale, poiché con quelli possono sciogliersi tutti i casi particolari. Chi niega che tutti i casi si hanno da risolvere coi principi? Ma qui sta la difficoltà: in applicare a’ casi particolari i principi che loro convengono. Ciò non può farsi senza gran discussione delle ragioni che sono dall’una e dall’altra parte; e questo appunto è quello che han fatto i moralisti: han procurato di chiarire con quali principi debbano risolversi molti casi particolari» (I, 17).

Sono molti i passaggi in cui AL si esprime alla stessa maniera. È questa arte pastorale a preservare la Chiesa e i teologi da «una morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto nel contesto di un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare» (cf. nn. 312 e 59). Questa arte – che Francesco chiama «compito artigianale, da persona a persona» (n. 16) – è sempre capace d’indicare e aprire alla persona una spiaggia d’approdo perché nessuno nella vita, nonostante le proprie fragilità, solitudini e angosce faccia naufragio.

Siamo entrati così negli spazi che più propriamente costituiscono il termo momento, che è quello del discernimento spirituale. Al n. 305 di AL il Papa riprende un concetto già presente nel n. 44 di Evangelii Gaudium: «Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». Quanto scrive il Papa s’inserisce nella grande tradizione spirituale cristiana, su cui molto si potrebbe aggiungere.

In sintesi si dirà che se il discernimento morale rende nota la norma da seguire e il discernimento pastorale aiuta a conoscere la situazione nella quale ci si trova e la sua distanza dall’ideale pieno, il discernimento spirituale ha lo scopo di aiutare e sostenere il cammino come una lanterna che illumina il terreno scivoloso e impervio e fa scorgere appigli e punti di appoggio su cui sia possibile mettere i piedi per andare avanti. Nel discernimento spirituale la parola chiave è cammino, progressione: cosa puoi fare di più (magis) per rispondere all’amore e alla misericordia di Dio? Nel vissuto cristiano non ci si può mai limitare a distinguere il bene dal male: occorre sempre andare in cerca del bene dove esso è, dove lo si trova. Ciò vuole anche dire che il discernimento prevede e accetta anche “stadi intermedi”, ancora segnati dal disordine, quando diventano tappe di avvicinamento alla pienezza del disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia, «sempre possibile con la forza dello Spirito Santo» (n. 297).

 

Il discernimento e i fedeli divorziati risposati

Mi pare sia questo il contributo più importante che AL offre all’accompagnamento di tanti fratelli e sorelle battezzati, che si trovano in situazioni di fragilità e di “irregolarità” nella propria famiglia e desiderano con tutto il cuore riconciliarsi con Dio nella sua Chiesa. Se non impariamo, grazie al discernimento, a praticare questa «cultura dell’incontro» (n. 183), loro saranno sempre più lontani – ho concluso così la mia Prefazione – e noi sempre più soli. Riguardo alle situazioni cosiddette “irregolari” la questione del discernimento ha dunque un’importanza tutta propria.

Consideriamo il rapporto con i fedeli divorziati e civilmente risposati. Anche nell’azione pastorale loro rivolta, si tratterà di applicare i criteri del discernimento. In tal modo, prenderanno coscienza della loro situazione davanti a Dio, emetteranno un giudizio corretto sugli ostacoli che impediscono una loro più piena partecipazione alla vita ecclesiale, individueranno i passi che possano favorirla e farla crescere[6].

Sul tema dei fedeli divorziati risposati, vorrei fare una piccola premessa di carattere storico. L’espressione «divorziati risposati» non esiste in quanto tale nel diritto canonico. Il Codice pio-benedettino (1917) parlava di «bigami», intendendo «coloro che, nonostante la presenza del vincolo coniugale, abbiano fatto il tentativo (attentaverint) di un altro matrimonio almeno civile; a loro riservava l’aggettivo infames (Can. 2356). Né il Codice del 1983, né il Codice dei canoni delle Chiese orientali del 1990 usano più questo linguaggio. Al contrario, nell’uso pastorale, si tende a usare la formula «persone divorziate risposate», per indicare che non si tratta di casi astratti, ma di “persone”. La vigente normativa canonica e il linguaggio pastorale sono quindi profondamente mutati, anche grazie al Concilio Vaticano II. Su questa linea, il 20 settembre 1973 la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede emanava un decreto, col quale si permetteva che ai “pubblici peccatori” non fossero negati i riti esequiali. Successivamente, i Padri del Sinodo dei Vescovi del 1980 insistettero molto sull’importanza di un’accoglienza pastorale nei riguardi dei divorziati risposati, sicché il Codice del 1983 rinunciò a qualunque sanzione penale nei loro confronti. Si giunse così all’Esortazione post-sinodale Familiaris consortio del 22 novembre 1981, che dedica ai divorziati risposati il n. 84. Vi si legge: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». Oltre a questo aspetto, che di fatto introduce il tema del discernimento, San Giovanni Paolo II continuava: «Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza».

È questo l’atteggiamento pastorale, nel cui solco si inserisce AL. In modo particolare, l’insegnamento di questa Esortazione apostolica circa i fedeli divorziati risposati propone che si faccia discernimento sulla base di due aspetti: il precedente matrimonio e la nuova unione.

Quanto, ad esempio, al precedente matrimonio, «i divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno» (n. 300).

Per ciò che riguarda la nuova unione poi, il n. 298 di AL fa quasi un elenco. Ad esempio, si parla di «una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe». Poco più avanti il testo prosegue: «C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”».

Mediante questo discernimento pastorale, Papa Francesco arriva pertanto ad affermare: «Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» (n. 301); «a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (n. 305).

 

Conclusione

Il discernimento di cui Francesco in AL si fa promotore nell’atteggiamento pastorale della Chiesa e nell’incontro con alcune situazione di irregolarità matrimoniale ha come conseguenza un notevole cambio di prospettiva. Invita a riscoprire la bellezza della morale cristiana, che è per essenza una morale “personalista”: ha come scopo ultimo le persone e la loro vita, non la promulgazione e preservazione di norme e precetti. Il valore della persona è il punto di partenza e l’approdo ultimo di qualsiasi riflessione sull’agire.

Per questo Il Papa non parla di “categorie” ma di “persone”. È sotto questo profilo che si configura necessario il complesso processo del discernimento, il quale suppone una logica del tutto diversa da quella del “si può o non si può?”.

La morale è la luce del bene e della sua doverosità. Come tale, essa, dall’alto della sua luminosità, è un faro per tutti: è per tutti la stessa. Nel medesimo tempo però la morale è anche una fiaccola per ciascuno, nel cammino singolare e nel tratto di strada che ogni persona si trova percorrere. Ne segue che il “tutti”, cui la norma è rivolta, non è mai un “chiunque”, un “non importa chi”. Essa infatti è l’unicità di ognuno, nella singolarità di ciascuna situazione o condizione di vita. Non a caso San Giovanni Crisostomo scriveva: «Il pastore ha bisogno di molta prudenza e di infiniti occhi, per scrutare dappertutto le qualità delle anime»[7].

 

Molfetta – Aula Magna del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” 11 novembre 2022

 

Marcello Card. Semeraro

 

 

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[1] M. Semeraro, L’occhio e la lampada. Il discernimento in Amoris laetitia, EDB, Bologna 2017.

[2] Papa Francesco, «Oggi la chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento. Un incontro privato con alcuni gesuiti polacchi», in La Civiltà cattolica, quad. 3989 (10 settembre 2016), p. 348-349.

[3] La citazione, riportata al n. 304, proviene da Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 94, art. 4.

[4] Cf. M. Semeraro, «Un discernimento che accompagna la persona», in La Rivista del Clero Italiano, 2019/11, pp. 727-741.

[5] Orazione II, 33: Gregorio di Nazianzo, Tutte le orazioni, a cura di C. Moreschini, Bompiani Milano 2000, p. 29 L’espressione “arte delle arti” e l’analogia con la medicina si ritroveranno in Gregorio Magno, Regula pastoralis, I, 1: PL 77, 14.

[6] Altro sono i casi di semplici convivenze e di matrimoni solo civili, da valutare diversamente anche con la possibilità di accompagnare verso il sacramento del matrimonio (cf. nn. 293-294).

[7] Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, II, 4: PG 48, 635.