Prospettive teologico-morali sul concetto di «bene concretamente possibile»
Inaugurazione dell’Anno Giudiziario
Bari, Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Pugliese
Sabato 1 aprile 2023
Torno con piacere in questa Sede del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Pugliese, onorato e grato per l’invito rivoltomi a tenere ancora la Prolusione per il nuovo Anno Giudiziario. Venni per questo già il 9 febbraio 2019. Dopo di allora, la mia condizione ecclesiastica è cambiata: non sono più un vescovo diocesano, ma, dall’ottobre 2020, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. In tale veste mi trovo a seguire sì dei «processi», come in questa Sede, ma …, grazie a Dio, solo in vista di una possibile beatificazione e canonizzazione di Servi e Serve di Dio!
Il mio «piacere» non è edonista, ma motivato dalla gioia di rivedere tanti amici, a cominciare dai fratelli vescovi presenti, in primo luogo l’Arcivescovo Giuseppe Satriano, che è pure Moderatore di questo Tribunale. Saluto pure don Pasquale Larocca, Vicario Giudiziale, e gli altri presbiteri presenti, che lavorano in questo Tribunale e gli altri, unitamente alle Autorità civili e militari e voi tutti.
Mi è stato chiesto di intervenire ancora su Amoris Laetitia, l’esortazione sulla quale mi soffermai nel 2019, portando l’attenzione sul tema centrale del discernimento. Avviandomi, quel giorno, alla conclusione, dissi che non si tratta di «un cammino che si compie da un momento all’altro; ancor meno si realizza a suon di decreti, o con richiami all’obbedienza»; sottolineavo pure la necessità di «praticare la “cultura dell’incontro”, se si vuole davvero rimanere fedeli al Signore che oggi ci chiama ad accompagnare tanti fratelli e sorelle battezzati che si trovano in situazioni di fragilità nella propria famiglia e desiderano con tutto il cuore riconciliarsi con Dio nella sua Chiesa».
Il tema è peculiare nel magistero di papa Francesco, al quale inviamo un filiale e affettuoso pensiero, ben lieti di saperlo rientrare in Vaticano dopo il breve ricovero al Policlinico «Gemelli». Appena il 23 marzo scorso, parlando ai partecipanti a un Convegno sull’attualità della proposta morale alfonsiana, egli ha ripetuto che ogni proposta teologico-morale deve avere come fondamento l’amore di Dio; questo, perciò, deve essere «la nostra guida, la guida delle nostre scelte personali e del nostro cammino esistenziale. Di conseguenza, teologi moralisti, missionari e confessori sono chiamati ad entrare in un rapporto vivo con il Popolo di Dio, facendosi carico specialmente del grido degli ultimi, per comprenderne le difficoltà reali, per guardare all’esistenza dalla loro angolazione e per offrire loro risposte che riflettano la luce dell’amore eterno del Padre».[1] È il contesto nel quale intende collocarsi pure questo mio odierno intervento e fin da ora vi sono grato per l’attenzione che vorrete riservarvi.
Poiché, poi, si tratta ancora di riferimenti ad Amoris Laetitia (AL), aggiungo volentieri un rimando al volume che, curato da R. Massaro col titolo Sui sentieri di Amoris Laetitia, è stato pubblicato lo scorso ottobre da Cittadella Editrice. Lì si trovano raccolti gli interventi offerti sul tema durante il Corso di Alta Formazione promosso dalla Facoltà Teologica Pugliese nell’anno accademico 2021/2022. Chiamato a presentare quella miscellanea nel Pontificio Seminario Teologico Pugliese, identificai tre momenti del discernimento: quello morale, anzitutto, che ha come oggetto le leggi e le norme generali; poi, il discernimento pastorale, con lo scopo di aiutare le persone a riconoscere la situazione nella quale si trovano e quanto siano lontane o vicine all’ideale, alla meta da raggiungere. Terzo momento, dicevo, è il discernimento spirituale. Concludevo: «Se il discernimento morale rende nota la norma da seguire e il discernimento pastorale aiuta a conoscere la situazione nella quale ci si trova e la sua distanza dall’ideale pieno, il discernimento spirituale ha lo scopo di aiutare a sostenere il cammino, come una lanterna che illumina il terreno scivoloso e impervio, e fa scorgere appigli e punti di appoggio, su cui sia possibile mettere i piedi per andare avanti».[2]
Riprendevo così il n. 6 di AL, dove si parla di «discernimento pastorale, davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone»; ma anche il n. 300, dove è scritto: «Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari».
Il discernimento, nei suoi momenti e con le specificazioni allora descritte, ha come scopo l’individuazione del bene possibile, quel «bene possibile» di cui Papa Francesco parla al n. 308 di AL,[3] che è una citazione di Evangelii Gaudium 44 e 45.[4]
Quella distinzione dei tre momenti mi ha molto interrogato. Mi sono chiesto, infatti, se davvero il discernimento morale debba essere distinto dagli altri come un primo livello e basta o se, invece, non sia possibile ricondurre all’unità il discorso teologico-morale con la prospettiva pastorale e spirituale. Nell’odierno nostro incontro è su questo che vorrei fissare l’attenzione.
Il bene possibile e il «principio del male minore»
La teologia morale ha sviluppato, nel corso della sua storia, alcuni principi morali tradizionali. La loro funzione è quella di aiutare nei cosiddetti casi perplessi, quelli in cui la coscienza non sa come distinguere e quindi scegliere il da farsi. Fra di essi c’è quello chiamato «principio del male minore».
Si tratta di un criterio antico, che risale agli antichi filosofi greci.[5] Ne parla Platone nel Gorgia e nella Repubblica, attribuendolo a sua volta a Socrate. Ma è con Aristotele, nell’Etica Nicomachea che il principio viene formulato:
Il male minore, in confronto con uno maggiore, risponde alla categoria di bene. Un male minore quindi è preferibile a un male maggiore. Ciò che è preferibile poi è sempre un bene e ciò che è più preferibile è un bene più grande.[6]
È chiaro, per il Filosofo, che il male minore ha un certo grado di appetibilità e preferibilità; non, però, in quanto male, ma in quanto bene concretamente possibile. Una chiarezza simile la ritroveremo, secoli e secoli più tardi, nel domenicano spagnolo Domingo de Soto (1494-1560), il quale
concorda sulla liceità del consiglio del male minore, insistendo sul fatto che l’oggetto del consiglio non sta nel commettere un male simpliciter – potremmo tradurre: in quanto tale – ma in un male minore, che nelle circostanze concrete comporta un aspetto di bene reale e un reale intralcio ad un male maggiore.[7]
Al principio etico del male minore aveva fatto riferimento anche Cicerone, scrivendo: «Poiché ho imparato dai filosofi non solo che tra i mali conviene scegliere i minori, ma anche trarre da essi stessi ciò che possono contenere di buono, ecco che io mi avvalgo di questa tranquillità…».[8]
Nell’era cristiana e col passare del tempo, il campo di applicazione del principio del male minore è andato sempre più restringendosi, finendo per coincidere con quelle circostanze in cui il male, a prescindere, appare inevitabile. Quando fra due, o più mali non ci si può esimere dall’agire, il principio del male minore conduce la scelta nella direzione di uno di essi, ossia quello che per qualità, grado e conseguenze appare appunto il minore. Non a caso in Tommaso d’Aquino il male minore rientra nella categoria della permissione[9], della tolleranza: tesi, questa, che verrà ripresa nel 1968 da San Paolo VI in Humanae Vitae n. 14.[10]
Ciò premesso, si potrebbe dire che AL ri-presenti il principio del male minore, ma in chiave positiva. La questione morale che propone non si ferma a problematizzare, o analizzare il male. Essa, piuttosto, invoca uno sguardo capace di rendere conto di quella istanza di bene che risiede nel cuore dell’uomo e che lo muove ogni volta che agisce. Il principio del male minore è così riformulato non nella circostanza di una perplessità di coscienza, ma come iscritto nella stessa moralità dell’atto umano. Non per nulla, «la prospettiva di AL è la convinzione che il matrimonio è possibile come sorgente di una felicità che Dio ha voluto per l’uomo».[11]
Ha dunque una lettura riduttiva di AL chi pretende di approcciarne le tematiche a partire dalla problema del male: papa Francesco, pur nella piena consapevolezza delle «situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone»,[12] sostiene che un corretto discernimento delle situazioni faccia risplendere in piena luce quel bene possibile, reale, con il quale Dio risponde al cuore dell’uomo.
Per quanto possa sembrare una sottigliezza lessicale, il magistero di AL ci conduce a preferire al «principio del male minore» il «discernimento del bene possibile».
Amoris Laetitia e Veritatis Splendor: punti di convergenza
Qualcuno ha affermato che la teologia morale di papa Francesco è in contrasto con i principi dell’etica cristiana. In particolare, sottolineano vi sia una rottura con gli insegnamenti di Veritatis Splendor (VS), l’enciclica che Giovanni Paolo II promulgò nel 1993.[13]
Vale la pena ricordare il contesto in cui quel documento venne alla luce: «Dopo l’invito del Concilio Vaticano II al rinnovamento della teologia morale, la sfida era correggere le tentazioni di relativismo e soggettivismo».[14] Non dunque un riassunto esaustivo, una riproposta di tutta la dottrina etica della Chiesa cattolica e dei suoi criteri, quanto piuttosto la risposta alla consegna del Concilio da un lato e la reazione ad una deriva dall’altro.
Obbediente al dettato di Optatam Totius 16,[15] VS
si distacca da un modo di fare che ha segnato a lungo la teologia morale per diversi secoli e che ha ridotta la morale all’obbedienza a delle leggi esteriori, insistendo sul peccato e sul male da evitare. (…). Con VS i comandamenti e le norme, per quanto siano necessari, sono posti nella prospettiva del bene e questo conferisce loro significato e orientamento.[16]
Leggendo il n. 23 di VS – «L’amore e la vita secondo il Vangelo non possono essere pensati prima di tutto nella forma del precetto, perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell'uomo: essi sono possibili solo come frutto di un dono di Dio, che risana e guarisce e trasforma il cuore dell’uomo per mezzo della sua grazia» – si intravvedono i punti salienti del magistero che Papa Francesco svilupperà in AL. Si notino le indiscutibili analogie:
L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste considerazioni, perché seppure è vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, si deve sempre porre speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti e centrali del Vangelo, particolarmente il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio.[17]
Similmente, non si può non notare una convergenza tra la condanna esplicita del relativismo e delle «teorie etiche teleologiche (proporzionalismo, consequenzialismo)» fatta da San Giovanni Paolo II in VS 75, con quanto afferma papa Francesco:
Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa (Relatio Synodi 2014, 26). La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano».[18]
E aggiunge: «Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture» (AL 307).
Un punto rilevante di VS riguarda la coscienza, da Gaudium et Spes 16 definita «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità». L’enciclica prende le distanze da una interpretazione creativa della coscienza morale, alla quale nega la capacità di decidere su cosa sia buono o cattivo. Rigetta così l’ipotesi che le norme divengano per lei «prospettive generali» e non «criteri oggettivi vincolanti».[19]
La difficoltà che potrebbe sorgere da questa insistenza sarebbe il rischio di ridurre il ruolo della coscienza ad un’applicazione semplice e diretta della norma ad un caso, come se le norme oggettive, nella loro definizione, potessero contenere tutti gli atti possibili.[20]
Un punto quasi irrisolto, dunque, sul quale papa Francesco formula la sua proposta, ricalibrando il problema della coscienza ancora una volta con la prospettiva del bene:
Per agire bene non basta “giudicare in modo adeguato” o sapere con chiarezza che cosa si deve fare, benché ciò sia prioritario. (…) Una formazione etica efficace implica il mostrare alla persona fino a che punto convenga a lei stessa agire bene. Oggi è spesso inefficace chiedere qualcosa che esiga sforzo e rinunce, senza mostrare chiaramente il bene che con ciò si potrebbe raggiungere.[21]
Prospettive per una teologia morale del «bene possibile»
Dopo avere individuato alcuni punti di convergenza fra VS e AL, vorrei concentrarmi ora in maniera più precisa sulle prospettive che, nella direzione del bene possibile, AL offre alla teologia morale. Sono percorsi che ci aiutano a disegnare il volto di una Chiesa «che non si lascia irretire dal bene mancante, ma è attenta al bene presente e fiduciosa nel bene raggiungibile».[22]
La «misericordia pastorale»
La prima riguarda il tema della «misericordia pastorale», esplicitamente sviluppata in diversi punti del documento e in particolare alla fine del capitolo VIII, nei nn. da 307 a 312. È emblematico che, in tutto il testo di AL, l’unica volta in cui si menzioni esplicitamente la teologia morale e il suo insegnamento sia proprio al n. 311, proprio su questo punto della «misericordia pastorale»[23].
Papa Francesco invita a considerare questo sguardo buono, capace di valorizzare il bene possibile, non come un semplice complemento che si addice alla prassi, ma come elemento proprio, strettamente correlato alla Rivelazione e al suo centro che è Gesù Cristo. Il teologo moralista – gli dice papa Francesco – non può condurre la sua indagine, svolgere il suo approfondimento obliterando una parte sostanziale del dato rivelato, che è la misericordia, ossia «la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (AL 311).
Lo sforzo di ricercare il bene possibile è declinazione del compito precipuo della Chiesa che, come scrive lo stesso Francesco nella bolla Misericordiae Vultus, citata da AL,
ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno.[24]
La proposta di vie percorribili è l’unica possibilità per non bloccare le persone, imprigionandole nel senso di colpa o nella disperazione.
La teologia della situazione
Una prospettiva nuova suggerita da AL riguarda il tema della situazione. Nella storia della teologia morale del secolo scorso ha avuto un ruolo terminante la cosiddetta «etica della situazione», condannata da San Giovanni Paolo II nella stessa VS. Anzi, un vero e proprio «pilastro dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II (e degli altri Papi prima di lui)».[25] L’idea che AL possa essere «una rivincita della etica della situazione contro Giovanni Paolo II»[26] ha destato la preoccupazione di alcuni teologi i quali, nel timore che ciò comprometta la fedeltà alla dottrina, respingono che la tesi per cui la qualità morale di un atto dipenda sempre e comunque dalle circostanze in cui viene compiuto. In realtà AL, come non intende affatto cambiare la dottrina sul matrimonio cristiano, così con le sue indicazioni pastorali
non contiene una riabilitazione dell’etica della situazione: le circostanze soggettive dell’azione entrano a determinare i livelli di responsabilità del soggetto agente ma non cambiano la natura intrinseca dell’atto. L’etica di Papa Francesco (che è stata anche quella di San Giovanni Paolo II e dei Papi prima di lui) non è certamente un’etica oggettivistica, ma non è neppure un’etica sbilanciata dalla parte del soggetto, come invece alcuni hanno ritenuto. È invece un’etica che tiene conto in modo equilibrato e del lato oggettivo e di quello soggettivo.[27]
Concretamente AL fa ciò rivalutando il valore non morale, ma teologico della situazione:
Il discernimento ad opera del cristiano chiama in causa una teologia della storia e, in modo particolare, una teologia della situazione. (…) Proprio dentro la concretezza della situazione nasce la possibilità offerta al cristiano di discernere quale sia per lui, qui e adesso, il comportamento che risponde alla verità del suo agire, inteso come espressione della verità del suo essere in Cristo.[28]
Non quindi la situazione come elemento proprio di una valutazione sulla qualità morale di un’azione, ma come grandezza essenziale per un discernimento efficace e corretto del proprio agire.
L’etica della situazione usa la situazione per decidere su cosa sia bene e cosa sia male. La teologia della situazione si presta come criterio di completezza del discernimento, come un momento imprescindibile per saggiare il valore teologico dell’istituto famigliare, così com’è. Scrive a tal proposito il Papa: «La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani» (AL 315). Senza tenere presente la situazione concreata delle famiglie, la teologia morale, così come i Pastori, corrono seriamente il rischio di parlare a vuoto, di esprimere concetti che risultano invivibili per le persone. Di proporre un bene dimenticando di vagliare quanto sia concretamente possibile.
La complessità della realtà
Si collega a questa anche la terza prospettiva, che ha per oggetto la complessità del reale. Non è una complessità che si propone come scusante, come elemento giustificativo dell’agire sbagliato. È piuttosto uno sguardo sulla realtà attento a non banalizzare le sofferenze e a non riflettere sulla base di sagome che hanno i tratti delle stereotipo. Facendo riferimento al Sal 128, Papa Francesco accenna alla «presenza del dolore, del male, della violenza che lacerano la vita della famiglia e la sua intima comunione di vita e di amore» (AL 19). In questa prospettiva, «l’assunzione seria della cifra della complessità» è uno snodo fondamentale anche per il discorso teologico morale.
Una riflessione attenta sulla natura di questa complessità conduce a distinguere elementi di difficoltà soggettiva, che impediscono una corretta interpretazione e trasformazione della storia, ma anche elementi oggettivi che ineriscono alla complessità stessa e che nemmeno una capacità notevole di osservazione riesce a sciogliere. La complessità non è epistemologica, ma appartiene al dominio della realtà. Sotto il profilo teologico, questa situazione è legata alla presenza del Peccato del mondo e nel cuore dell'uomo».[29]
La complessità dunque non dipende tanto dal modo di percepire la realtà da parte della persona, che spesso è complicata –
Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere valori insiti nella norma morale o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa[30]
– ma dalla realtà stessa: è una cifra del reale prima ancora della persona. «Il dinamismo del discernimento deve fare i conti con questo campo per nulla ordinato in modo geometrico e procedere in modo tutt’altro che lineare, attraverso percorsi talvolta tortuosi e carsici»[31].
Scrive papa Francesco:
Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. (..) La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.[32]
Il discernimento, proprio in quanto impatta la realtà per quanto complessa e intricata possa essere, non si limita ad analizzare la situazione. Possiede infatti una dimensione performativa, che gli è connaturata:
Una tale situazione di complessità implica che il discernimento disponga di strumenti ermeneutici adatti non solo a leggere la situazione, ma anche a cambiarla, (…) in quanto teso a cambiare la situazione di fatto in ordine all’intenzionalità evangelica.[33]
La gradualità
Quale logica conseguenza di questo, vorrei infine sottolineare – come quarta e ultima prospettiva – il tema della gradualità. Compare due volte in AL: la prima volta, a proposito della «gradualità della pastorale» (AL 293-295); la seconda, a conclusione del punto sul «discernimento delle situazioni dette “irregolari”» (AL 300).
In ambedue i casi papa Francesco riprende l’insegnamento di Giovanni Paolo II, confluito nel n. 34 di Familiaris Consortio, che dice così: «L’uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita». In piena adesione al magistero precedente, Papa Francesco precisa:
[La “legge della gradualità”] non è una “gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge.[34]
Il concetto di gradualità ispira l’immagine del cammino, che è di fatto la rappresentazione più efficace della proposta del bene possibile. Il bene possibile è sempre un cammino.
Ho già citato all’inizio il discorso fatto dal Papa ai teologi moralisti dell’Alfonsiano nei giorni scorsi. In quell’occasione egli ha detto pure:
Parlo di cammino, cammini adeguati, non soluzioni matematiche, cammini adeguati. I problemi si risolvono camminando ecclesialmente come popolo di Dio. E camminare con le persone nello stato morale in cui stanno. Camminare con loro e cercare una via per risolvere i loro problemi, ma camminare, non seduti come dottori che con il dito alzato condannano senza preoccuparsi.[35]
Conclusione
Condividendo con voi queste riflessioni, ho desiderato dare un contributo al lavoro di questo Tribunale Interdiocesano Pugliese, che oggi inaugura il nuovo Anno Giudiziario. AL ci insegna a mettere al centro della dottrina e della prassi, la persona, il suo bene, nelle circostanze concrete in cui si trova a vivere. «La preoccupazione della salvezza delle anime (…) – oggi come ieri – rimane il fine supremo delle istituzioni, delle leggi, del diritto», ha scritto Papa Francesco nell’introduzione alla Mitis Iudex Dominus Iesus.
Il vostro lavoro, così come le indagini dei moralisti o la missione dei Pastori della Chiesa, necessita di un adeguato discernimento del bene concretamente possibile: il come si giunge a valutare, giudicare diventa allora prevalente, dal momento che questo come riflette l’autocoscienza morale del Popolo di Dio in cammino.
L’oggettività del discernimento è il presupposto essenziale per la bontà della decisione, perché solo così chi sceglie non sceglie il male coinvolto nell’azione, ma preferisce il bene possibile in essa contenuto e da essa realizzato.[36]
Marcello Card. Semeraro
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[1] Testo ne L’Osservatore Romano del 23 marzo 2023, p. 6.
[2] Testo in: http://www.causesanti.va/it/dicastero-delle-cause-dei-santi/prefetto-dicastero-cause-santi/interviste-del-prefetto/presentazione-della-miscellanea-sui-sentieri-di-amoris-laetitia.html
[3] «Tuttavia, dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e anche biologiche – ne segue che “senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno”, lasciando spazio alla “misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile”» (AL 305).
[4] «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile. Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute. Vediamo così che l’impegno evangelizzatore si muove tra i limiti del linguaggio e delle circostanze. Esso cerca sempre di comunicare meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile. Un cuore missionario è consapevole di questi limiti e si fa “debole con i deboli […] tutto per tutti” (1Cor 9,22). Mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze, mai opta per la rigidità autodifensiva. Sa che egli stesso deve crescere nella comprensione del Vangelo e nel discernimento dei sentieri dello Spirito, e allora non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» (Evangelii Gaudium 44-45).
[5] Per una storia del «principio del male minore», cf. G. Del Missier, «Principi morali», in Teologia Morale a cura di P. Benanti, F. Compagnoni, A. Fumagalli, G. Piana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2019, p. 813-814; per un approfondimento, cf. M. Faggioni, «Il male minore e il bene possibile», in Vivens Homo 26 (2015), p. 127-149.
[6] Etica Nicomachea, libro V, cap. III in fine: cf. ed. a cura di C. Mozzarelli, Bompiani ed., Milano 2000, p. 197.
[7] C. Zuccaro, Le dinamiche del discernimento. Verso la soluzione dei conflitti morali, Queriniana, Brescia 2022, p. 94.
[8] De Officiis, III, 1: «ab hominibus doctis accepimus, non solum ex malis eligere minima oportere, sed etiam excerpere ex his ipsis, si quid inesset boni, propterea et otio fruor …».
[9] «Ogni bene è più potente nella sua bontà del male nella sua malizia. Non è dunque opportuno che qualche male sia impedito in modo che venga per questo eliminato qualche bene. Ma se Dio non permettesse all’uomo di peccare, verrebbe eliminata la libertà di arbitrio, la quale non sopporta costrizione. Dunque è opportunamente permesso all’uomo di peccare» (Super Sententiis, libro II, d. 23, q. 1, a. 2). Si potranno leggere interessanti applicazioni dei principi tomisti in A. Spadaro S. J., «”Chiesa di puri” o “nassa composita”. Intervista a Jean_Miguel Garrogues O. P.», ne La Civiltà Carttolica 2005, II, p. 493-510 (quad. n. 3959 – 1 giugno 2015).
[10] «In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene» (Humanae Vitae 14).
[11] J.M. Garrigues-A. Thomasset, Discernimento… verso una fede matura. Amoris Laetitia insegna un nuovo stile pastorale, LEV, Città del Vaticano 2017, p. 7.
[12] AL 6.
[13] «Questa è la preoccupazione soggiacente ai famosi dubia dei quattro cardinali» (R. Buttiglione, «San Giovanni Paolo II e Papa Francesco. Continuità e differenze» in M. Borghesi (cur.), Da Bergoglio a Francesco. Un pontificato nella storia, Studium, Roma 2022, p. 42. Si potrà vedere per tale quaestio M. Borghesi, Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco, Jaca Book, Milano 2022, p. 36-59; 81-89.
[14] Garrigues-Thomasset, p. 24-25.
[15] «Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale, in modo che la sua esposizione scientifica, più nutrita della dottrina della sacra Scrittura, illustri la grandezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo» (Optatam Totius 16).
[16] Garrigues-Thomasset, p. 32.
[17] AL 311.
[18] AL 307.
[19] VS 55.
[20] Garrigues-Thomasset, p. 38-39.
[21] AL 265.
[22] M. Cozzoli, «Non prigionieri del bene mancante ma per il bene presente e raggiungibile» in Avvenire LII n° 233 – Mercoledì 2 Ottobre 2019, p. 2.
[23] «L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste considerazioni» (AL 311).
[24] Misericordiae Vultus 12, cit. AL 309.
[25] Buttiglione, p. 42.
[26] Buttiglione, p. 42.
[27] Buttiglione, p. 46.
[28] Zuccaro, p. 21.
[29] Zuccaro, p. 22-23.
[30] AL 301.
[31] Zuccaro, p. 57.
[32] AL 305.
[33] Zuccaro, p. 23.
[34] AL 295.
[35] Sulla morale del bene possibile nella prospettiva della morale alfonsiana, cf. D. Majorano, «Il discernimento personale e pastorale indicato da “Amoris Laetitia” e la proposta morale alfonsiana», in Pontificia Università Lateranense – Accademia Alfonsiana. Istituto Superiore di Teologia Morale, Inaugurazione Anno Accademico 2016-2016 a cura di A. S. Wodka, Roma 2017, 115-139: «Ascoltando con rispetto il vissuto delle persone e delle famiglie, anche se problematico, essa annunzia con franchezza la possibilità nuova di amore, che il Cristo non si stanca di anticipare, e perciò si pone in cammino con loro, sostenendole nelle difficoltà e stimolandole a compiere con fiducia il bene possibile. È la “conversione” che S. Alfonso ha vissuto personalmente e ha tradotto nella benignità pastorale della sua teologia morale le cui istanze fondamentali sono in profonda sintonia con il discernimento personale e pastorale proposta da Amoris laetitia e possono essere di aiuto alla sua comprensione e attuazione: la centralità della coscienza come “regola formale” del nostro agire in ascolto della legge divina “regola materiale”; l’evangelizzazione come carità che, consapevole della fragilità, accoglie e accompagna nel cammino del bene, riconoscendone la gradualità; la proposta terapeutica della verità e perciò la flessibilità pastorale della disciplina, con il conseguente riconoscimento di situazioni in cui le circostanze ne rimodellano l’applicazione. Sono le prospettive che permettono alla teologia morale e alla sua proposta di essere effettivamente una diaconia salvifica, che stimola ad essere “facilitatori” non già “controllori” della grazia», p. 139.
[36] F. Magro, Conflitto di valori e decisione morale, Messaggero, Padova 2012, p. 342.