Prolusione alla Conferenza “La Santità di coppia”

 

La santità come coppia e come famiglia

Prolusione alla Conferenza “La Santità di coppia”

 

Ricordando il Concilio Vaticano II, del quale fra pochi mesi il 60° della conclusione (8 dic. 1965) mi tornano alla memoria pure ciò che riguardo a due suoi documenti fondamentali, disse mons. Victor Heylen, illustre teologo moralista belga di Lovanio che, nominato esperto conciliare, ebbe un ruolo fondamentale nella redazione dei testi di Gaudium et Spes dedicati al matrimonio e alla famiglia: «mentre nella costituzione sulla Chiesa furono toccate le più alte vette della meditazione teologica, nella costituzione Gaudium et Spes si scese nelle più profonde valli della vita quotidiana». Ciò è vero anche al tema scelto per questo Convegno: La santità come coppia e come familia. Se, infatti, con Lumen gentium il Vaticano II ha messo al centro la vocazione di tutti alla santità, è in Gaudium et Spes che si trova precisato, in modo peculiare, come il matrimonio e la vita familiare siano strada e realizzazione di una specifica vocazione ad essere santi. Mi sia concesso, dunque, partire per il mio intervento introduttivi a questo incontro, la cui attuazione saluto con gioia e con uno speciale augurio nella mia veste di Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. È, difatti, un tema che sta molto a cuore alla nostra realtà curiale, la quale nel convegno di studio che si tenne dal 13 al 16 novembre 1923 sul tema Dimensione comunitaria della famiglia affidò al carmelitano p. Fr.M. Léthel il tema: «La santità degli sposi e della famiglia». Egli esordì dicendo, appunto, che «la dimensione comunitaria degli sposi e della famiglia si manifesta in modo privilegiato nel matrimonio e nella famiglia».

Quanto a mem comincerò con il fare dei riferimenti alla costituzione pastorale Gaudium et Spes senza trascurare, tuttavia, un punto di partenza senza la considerazione del quale non si potrà cogliere la novità del Vaticano II. Non è mia intenzione (e neppure è il momento) di fare adesso una trattazione ampia e approfondita della questione, ma è doveroso almeno ricordare che, anteriormente al Concilio, riguardo al nostro tema la coscienza cattolica – intendo ovviamente anche le trattazioni di teologia morale dell’epoca – individuava le leggi fondamentali riguardo alla vita matrimoniale nei due termini: diritto e natura. Intendo dire che le direttive di ordine generale in materia erano le due seguenti: rispettare, seguendo la ragione, i diritti e i doveri matrimoniali e conservare la vita matrimoniale in forme aderenti alle indicazioni della natura. Non c’è dubbio sulla importanza di questi due principi, che divenivano sempre più rilevanti nel dibattito sociale, che intanto portava attenzione a questiono ancora oggi vive come la regolazione delle nascite e anche le varie questioni legate alle scienze biologiche. Emergevano, tuttavia, pure altre istanze che domandavano di innalzare la riflessione oltre una rappresentazione soltanto biologica  degli scopi della vita coniugale. È all’interno di tali dibattiti che il magistero conciliare troverà un giusto equilibrio tra l’aspetto sociale e il contenuto personale del matrimonio; un equilibrio entri cui si collocano pure le affermazioni che seguono.

Al n. 48 di Gaudium et Spes, dunque, si legge: «I coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio». In queste poche battute è possibile rinvenire una sorta di particolare dinamica, che coniuga la santità familiare prendendo le mosse dalla singolarità di ognuno; si sviluppa, quindi, nella mutualità e fiorisce, da ultimo, in una forma di santità capace di accomunare. Per questo Gaudium et Spes dice: «I coniugi stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un’autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità, così che, seguendo Cristo principio di vita nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione» (n. 52).

D’altra parte ogni vocazione cristiana è il dono offerto a una persona, un incontro personale, unico e irripetibile con Cristo che, nell’oggi della storia, continua a chiamare discepoli nelle diverse forme di vita e di apostolato. E fra questi, c’è la chiamata al sacramento del Matrimonio ed alla vita in famiglia. Nella vocazione matrimoniale c’è una chiamata a vivere quella perfezione di cui parla Gesù (Mt 5, 48). Dice il Concilio: «Gli sposi cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio, svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione cristiana» (n. 50).

Del magistero successivo al Concilio, pur avendo a disposizione un’abbondanza di riferimenti, mi limito a richiamare gli insegnamenti di San Paolo VI e di San Giovanni Paolo II. In Humanae Vitae Papa Montini richiama come la chiamata al matrimonio si innesti in quella battesimale: «Gli sposi cristiani … docili alla sua voce, ricordino che la loro vocazione cristiana iniziata col battesimo si è ulteriormente specificata e rafforzata col sacramento del matrimonio. Per esso i coniugi sono corroborati e quasi consacrati per l’adempimento fedele dei propri doveri, per l’attuazione della propria vocazione fino alla perfezione e per una testimonianza cristiana loro propria di fronte mondo» (n. 25). Non si può, infatti, parlare di santità cristiana nella vita di famiglia senza vivere nello Spirito di Cristo la realtà che la costituisce e le esigenze concrete che essa comporta. Vale a dire che non si può costruire una santità dei componenti della famiglia e, in primo luogo, degli sposi senza vivere la verità contenuta nell’essere famiglia e, pertanto, nel patto, o alleanza coniugale in cui essa si fonda (si noti, fra l’altro. la presenza, già nel linguaggio del Vaticano II, del superamento della parola «contratto» con  quella di «patto» e «alleanza»).

Ancora più esplicito sul nostro tema è Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, laddove scrive: «La vocazione universale alla santità è rivolta anche ai coniugi e ai genitori cristiani: viene per essi specificata dal sacramento celebrato e tradotta concretamente nelle realtà proprie dell’esistenza coniugale e familiare» (n. 56). Sempre Familiaris consortio accenna ad una modalità comunitaria di vivere l’esperienza di fede, trovandovi un riferimento preciso alla partecipazione della famiglia alla vita e all’azione della Chiesa: «Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque, i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo» (n. 50).

Questo breve percorso dal Concilio ai decenni successivi ci ha permesso di renderci conto come il tema della santità degli sposi sia andato sviluppandosi nel tempo e prendendo sempre più la forma non della santità nello stato di vita uomo o donna sposato, ma nella dimensione di una santità familiare come compimento di uno stare insieme nel quale Dio si fa presente e sperimentabile.

La santità della famiglia infatti è certamente la santità di singole persone; allo stesso tempo, però, è una forma di santità comunitaria. Lo espresse chiaramente Papa Francesco nel suo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quando disse che «la famiglia umanizza le persone attraverso la relazione del “noi” e allo stesso tempo promuove le legittime differenze di ciascuno. Questo, attenzione, è proprio importante per capire cosa è una famiglia, che non è soltanto un’aggregazione di persone» (29 aprile 2022).

Per questa teologia della santità familiare occorre quindi superare previamente alcune posizioni del passato e anche una visione alquanto individualistica della santità, non del tutto ancora oggi scomparsa, con significative ricadute nella stessa dottrina e prassi delle Cause dei Santi.

Nel De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione Benedetto XIV parla delle donne coniugate: per loro, rispetto al marito il Magister aggiunge la verifica della presenza di ulteriori doveri (specialia sanctitatis argumenta: mansuetudine verso il marito, la suocera e tutta la famiglia, modestia e indifferenza verso il mondo femminile, governo della casa…: cf. III/2, 37, 10: ed. LEV 2017, 282ss). Analogamente si dirà per la castità coniugale, laddove il Magister mentre ricorda «santi coniugi [che] conservarono illibata la verginità» richiama pure taluni comportamenti oggi assolutamente improponibili (non è davvero il caso di riferirli, ma si potrenno leggere nel De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione III/1, 24, 57-58: ed. LEV 2015, 793-801).

Se poi consideriamo nel suo complesso la dottrina di Benedetto XIV (e questo, ovviamente, non vale soltanto per la sua epoca, ma anche per quella successiva, almeno sino al Vaticano II) appare evidente l’idea che lo status matrimoniale pur non impedendo la santificazione, non è di per sé una configurazione della vocazione universale alla santità. Altrimenti detto, secondo il Magister (la cui dottrina ha guidato e tutt’ora, per molti aspetti, guida la prassi del Dicastero delle Cause dei Santi) è certamente possibile santificarsi nel matrimonio, praticando in esso le virtù cristiane e questo anche nella forma «eroica» sì da giungere alla beatificazione; non compare, però, nulla che faccia allusione al santificarsi mediante il matrimonio.

È con il pensiero di santi come Francesco di Sales e poi con l’esperienza delle Cause dei Santi, di cui ci si occuperà pure in questa “conferenza”, che si inizia a parlare anche nell’ambito specifico dei percorsi verso la beatificazione e canonizzazione di un modo di vivere la santità, o meglio una prospettiva di riconoscimento di una santità nella forma della vita coniugale e familiare. Quella santità comune di cui parla il Concilio in Gaudium et Spes.

Il cuore della santità familiare è la perfezione della carità fra gli sposi, quella più perfetta unione e unità di Amore, nella grazia del sacramento del Matrimonio, vissuta in continua crescita sino alla più alta santità. È un amore umano totalmente trasformato, trasfigurato e sempre rinnovato dall’Amore di Cristo, lo Sposo della Chiesa. Analogamente – si direbbe – all’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana, così la santità personale di ciascuno si mescola e si moltiplica con la santità dell’altro nella comune grazia del sacramento del Matrimonio.

D’altra parte la santità cui tutti siamo chiamati è la perfezione della carità e «il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui» (Lumen gentium, nn. 40 e 42). Sono queste le due dimensioni della carità, nelle quali è rispettivamente sperimentata una duplice presenza di Gesù: «dentro» l’anima (ossia la singola persona) e «in mezzo» ad una comunità di persone. D’altronde, chi dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23) è lo stesso Gesù che ci dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Ciò si rende particolarmente evidente nel sacramento del matrimonio. Così, negli sposi santi, vediamo un bellissimo riflesso del Mistero Trinitario, della distinzione delle Persone, della loro uguaglianza e della loro Unità nell’Amore.

È anche riflesso dell’unità di Cristo e della Chiesa nello Spirito Santo, e della Santa Famiglia di Nazareth dove Gesù è contemplato «in mezzo», tra Maria e Giuseppe, nel loro verginale e vero matrimonio (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Custos e Francesco, Patris Corde). In questa luce trinitaria e cristocentrica la carità matrimoniale dei santi sposi e genitori cristiani si mostra quale riflesso dell’Amore di Dio Padre, fonte di ogni paternità e maternità, e dell’Amore di Cristo Sposo, fonte di ogni sponsalità per l’uomo e per la donna. Già il Concilio, in Gaudium et Spes aveva detto che la famiglia, all’interno della compagine sociale, «costituisce la prima forma di comunione di persone» (n. 12).

In questa prospettiva, anche il dono dei figli va guardato non come aggiunta ma come moltiplicazione della medesima ed unica santità, nella quale Cristo si fa manifesto. Generare, proteggere, crescere una nuova vita è elemento costitutivo dell’esperienza familiare, perché ad essa è finalizzato il donarsi reciproco, unico e fedele degli sposi.

E così l’amore coniugale diventa il perno attorno a cui prende vita tutta la famiglia e viene confermata nella certezza che solo un amore oblativo, un amore che si dona senza risparmio rende piena la vita di ognuno. Tutti i membri della famiglia ne sono contagiati ed edificati, fino a farne la struttura portante della vita e della propria esperienza di fede. Quello che si apprende in famiglia non fa parte di un semplice bagaglio di conoscenze: ha il potere di plasmare in profondità la mentalità e il pensiero, di giungere al punto sorgivo delle scelte e delle decisioni personali.

La via per entrare in questa santità è viverla nella forma di una spiritualità famigliare che è anzitutto una spiritualità di coppia e questo non perché si escludano i vari membri di una famiglia, ma anzitutto perché solo i due sposi sono uniti da un sacramento, che di due ha fatto uno! Mi sovviene un testo di Sant’Agostino che, nel De bono coniugali, accosta l’esperienza di due sposi a quella di due viandanti: «Fianco a fianco si uniscono coloro che camminano insieme e che insieme guardano alla stessa meta» (1,1). Queste parole di Sant’Agostino possono essere lette come un ritratto essenziale della santità familiare: camminare fianco a fianco, uniti non solo dalla vicinanza quotidiana, ma da un cammino spirituale condiviso, da una meta comune, che è Dio. Il sacramento del matrimonio non è un evento realizzatosi una volta per tutte, ma vocazione a essere sempre più «due in un solo essere» (Gen 2,24). Ne deriva che la vita matrimoniale è, per sua natura, un “cammino fatto insieme”. Ma perché questo cammino non si esaurisca nella semplice convivenza, ma in un fatto cristiano ha bisogno che il legame di questo insieme nel cammino sia la persona di Cristo. È questo legame che fonda santità coniugale e familiare: quando i coniugi, i genitori e i figli, guardano insieme verso Dio, si aiutano nella fede, si sostengono nelle fatiche, si perdonano, crescono nell’amore.

In tale cammino emergono alcuni valori, propri che sono cristiani ed umani, quali: la fedeltà che non è solo fedeltà all’altro, ma pure al progetto di Dio su entrambi; la originalità nel senso che la vocazione comune non esclude il volto personale di ciascuno; la solidarietà che si manifesta nel portare ciascuno il peso dell’altro (cf. Gal 6,2); la laicità poiché gli sposi sono fedeli laici chiamati pure a una esperienza/testimonianza di vita laicale come intesa dal Vaticano II. È così che la famiglia diventa una piccola Chiesa, secondo una bella espressione del Crisostomo (Ekklesia mikrá: Omelia su Efesini V, 20: PG 62, 143); piccola chiesa dove ciascuno si santifica nell’amore quotidiano, nei gesti semplici, nella fedeltà ai propri doveri, nella preghiera condivisa, nel servizio reciproco. La santità non è fatta di atti straordinari, ma di fedeltà nell’ordinario, vissuta insieme. Camminare fianco a fianco, guardando alla stessa meta, significa che nella famiglia cristiana nessuno è lasciato indietro: i passi lenti dei più fragili diventano il ritmo di tutti, e i più forti si fanno sostegno. La santità familiare è fatta di unità, pazienza, ascolto, e speranza condivisa.

In questa mia parola introduttiva non ho voluto fare riferimento a genitori e figli santi, anche perché è proprio l’obiettivo di queste giornate di studio che farete insieme. Vi affido quindi a loro, augurandovi buon lavoro, certo che ognuna di quelle famiglie, di quelle coppie ci offre uno scorcio particolare sul Vangelo della carità di Cristo, che è il compimento di tutte le aspirazioni del cuore e della vita degli uomini e delle donne di questo mondo. Buon lavoro.

 

Roma – Trinità dei Monti, 17 ottobre 2025

 

Marcello Card. Semeraro