Decennale della beatificazione di Odoardo Focherini

 

Io sono il cibo dei forti

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

Decennale della beatificazione di Odoardo Focherini

 

Venerdì scorso, nella memoria del beato Odoardo Focherini, il nostro quotidiano «Avvenire», ricordando pure la sua collaborazione ad alcuni giornali cattolici come «L’Avvenire d’Italia», metteva in luce la profezia che scaturisce dalla sua vita: «Non guarda in faccia nessuno chi è testimone della carità di Dio, non chiede documenti chi fa del Vangelo il proprio sentiero quotidiano, non indaga sulle origini dei bisognosi chi segue il Risorto nella propria vita». Alludeva all’opera di salvataggio a favore degli ebrei e vedeva in qualche modo manifestata tale profezia nelle parole che egli scrisse alla moglie il 3 agosto 1944 dal campo di concentramento in cui si trovava: «In ogni ora nella preghiera ci ritroveremo anche davanti a Dio per pregarlo di aiutarci, di proteggerci di darci luce e forza, coraggio e fede, di santificare e fruttificare a nostro vantaggio e per i nostri bimbi il nostro dolore».

Oggi celebriamo in Italia la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Il Martirologio Romano ne fa questo «elogio»: «con il suo sacro nutrimento egli offre rimedio di immortalità e pegno di risurrezione». In questa luce noi possiamo considerare pure la figura del nostro Beato. È singolare che nei soli 12 anni (dal 1930 al 1942) che Odoardo Focherini visse, da cristiano attivo, nella Diocesi di Carpi ci furono cinque avvenimenti che ne scandirono il cammino: i Congressi Eucaristici. Il primo di questi fu dal 25 al 28 aprile 1929 e fu il primo a essere celebrato in Italia, dopo i Patti Lateranensi. Fu voluto dal vescovo diocesano Mons. Giovanni Battista Pranzini il quale affidò a Focherini tutta la propaganda e l’ufficio stampa... In breve, egli fu pure il segretario del congresso. Il suo impegno è così ricordato: «Lo prepara e lo vive, con quella intima pietà che lo trasfigurava. Poiché se nella vita quotidiana e nei quotidiani rapporti di lavoro e di amicizia egli era l’uomo che mai dimenticava di essere cristiano, nei suoi intimi rapporti con Dio egli era il cristiano che anelava alla santità» (Positio super Martyrio, Biographia Documentata, p. 64). Gli altri Congressi furono nel 1933 a Concordia sulla Secchia, poi nel 1937 a Mirandola, quindi nel 1938 a Fossa di Concordia .

L’ultimo fu nel 1942 e lo stesso Focherini vi prese la parola invitando i giovani a vivere e a far vivere la Messa «assistendovi liturgicamente – disse; imparando bene ed eseguendo il canto della messa; accostandosi frequentemente e fervorosamente alla Santa Comunione». Così concludeva: «Mostriamo alle folle, con la nostra partecipazione attiva alla Messa e col nostro canto, il ponte che solo può far vincere la voragine, additiamo l’arcobaleno che sta ad indicare salvezza. Facciamo nostro il motto: “Vivere la Chiesa”. Siamo certi che una nuova epoca si aprirà per la società. Soltanto quando attorno ad ogni altare ove Cristo si immola per l’uomo vi saranno folle genuflesse in preghiera, l’Agnello avrà misericordia dì noi, il Padre darà ai figli ogni suo bene. Soltanto quando Cristo sarà amato e quando sarà conosciuto nel mistero sublime dell’umano amore, l’uomo potrà aspirare a fare della terra un vivaio di bene, un giardino di generosità. Giovani, bisogna cominciare da noi. Noi daremo quello che avremo ricevuto. Viviamo per Cristo e con Cristo. Per portarlo agli altri e far della terra un altare» (Ivi, p. 64).

Queste parole così incoraggianti ci introducono bene alla meditazione sulla Parola del Signore, che abbiamo da poco ascoltato: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55). Riflettiamo, sorelle e fratelli carissimi, su questa parola di Gesù e cominciamo col fare un confronto. Gesù chiama carne il suo corpo ed è lo stesso termine che troviamo al principio del Vangelo secondo Giovanni, dove è scritto che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

A che scopo questo paragone? Per dire che pure il pane e la bevanda che fra poco saranno posti sull’altare, una volta trasformati dalla potenza creatrice dello Spirito nel corpo e nel sangue del Signore saranno il luogo spirituale della sua dimora in mezzo a noi. Nella santa Eucaristia Gesù stesso, in persona, convive con noi. Si dirà di più, giacché abbiamo pure ascoltato: «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Allora, non è soltanto una co-abitazione, bensì una in-abitazione. Dall’apostolo Paolo abbiamo ascoltato: «il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?». Questo, appunto, fa il pane eucaristico: comunione. «Siamo, benché molti un solo corpo», conclude l’Apostolo e così si realizza in modo inedito e inaudito la profondità del comandamento di Dio: «I due saranno un’unica carne» (Gen 2,24).

Un tale linguaggio, di mutua dimora e di reciproca immanenza, è ai limiti non solo del dicibile, ma pure dell’immaginabile. Non tendono, forse, gli amanti, proprio a questa mutua inabitazione attraverso i gesti del loro affetto e del loro amore? Non sono gesti che quasi vorrebbero che gli amanti siano l’uno nell’altra? Nell’Eucaristia questa tensione è ancora più vera. È compiuta ed è una fonte inesauribile da cui può attingere ogni amore. Non solo l’amore coniugale, ma ogni amore, incluso quello mostrato dal nostro beato quando aprì una porta di salvezza a decine e decine di ebrei perseguitati dal nazifascismo. Per questo egli fu arrestato e internato nei campi di concentramento di Fossoli, Gries, Flossenburg e Hersbruck.

Anche Sant’Agostino parla della reciproca inabitazione di cui abbiamo sentito dal Vangelo e lo fa lasciandoci una bella descrizione della Eucaristia. La chiama cibo dei forti. Questa immagine voglia applicarla senz’altro al nostro beato, mentre ricordiamo il decennale della sua beatificazione. Ricordando, dunque, il suo incontro con Cristo, Sant’Agostino ripete le parole che egli sentiva risuonare nel suo intimo: «Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me» (Conf. VII, 10, 16: PL 31,743). Ricordiamola anche noi, questa promessa di Gesù, nonostante le nostre debolezze e difficoltà: «Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai». Amen.

 

Cattedrale di Carpi, 10 giugno 2023

 

Marcello card. Semeraro