Omelia alla 48ma Conferenza Nazionale Animatori del «Rinnovamento nello Spirito»

 

Camminiamo secondo lo Spirito

Omelia alla 48ma Conferenza Nazionale Animatori del «Rinnovamento nello Spirito»

 

A voi tutti il mio cordiale saluto e l’augurio per i vostri lavori in questa vostra 48ma Conferenza Nazionale Animatori, che celebrate meditando e pregando sul tema paolino: Camminiamo secondo lo Spirito (Gal 5,25). Su questo avete già avuto una istruzione specifica e ciò mi esonera dall’aggiungere altro. Oggi, però, celebriamo la memoria liturgica di sant’Ambrogio, vescovo e padre della Chiesa, uno dei quattro grandi Dottori della Chiesa latina. Un Inno, comunemente a lui attribuito, che la Chiesa ripete nella preghiera per l’Ora Terza, così ci fa pregare: «Tu che invocato ti effondi, con il Padre e col Figlio unico Dio, o Spirito, discendi senza indugio nei cuori. Gli affetti, i pensieri, la voce cantino la tua lode; la tua fiamma divampi e gli uomini accenda d’amore» (Inno Nunc sancte nobis Spiritus).

Anche riprendendo il brano paolino, sant’Ambrogio dice: «Siamo morti al peccato e nello Spirito siamo stati creati uomini nuovi. E allora, se abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo, camminiamo secondo questo Spirito» (De Jacob et vita beata 5, 18: PL 14, 606). Quando Papa Francesco pensa ad esso s’immagina una lunga escursione in alta montagna e dice così: «Credere in Gesù significa seguirlo, andare dietro a Lui sulla sua strada, come hanno fatto i primi discepoli. E significa nello stesso tempo evitare la strada opposta, quella dell’egoismo, del cercare il proprio interesse, che l’Apostolo chiama “desiderio della carne”. Lo Spirito è la guida di questo cammino sulla via di Cristo, un cammino stupendo ma anche faticoso, che comincia nel Battesimo e dura per tutta la vita. Pensiamo a una lunga escursione in alta montagna: è affascinante, la meta ci attrae, ma richiede tanta fatica e tenacia» (Catechesi 3 novembre 2021).

Questa immagine mi fa pensare subito al beato Pier Giorgio Frassati, del quale il Papa ha annunciato la canonizzazione nella prossima Giornata Mondiale della Gioventù. Sono molte le foto che ce lo ritraggono mentre fa le sue scalate in alta montagna. San Giovanni Paolo II, che una volta lo chiamò «valente alpinista», nell’Omelia per la Beatificazione il 20 maggio 1990 disse di lui: « Egli proclama, con il suo esempio, che è “beata” la vita condotta nello Spirito di Cristo, Spirito delle Beatitudini, e che soltanto colui che diventa “uomo delle Beatitudini” riesce a comunicare ai fratelli l’amore e la pace. Ripete che vale veramente la pena sacrificare tutto per servire il Signore. Testimonia che la santità è possibile per tutti e che solo la rivoluzione della carità può accendere nel cuore degli uomini la speranza di un futuro migliore».

La memoria di sant’Ambrogio ci ha fatto ascoltare una pagina dal vangelo secondo Matteo, alla quale è doveroso portare la nostra attenzione. Ci sono delle parole che è davvero importante sottolineare. Una è la parola compassione ed è da qui che nasce la chiamata dei Dodici, la loro missione. Certo, non li manda ancora nel mondo intero, li manda però alle «pecore perdute» e lì ci siamo tutti noi. Guardiamo oramai alla festa del Natale e in tale contesto mi torna alla memoria una frase che Matta el Meskin (1919-2006), una delle maggiori figure spirituali della Chiesa copta ortodossa, diceva «Fino ad oggi abbiamo festeggiato il natale del Cristo della famiglia, il Cristo della dottrina racchiusa in se stessa, il Cristo dei virtuosi e dei pii, il Cristo di chi ha la pelle bianca. Non è forse giunto il momento, fratelli, di festeggiare il natale del Cristo del mondo intero? Il Cristo di ogni popolo in terra e in cielo, di ogni nazione, lingua e colore della pelle? Il Cristo di tutti coloro che si appellano a Dio anche senza conoscerlo? Il Cristo dei poveri della terra che non sanno cosa è bene e cosa è male per loro? Il Cristo delle pecore smarrite, dei giovani derelitti, il Cristo dei peccatori, dei pubblicani, delle prostitute e di tutti coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte, che attendono il sorgere della luce della salvezza? Ecco il vero Cristo che è nato a Betlemme ed è stato crocifisso sul Golgota: il Cristo del mondo intero» (L’umanità di Dio, Qiqajon, Magnano 2015, p. 93).

Gesù inviò i Dodici. Anche noi siamo mandati nel mondo: siamo per questo in una Chiesa «apostolica». Tale lo è non soltanto perché prosegue nella storia il mandato dei Dodici. Il mandato di «andare» nel mondo (e non sarà anche questo un camminare secondo lo Spirito?) non lo hanno, infatti, solo i successori degli Apostoli, ma lo abbiamo tutti noi e dobbiamo esercitarlo con compassione, come Gesù.

Nei giorni scorsi, per il mio ufficio nel Dicastero delle Cause dei Santi, ho letto la vita di Pierre Goursat, un fedele laico che, nel mezzo del cammin della sua vita (come direbbe Dante) sperimentò l’effusione dello Spirito e fondò la «Comunità dell’Emmanuele», avviando pure numerose iniziative apostoliche. Il trinomio che ha guidato la sua vita è stato questo: «adorazione, compassione, evangelizzazione».

Notate, vi prego, questa successione: adorazione, compassione, evangelizzazione. Tutto nasce dalla contemplazione, dall’adorazione dell’Eucaristia ed ha come sua prima apertura la compassione stessa di Cristo, che conduce al servizio dei poveri, dei malati, delle persone sole ed emarginate, e solo dopo ciò apre al servizio dell’evangelizzazione. Per cosa? Per annunciare il Risorto a tutti gli uomini, che soffrono perché non conoscono Dio e non sanno di essere amati da lui. Non vi pare che questa vita del Servo di Dio Pierre Goursat sia un bel commento della pagina del vangelo oggi proclamata e ascoltata?

Carissimi, i più bei commenti e le migliori esegesi del Vangelo non sono le opere dei biblisti e dei commentatori, anche se ci sono tanto utili. I migliori commenti, però, sono quelli tradotti dalla vita di ogni cristiano, di ciascuno di noi. Ogni cristiano è chiamato ad essere «esegesi» del Vangelo.

C’è un passo in 2Cor 3,3 che dice: «voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani». Quel genitivo: «di Cristo», è un genitivo di autore; vuol dire che Cristo stesso è il mittente di questa lettera. Siamo la «lettera», che Cristo invia al mondo e la materia con cui l’ha scritta, questa lettera, è lo Spirito.

Ascoltiamo ancora sant’Ambrogio: «Se tu sei la lettera scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito di Dio, allora inzuppa la tua carne nel sangue di Cristo e bagna tutti i tuoi passi nella croce del Signore» (cf. Exp. Ev. sec. Lucam, V, 106; PL 15, 1665).

 

Rimini – Palazzo dei Congressi, 7 dicembre 2024

 

Marcello Card. Semeraro