Cristiani capaci di discernimento
Omelia alla redazione milanese di «Avvenire» in preparazione al Natale del Signore
Nei racconti del vangelo troviamo due categorie di bambini. La prima è quella per i quali Gesù dice: «Lasciate che i bambini vengano a me»; bambini che Gesù prende fra e braccia e con i quali gioca, come tante volte facciamo pure noi coi nostri bambini (cf. Mc 10,14-16); la seconda categoria è quella dei bambini capricciosi e amano fare i dispetti. Questo tipo lo abbiamo appena ascoltato dal racconto del vangelo secondo Matteo: «bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”» (11,16-17). Non sono due ti di bambini, ma due tipi di umanità; non tipi di persone, ma stili umani e non soltanto in rapporto alla questione religiosa, ma alla stessa vita. Forse un giornalista, o chi, come voi, lavora nel mondo della comunicazione dovrebbe prestarvi attenzione.
Ricordo che nel suo primo messaggio per l’annuale Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali scrisse: «La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino» (Messaggio del 24 gennaio 2014 per la 48ma Giornata Mondiale). Come rispondere a queste situazioni? Vi proporrei tre tipi di risposte, tratte dalla esperienza e dalla saggezza umana e cristiana.
La prima risposta la ricavo da un poeta romano, Quinto Orazio Flacco. Nella prima satira del primo libro delle Satire egli tratta della situazione umana di chi è sempre insoddisfatto. Si rivolge a Mecenate e gli domanda: «Come mai nessuno è contento del proprio mestiere, che se lo sia scelto o l’abbia avuto dal caso, e invidia chi segue strade diverse?». Ma non basta, perché non ci sono soltanto gli incontentabili, ma pure gli insoddisfatti. La risposta di Orazio per superare queste situazioni la conosciamo ed è condensata nella formula latina est modus in rebus: «In tutte le cose c’è un limite, vi son dei confini: prima e dopo questi, si è fuori della giusta misura» (Satire I, 1, 106-107). Si tratta, allora, di evitare gli eccessi: i facili entusiasmi, per un verso e gli immotivati scoraggiamenti; evitare i giudizi improvvisati; dare tempo al tempo. È saggezza umana, ma non per questo non valida.
La seconda risposta la ricavo dalla tradizione rabbinica e questa ci porta in un altro tipo di relazioni: la relazione con Dio. La ricavo dalle storie di Rabbi Baruch di Mesbiž, nipote del Baal Shem Tov, il fondatore del movimento chassidico. La storia dice che «il nipote di Rabbi Baruch, il ragazzo Jehiel, giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. Egli si nascose ben bene e attese che il compagno lo cercasse. Dopo aver atteso a lungo uscì dal nascondiglio; ma l’altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora che quello non l’aveva mai cercato. Questo lo fece piangere, piangendo corse nella stanza del nonno e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Baruch si empirono allora di lacrime ed egli disse: “Così dice anche Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi vuole cercare”» (M. Buber, I Racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, p. 128). Il testo è molto somigliante al racconto evangelico. Qui, infatti, Dio paragona il comportamento dispettoso del bambino che non vuole giocare al comportamento degli uomini verso di lui. C’è il desiderio di Dio di stare con gli uomini e di avere con loro un rapporto gioioso, sereno: non è questo il mistero della Incarnazione, di un Dio che viene ad «abitare» con noi? (cf. Gv 1,14). C’è un Dio che desidera «essere cercato» come una mamma e un papà domandano al figlioletto, o alla loro bambina: «mi vuoi bene?» e attendono come risposta: «Si, ti voglio bene!».
La terza risposta la traggo dagli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola e in particolare dal tema delle due «mozioni» di cui scrive a partire dal n. 313: «Regole per sentire e conoscere in qualche modo le varie mozioni che si producono nell’anima: le buone per accoglierle e le cattive per respingerle…». Non si tratta di regole matematiche, ma di un procedimento ermeneutico – così lo chiamerei – per capirsi, anzitutto, e per capire ciò che accade attorno a me. Possiamo riassumere tutto nella parola «discernimento», che è l’esperienza con cui, chi compie gli «esercizi», è condotto, sostenuto dallo Spirito Santo, a riconoscere le mozioni interiori provenienti dagli spiriti buoni o cattivi, per accogliere le prime e respingere le altre. Penso che sia proprio questa la «sapienza riconosciuta giusta per le opere che essa compie» di cui abbiamo udito nel Santo Vangelo.
Milano, 13 dicembre 2024
Marcello Card. Semeraro