La Croce è Amore
Omelia nell’anniversario della nascita al cielo della beata Benedetta Bianchi Porro
Desidero dire subito, carissimi fratelli e sorelle, la mia riconoscenza al vostro Vescovo per avermi invitato a ricordare con lui e tutti voi Benedetta Bianchi Porro nell’anniversario del suo transito nella casa del Padre; e dire pure la mia intima gioia per questo stare insieme attorno alla mensa dell’Eucaristia, accanto alla tomba che custodisce il corpo della Beata.
Durante proclamazione della pagina del vangelo abbiamo ascoltato: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Domandiamoci: i discepoli, come percepirono queste parole, quando il Signore le pronunciò? Il supplizio della croce lo conoscevano certo, giacché era praticato nell’impero romano. Secondo Cicerone la stessa parola «croce» era talmente terribile da dover essere tenuta lontana non solo dal corpo di un cittadino romano, ma pure dai suoi pensieri, dai suoi occhi e dalle sue orecchie (cf. Pro Rabirio V, 16). Cosa dunque avranno pensato i discepoli nel sentire quelle parole di Gesù? L’essere suoi discepoli comportava senz’altro essere esposti a una morte obbrobriosa e infamante? Perché, allora, seguirlo? Comprendiamo, allora, la reazione dell’apostolo Pietro il quale, di fronte a questa prospettiva, disse a Gesù: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22).
Quando, però, gli evangelisti riportano la frase di Gesù la Via Crucis è già accaduta ed allora il «prendere la croce» significa assumere una mentalità disposta a ritenere scontate le prove e la sofferenza? E se stoicamente ciò è destino di tutti, allora la forma di viverlo da parte di un discepolo di Gesù sarà quella di rassegnarvisi nella prospettiva di una ricompensa nell’altra vita? Dobbiamo riconoscere che proprio questa è la risposta abituale nella spiritualità cristiana, suggerita peraltro dalla Imitazione di Cristo dove si legge: «Tutto dipende dalla croce … La croce è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. In ogni cosa devi saper soffrire, se vuoi avere la pace interiore e meritare il premio eterno» (II, 12, 2). Forse che la nostra Beata alludeva a questo quando in una lettera scriveva: «Il nostro dolore è il nostro pane, come dice l’Imitazione “l’ombra della Croce sovrasta tutto”» (Lettera a Maria Grazia Bolzoni del 9 aprile 1961)?
Vi confido, carissimi, che davanti ad una simile risposta io sono fortemente perplesso. Non soltanto per ciò che intendesse Benedetta Bianchi Porro nel passo appena citato, ma per la prospettiva in se stessa! È davvero questo che ci chiede il vangelo? Penso proprio di no. Le parole di Gesù, infatti, noi dobbiamo considerarle alla luce della nostra fede in un crocifisso che è Risorto dai morti, che è «Colui che è, che era e che viene, come per tre volte ripete il libro dell’Apocalisse (cf. 1,4.8; 4,8). Intendo chiedere: annunceremo il Crocifisso guardando al passato, oppure a quel «futuro» che di continuo, soprattutto nella celebrazione della Eucaristia, irrompe in mezzo a noi? Una volta Benedetto XVI disse che senza la risurrezione la croce rimarrebbe una tragedia, indicazione dell’assurdità dell’essere (cf. Udienza del 5 novembre 2008). È così, fratelli carissimi: la croce da sola non può spiegare la fede cristiana.
Cosa è, allora, la Croce nella luce della Pasqua? È amore, amore che si dona e che trasforma. L’unico modo di intendere la Croce è il “vangelo della grazia”, diceva ancora Benedetto XVI (cf. Udienza del 29 ottobre 2008). Ed è in questa prospettiva che noi, insieme con le parole di Gesù dobbiamo considerare l’esistenza terrena e l’esperienza spirituale della beata Benedetta Bianchi Porro.
La prima, lo sappiamo, è stata fin dal principio segnata in crescendo dalla sofferenza fisica rimanendo disabile al punto da essere come immersa nel buio e nel silenzio; la seconda, invece, ossia la sua esperienza spirituale, è stata un lasciarsi attrarre dalla forza del Risorto che ha trasformato le lacrime del pianto in acqua che irrora e feconda. Leggiamo in una sua lettera: «Ora con me c’è Dio e sto bene… Io vivo in un deserto silenzioso, ma con la luce della preghiera, del resto presto suonerà la campana e Lui, finalmente, ci verrà incontro» (Lettera ad A.L. Conti del maggio 1963: Epist. 171).
Permettetemi un breve commento a questa frase, che contiene – così mi pare – un richiamo a un romanzo di Ernest Hemingway dal titolo: Per chi suona la campana. È una frase che a sua volta richiama una celebre lirica di John Donne dove, in relazione al concetto secondo cui nessun uomo è un’isola, si legge: «E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te»! Questa espressione la beata Benedetta la ripete nell’attesa della venuta del Signore, personalizzando pure le parole dei discepoli di Emmaus: «Resta con me Signore, perché si fa sera … Sono cieca, sorda, quasi muta perché a fatica mi faccio capire, ma io dico con S. Giovanni nel Vangelo: In principio … era la Luce …» (Ivi).
Non penso che il riferimento letterario appena fatto sia fuor di luogo. Oltre tutto il 17 luglio dello scorso anno papa Francesco ha firmato una lettera sul Ruolo della letteratura nella formazione dove si legge: «Nella lettura, il lettore si arricchisce di ciò che riceve dall’autore, ma questo allo stesso tempo gli permette di far fiorire la ricchezza della propria persona, così che ogni nuova opera che legge rinnova e amplia il proprio universo personale» (n. 3). Penso che questo sia un aspetto da sottolineare anche riguardo alla beata Benedetta e lo dico perché mi viene suggerito da un altro breve pensiero che registrato il 23 maggio 1961. Quel giorno Benedetta annota: «Ho letto in “Agostino Meridiér”: ‘bisogna immolarsi sull’altare che ci è offerto”… E ancora: ‘Dio è in fondo al nostro cuore’…».
Questa citazione mi stupisce per due ragioni: anzitutto perché il romanzo cui essa allude è l’Augustin ou le Maître est là di Joseph Malègue: un romanzo (all’epoca già tradotto pur in lingua italiana) che disegna il viaggio interiore di un uomo che, pur fra le tortuosità della vita, si apre pian piano alle evidenze della fede sino a scoprire la costante presenza di Dio accanto a lui. La frase le Maître est là del titolo richiama, infatti, le parole che Marta dice a Maria: «Il Maestro è qui e ti chiama» (Gv 11,28).
La seconda ragione per cui la citazione mi sorprende è perché Joseph Malègue è un autore divenuto noto in questi ultimi anni perché citato da papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate là dove scrive della «santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”» (n. 7 e nota 4).
Dal romanzo di Malègue la nostra Beata riprende – un po’ come «santa della porta accanto» –una parola e la fa sua: la parola offerta. Il 28 febbraio 1961 scriverà alla sua mamma: «Mammina, io credo all’Amore disceso dal cielo, a Gesù Cristo e alla sua “Croce gloriosa” (S. Teresa del B.G.)!! Sì io credo all’Amore!». Un pensiero scritto il 27 maggio 1961 dello stesso anno invoca: «Gesù, datemi amore: Voi siete l’Amore…». La citazione di santa Teresa di Lisieux con l’espressione «Croce gloriosa» è uno spiraglio che ci permette di guardare nell’animo di Benedetta Bianchi Porro. L’espressione si trova, infatti, nelle pagine del Manoscritto B dove Teresa richiama le tante vocazioni che sentiva pulsare nel suo cuore e alla fine fa la sua scelta: nell’eccesso della gioia esclama: «O Gesù, mio Amore… la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore!» (n. 254).
Allora, carissimi: mi domandavo in principio come noi, oggi, alla luce della sua risurrezione dobbiamo leggere la parola di Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me prenda la sua croce». La risposta che ci viene dalla beata Benedetta è questa: «Il sacrificio unito alla Croce del Signore è l’unico fiore che dia frutto» (Pensiero dell’8 aprile 1962). A me sembra risentire sant’Agostino, che diceva: «quando si ama non si fatica, o, se si fatica, questa stessa fatica è amata (in eo quod amatur, aut non laboratur, aut et labor amatur)» (cf. De bono viduitatis 23: PL 40, 448). È così che Benedetta Bianchi Porro ha guardato alla croce. Ha capito che la croce è amore e per questo l’ha amata.
Dovadola (FC), chiesa di Sant’Andrea, 23 gennaio 2025
Marcello Card. Semeraro