Omelia nella beatificazione di Gaietà Clausellas e Antonio Tort, martiri

 

Seguire Cristo ovunque egli conduca

Omelia nella beatificazione di Gaietà Clausellas e Antoni Tort, martiri

 

Siamo ormai al termine dell’anno liturgico e la Chiesa, come lettura biblica per i diversi momenti di preghiera comunitaria, sceglie testi che aprono lo scenario della fine dei tempi. Anche in questa santa Messa, aprendo il libro dell’Apocalisse, la parola di Dio ci ha mostrato una moltitudine immensa che grida: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (cf. Ap 7,9-10). Fra loro noi oggi riconosciamo presenti anche i due martiri che la Chiesa ha appena dichiarato beati: il sacerdote Gaetano Clausellas e il fedele laico Antonio Tort.

Nel suo decreto, la loro personale vicenda il Papa l’ha descritta con l’immagine evangelica del buon Samaritano, nel quale noi riconosciamo lo stesso Gesù. Come lui, anche i due nuovi Beati hanno mostrato grande carità verso chi è più povero e nel bisogno. Così ha fatto il beato Gaetano Clausellas, nel quale, come hanno riconosciuto, l’umiltà era la compagna della sua carità; così ha fatto pure il beato Antonio Tort, il quale amava prendersi cura dei malati di tubercolosi e delle persone anziane. A questa testimonianza della carità l’uno e l’altro rimasero fedeli, anche quando ciò espose al pericolo la loro stessa vita. Mentre era condotto al luogo dell’uccisione, il beato Gaetano pregava con le parole del Te Deum, l’antico inno che si chiude con le parole: «In te, Signore, è la mia speranza». Del beato Antonio, poi, i testimoni dicono che per proteggere l’Eucaristia dalla profanazione, tolse la pisside dalle mani di un miliziano e distribuì il pane consacrati ai presenti. Offrendolo al suo figlio più piccolo di cinque anni disse: «Ti tolgono il tuo papà terreno e io ti affido al Padre del cielo».

Queste testimonianze di martirio, così intense e pure commoventi, oggi la Chiesa ci propone di comprenderle alla luce della parola di Gesù, che troviamo nel vangelo secondo Giovanni (cf. Gv 12,24-26). Il racconto che è stato proclamato è da collocarsi nel momento dell’ultima Pasqua del Signore, quando egli annuncia ai suoi discepoli il compimento della sua «ora»: un momento che è il punto culminante della sua storia terrena e che la sua glorificazione e, prima ancora, la sua morte di croce.

La prima immagine del testo evangelico ci avverte della fecondità di questo evento: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Come è possibile? All’apparenza si tratta, infatti, di un momento davvero tragico: Gesù è tradito, abbandonato, crocifisso. All’interno di questo dramma, però, cresce una vita. Quale la condizione? Non considerare la propria vita come un possesso da tenere con avarizia, come un bene unico da difendere a tutti i costi, ma, al contrario, aprendola all’incontro, alla misericordia, alla cura dell’altro e questo non soltanto per solidarietà e filantropia, che pure sono gesti importanti e meritevoli di stima, ma imitando Gesù. Egli vuole dirci che la nostra vita – quella di noi suoi discepoli anzitutto, ma poi anche quella di ogni uomo – ha fecondità solo nel dono, nell’amore.

Nella pagina del santo vangelo che è stato proclamato, carissimi, c’è una parola che vorrei sottolineare per me e per voi; per noi tutti e amerei che restasse parola-ricordo di questa bella celebrazione, ricca di gioia e di speranza. Dice Gesù: «se uno mi vuole servire, mi segua» (v.26). Sant’Agostino commentava dicendo che seguire Gesù vuol dire imitarlo; aggiungeva, però, che Gesù vuole che le vie da seguire siano le sue e non quelle che ci tracciamo da noi stessi. Scendendo al concreto aggiungeva: «Così, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato da misericordia, non per vanità… Chi compie per Cristo, non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell’offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo» (cf. In Jo. evang. tractatus 51, 12: PL 35, 1768). E qui, carissimi, ritroviamo le persone dei nostri beati martiri. Cosa è stato, infatti, il loro martirio, se non un seguire Cristo? Non hanno seguito se stessi, ma Cristo! La testimonianza che ci giunge da loro è questa: seguire Cristo!

Una simile indicazione ci giunge da un altro padre della Chiesa, questa volta dell’Oriente. Si tratta di san Gregorio di Nissa, autore, fra l’altro, di una Vita di Mosè ch’è opera di grande importanza perché traccia come il percorso per l’incontro dell’uomo con Dio. Qui si ricorda che a Mosè Dio disse che avrebbe potuto vederlo solo di spalle e commenta: «Mosè era ansioso di vedere Dio, ma ciò gli sarà possibile solo se continuerà a seguirlo ovunque vorrà condurlo. Vedere Dio è questo» (De Vita Moysis: PG 44, 408). È, in fin dei conti, quello che hanno fatto i nostri due beati: hanno lasciato a Dio la scelta della loro strada. Certo, una scelta di vita cristiana l’avevano già fatta ambedue rispondendo ad una vocazione: uno scegliendo il ministero sacerdotale e l’altro la missione di marito e di padre. Ambedue, poi, avevano dato a tutto questo il calore della carità verso il prossimo. Non poteva bastare?

Un grande maestro dell’ebraismo rabbinico, Martin Buber, ha scritto che il cammino dell’uomo deve sì cominciare da se stessi, ma non può terminare a se stessi: bisogna «conoscere se stessi, ma non per dedicarsi a se stessi», scriveva (Il cammino dell’uomo, Einaudi, Torino 1923, p. 36). È, in fondo quello che abbiamo ascoltato da Gesù: «Chi ama la propria vita, la perde». Ecco, seguendo Gesù i nostri due Beati hanno capito che le loro scelte di vita non bastavano e che Dio aggiunge sempre una vocazione nella vocazione; hanno capito che il loro seguire Gesù li conduceva dove non avrebbero mai immaginato di giungere. Però hanno accettato di essere condannati come lui per il dono agli altri della propria vita. È questo che fa il martire: l’imitazione di Cristo, anche quando il seguirlo porta alla scelta di accettare la morte.

Cito ancora sant’Agostino il quale predicava: «Cristo andò avanti e molti lo seguirono. La via, in realtà, era molto faticosa, ma egli la rese praticabile quando la percorse per primo» (cf. Sermo 327: In Natali Martyrum 1,1: PL 38, 1452). L’esempio e l’intercessione dei nuovi Beati aiuti anche noi a seguire la via di Cristo, lasciando infine a lui la scelta, sicuri che, in ogni caso, sarà una via di amore, che ci condurrà a stare tutti insieme nella casa del Padre. Amen.

 

Basilica de la Sagrada Família, Barcelona – 23 novembre 2024

 

Marcello Card. Semeraro

 

 

 

Inizio omelia in Catalano

 

Estimats germans i germanes,

Som ja al final de l’any litúrgic i l’Església, com a lectura bíblica per als diversos moments de pregària comunitària, tria textos que obren l’escenari de la fi dels temps. També en aquesta santa Missa, obrint el llibre de l’Apocalipsi, la paraula de Déu ens ha mostrat una multitud immensa que crida: «La salvació pertany al nostre Déu, assegut al tron, i a l’Anyell» (cf. Ap 7,9-10). Entre ells, avui reconeixem també presents els dos màrtirs que l’Església acaba de declarar beats: el sacerdot Gaetano Clausellas i el fidel laic Antoni Tort.

En el seu decret, el Papa ha descrit la seva vicenda personal amb la imatge evangèlica del bon Samarità, en el qual reconeixem el mateix Jesús. Com ell, també els dos nous Beats han mostrat una gran caritat envers els més pobres i necessitats. Així ho va fer el beat Gaetano Clausellas, en qui, com van reconèixer alguns, la humilitat va ser companya de la seva caritat; així ho va fer el beat Antoni Tort, que estimava tenir cura dels tuberculosos i dels ancians.

A este testimonio de caridad ambos permanecieron fieles, incluso cuando ello ponía en peligro sus propias vidas. Mientras era conducido al lugar donde fue asesinado, el Beato Gaetano rezaba las palabras del Te Deum, el antiguo himno que concluye con las palabras: «En ti, Señor, pongo mi esperanza». Del beato Antonio cuentan los testigos que, para proteger la Eucaristía de la profanación, tomó la píxide de las manos de un miliciano y distribuyó el pan consagrado a los presentes. Ofreciéndoselo a su hijo menor, de cinco años, le dijo: «Te quitan a tu padre terrenal y yo te encomiendo al Padre que está en los cielos».

Estos testimonios de martirio, tan intensos e incluso conmovedores, hoy la Iglesia nos propone comprenderlos a la luz de la palabra de Jesús, que encontramos en el Evangelio según San Juan (cf. Jn 12,24-26). El relato proclamado hay que situarlo en el momento de la última Pascua del Señor, cuando anuncia a sus discípulos el cumplimiento de su «hora»: un momento que es el punto culminante de su historia terrena y de su glorificación y, antes, de su muerte en cruz.

La primera imagen del texto evangélico nos advierte de la fecundidad de este acontecimiento: «Si el grano de trigo, caído en tierra, no muere, queda solo; pero si muere, da mucho fruto». ¿Cómo es posible? A primera vista, en efecto, se trata de un momento verdaderamente trágico: Jesús es traicionado, abandonado, crucificado. Sin embargo, dentro de este drama, crece una vida. ¿Cuál es la condición? No considerar la propia vida como una posesión que hay que poseer con avaricia, como un bien único que hay que defender a toda costa, sino, por el contrario, abrirla al encuentro, a la misericordia, al cuidado de los demás, y esto no sólo por solidaridad y filantropía, que también son gestos importantes y dignos de estima, sino imitando a Jesús. Quiere decirnos que nuestra vida -la de nosotros sus discípulos en primer lugar, pero también la de cada hombre- sólo tiene fecundidad en el don, en el amor.

En la página del santo Evangelio que se ha proclamado, queridos amigos, hay una palabra que quisiera subrayar para mí y para vosotros; para todos nosotros, y quisiera que quedara como palabra de recuerdo de esta hermosa celebración, llena de alegría y de esperanza. Jesús dice: «El que quiera servirme, que me siga» (v. 26). San Agustín comentaba que seguir a Jesús es imitarle; añadía, sin embargo, que Jesús quiere que los caminos a seguir sean los suyos y no los que nosotros nos trazamos. Pasando a lo concreto, añadía: «Así, por ejemplo, si uno ofrece pan a alguien que tiene hambre, debe hacerlo por misericordia, no por vanidad... Quien realiza por Cristo, no sólo obras corporales de misericordia, sino cualquier obra buena, es siervo de Cristo, sobre todo si llega a esa gran obra de caridad que consiste en ofrecer la vida por los hermanos, lo que equivale a ofrecerla por Cristo» (cf. In Jo. evang. tractatus 51, 12: PL 35, 1768). Y aquí, queridos amigos, encontramos las personas de nuestros bienaventurados mártires. En efecto, ¿qué fue su martirio sino un seguimiento de Cristo? No se siguieron a sí mismos, sino a Cristo. El testimonio que nos llega de ellos es éste: ¡seguid a Cristo!

Una indicación similar nos llega de otro padre de la Iglesia, esta vez de Oriente. Se trata de san Gregorio de Nisa, autor, entre otras cosas, de una Vida de Moisés, obra de gran importancia porque traza el camino para el encuentro del hombre con Dios. Aquí recuerda que Dios le dijo a Moisés que sólo podía verle de espaldas y comenta: «Moisés estaba ansioso por ver a Dios, pero esto sólo le será posible si continúa siguiéndole a donde Él quiera llevarle. Ver a Dios es esto» (De Vita Moysis: PG 44, 408). Esto es, después de todo, lo que hicieron nuestros dos Beatos: dejaron que Dios eligiera su camino. Por supuesto, ambos habían hecho ya una opción de vida cristiana respondiendo a una vocación: uno eligiendo el ministerio sacerdotal y el otro la misión de esposo y padre. Ambos habían puesto además en todo esto el calor de la caridad hacia el prójimo. ¿No habría sido esto suficiente?

Un gran maestro del judaísmo rabínico, Martin Buber, escribió que en efecto el camino del hombre debe comenzar por sí mismo, pero no puede terminar en sí mismo: hay que «conocerse a sí mismo, pero no dedicarse a sí mismo», escribió (Il cammino dell'uomo, Einaudi, Torino 1923, p. 36). Es, al fin y al cabo, lo que hemos oído decir a Jesús: «El que ama su vida, la pierde». He aquí que, siguiendo a Jesús, nuestros dos Beatos comprendieron que sus opciones de vida no bastaban y que Dios añade siempre una vocación dentro de la vocación; comprendieron que su seguimiento de Jesús les llevaba adonde nunca imaginaron que irían. Pero aceptaron ser condenados como él por el don de sus vidas a los demás. Esto es lo que hace un mártir: la imitación de Cristo, incluso cuando seguirle lleva a la elección de aceptar la muerte.

Vuelvo a citar a san Agustín, que predicaba: «Cristo salió y muchos le siguieron. El camino, de hecho, era muy duro, pero él lo hizo practicable cuando lo recorrió primero» (cf. Sermo 327: In Natali Martyrum 1,1: PL 38, 1452). Que el ejemplo y la intercesión de los nuevos Beatos nos ayuden también a nosotros a seguir el camino de Cristo, dejándole en última instancia a Él la elección, seguros de que, en cualquier caso, será un camino de amor, que nos llevará a todos a estar juntos en la casa del Padre. Amén.

 

Basilica de la Sagrada Família, Barcelona – 23 novembre 2024

 

Marcello Card. Semeraro