Omelia di Pentecoste nel Giubileo di Dedicazione di una chiesa

 

Una Chiesa, che nell’amore fonde tutte le diversità

Omelia di Pentecoste nel Giubileo di Dedicazione di una chiesa

 

Può sembrarci strano che la liturgia della Parola di questa Messa che ci introduce nella solennità della Pentecoste abbia avuto inizio con il racconto della torre di Babele (cf. Gen 11, 1-9): ormai c’è la confusione delle lingue e la parola non circola più allo stesso modo tra un popolo e l’altro; non ci si capisce più. Questa storia biblica ci è stata riproposta per ricordarci che Pentecoste è l’esatto contrario di Babele. Lo Spirito ha fatto, d’un solo colpo, cessare i motivi dell’incomprensione e ha aperto la porta all’intesa, all’incontro, alla comunione. Ed è questo il mistero della Chiesa.

I Padri della Chiesa lo sottolineavano unanimemente. In Oriente, ad esempio, San Gregorio di Nazianzo esclamava: «Per opera di un solo Spirito, la divisione che si era diffusa fra molti uomini è stata nuovamente ricondotta a un’unica armonia» (Oratio 41, 16: PG 36, 449). In Occidente, a sua volta Sant’Agostino predicava che «la totalità del corpo di Cristo parla le lingue di tutti; e quelle che ancora non parla, le parlerà. Difatti la Chiesa si dilaterà finché non si sia estesa a tutte le lingue…  Io parlo tutte le lingue: te lo posso dire con tutta franchezza. Sono nel corpo di Cristo, sono nella Chiesa di Cristo. Ora, se il corpo di Cristo già al presente parla tutte le lingue, anch'io sono là dove si parlano tutte le lingue. Mia è la lingua greca, la lingua siriaca, la lingua ebraica; mia è la lingua di tutte le genti perché io sono nell’unità di tutte le genti» (Enarr. in Psalmos 147, 19: PL 37, 1929). Il Concilio Vaticano II sintetizza tutto in questa bellissima frase: la Chiesa della Nuova Alleanza «in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell’amore intende e abbraccia, vincendo così la dispersione babelica» (Ad gentes n. 4; cf. pure il testo di un Autore africano del VI secolo citato dall’Ufficio delle Letture di stamane, che PL 65, 743 attribuisce a San Fulgenzio di Ruspe).

Lo Spirito, dunque, c’è quando c’è l’amore. Il racconto degli Atti, che la Liturgia fa leggere nella Messa del giorno di Pentecoste, dice che lo Spirito venne sugli Apostoli mentre «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (2,1). Un grande teologo dell’800 annotò con sottile ironia che lo Spirito venne sui discepoli non mentre erano sparsi uno da una parte e uno altrove, in qualche luogo appartato o nascosto. È da pensare che lo Spirito, se avesse trovato i discepoli divisi, non si sarebbe effuso! Neppure volle venire in forma puramente interiore. Scelse, invece, una forma visibile e venne quando i discepoli erano omothumadon, ossia unanimi anche nell’intimo dei cuori (A. Möhler, Simbolica §37). È, insomma, l’amore che apre le porte allo Spirito. È l’amore – non i traduttori, o i vocabolari, o le varie tecniche di dialogo – quello che ci fa parlare e capire tutte le lingue. È l’amore.

L’intuiva già un antico proverbio meridionale, che dice: «il figlio muto, la mamma (sorda) lo capisce»! In questa comunione di amore, che è la Chiesa, anche quando geograficamente ci sono le distanze sono superate. Lo predicava San Giovanni Crisostomo commentando il passo di San Giovanni dove si legge che Gesù venne «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52). Vuol dire – egli commentava – che venne per fare di noi un solo corpo ed è così che «chi sta a Roma considera come membro del proprio corpo chi vive in India» (In Io. Hom. 65, 1: PG 59, 361; cf. Lumen gentium n. 13). Vorremmo, allora, esclamare: «Come sei bella, o Chiesa santa di Dio, resa sensibile da questo prodigio dello Spirito Divino, che agisce ormai senza limite!» (P. Guéranger).

Potremmo, però, domandarci: ma questo è davvero realizzabile? È soltanto un’utopia? Se non, dove, allora, è per noi possibile vivere realmente tutto questo? La riposta a questa domanda per me è la seguente: la Chiesa diocesana e, in essa, quella sua ultima attuazione che è la parrocchia. Il Concilio la descrive, per questo, come «cellula» della Diocesi (cf. Apostolicam Actuositatem, n. 10), ossia presenza della Chiesa intera in un luogo. Ciò che molte volte, a motivo dell’ampiezza territoriale o per altri motivi, non è possibile nell’intera Diocesi, diventa possibile nella Parrocchia: ossia incontrarsi, parlarsi, pregare e celebrare insieme, esprimere la carità nell’aiuto reciproco… Per tale ragione ancora il Concilio scrive che «la parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le diversità umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa» (l.c.).

È, questa, paradossalmente, una possibilità che ridiventa possibile proprio mentre viene meno un cristianesimo di consuetudine e ritorna efficace un cristianesimo di convinzione! È una possibilità che sopraggiunge nelle nostre comunità di antica cristianità, con i fenomeni sociali delle immigrazioni, della mobilità umana. Oggi, negli spazi delle nostre comunità parrocchiali e diocesane convivono esperienze umane diverse e complementari e perciò arricchenti. «Fondere insieme tutte le diversità umane che vi si trovano e inserirle nell’universalità della Chiesa»: che magnifica occasione di grazia, di arricchimento, di cattolicità!

La Parrocchia, poi, ha un’altra ricchezza ed è l’essere una testimone della libertà cristiana. L’appartenenza alla Parrocchia, infatti, non chiede null’altro che il Battesimo da vivere e da testimoniare con coerenza e coraggio! La Parrocchia, non è, certo, l’unica forma di aggregazione nella Chiesa: ci sono le famiglie religiose, le associazioni e i movimenti di apostolato e di spiritualità… Tutte queste realtà, pure utili e preziose, esigono, però, sempre qualcos’altro: l’adesione a una vocazione, a un carisma, ad esempio. Nella Parrocchia, invece, l’unica condizione richiesta è il Battesimo. Se non vuoi più essere francescano o passionista ed esci dalla famiglia religiosa, hai sempre una Parrocchia che ti accoglie. Non condividi più gli ideali di un Movimento o di una Aggregazione? Hai sempre una Parrocchia che ti accoglie. Hai commesso dei gravi errori e sei espulso da una Associazione? Hai sempre una Parrocchia che ti accoglie. Ecco la ricchezza di una Parrocchia e per questo voi siete oggi chiamati a ringraziare il Signore.

Ricorre, difatti, il 50° anniversario della dedicazione della vostra bella chiesa parrocchiale ed questa anche la ragione del mio stare con voi attorno all’Altare, insieme con il vostro Vescovo, che saluto e abbraccio con amicizia fraterna, e anche col vostro Parroco che ha voluto la mia presenza e ringrazio per la sua cordiale accoglienza. Con loro saluto il Sig. Sindaco della Città con le Autorità civili, militari e di polizia che lo accompagnano. Grazie a tutti per la vostra simpatica accoglienza.

Concludo, allora, con una citazione di Sant’Agostino che ci riporta pure al senso della festa di Pentecoste, ossia all’amore, alla carità. Quel santo Dottore predicava che tutti noi siamo Casa di Dio, ma spiegava che lo siamo solo quando siamo compaginati dalla carità e spiegava: come un edificio materiale sarebbe pericoloso se gli elementi che lo compongono fossero sconnessi sicché nessuno andrebbe ad abitarci, così sarebbe per noi, che formiamo la Casa del Signore, se dovessero mancare la reciproca coesione e l’amore. In tal caso nessuno vorrebbe stare con noi. Quando, al contrario, sai che in una costruzione pietre e legni sono solidamente e ordinatamente combinati insieme, allora in quella casa entri sicuro e non temi un crollo. Così, volendo abitare in noi, quasi per costruire una casa Cristo Signore ci ha detto: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri (cf. Discorso 336,1: PL 38, 1471-1472).

La solennità della Pentecoste, carissimi, segna il tempo della maturità della Chiesa. Nata dal costato aperto di Gesù sulla Croce, ora è inviata a tutto il mondo per testimoniare Cristo crocifisso e risorto. Scriveva il beato cardinale Schuster: «La Chiesa, che fino a ieri vagiva come in una culla, ristretta cioè tra le anguste pareti del cenacolo, conseguita ormai la sua integrale perfezione, tutta radiante di santità e di verità, esce di là a fare la sua prima comparsa al mondo. Lo Spirito Santo che, al pari d’un liquore mussante e prelibato, fluisce oggi nelle sue vergini vene, le comunica la vita di Gesù, associandola ai suoi ideali e all’opera sua redentrice» (Liber Sacramentorum, IV, Marietti, Torino-Roma 1930, p. 30).

Entriamo, allora, in questo dinamismo missionario e affidiamo la nostra buona volontà all’intercessione di San Gabriele dell’Addolorata, le cui spoglie sono qui presenti ed io sono davvero felice di venerarle insieme con voi. Questo caro santo, che ha infiammato di carità le cose più semplici della propria vita quotidiana, ci insegni a fare come lui. Amen.

 

Parrocchia San Gabriele dell’Addolorata – Atri, 27 maggio 2023

 

Marcello Card. Semeraro