I martiri sono morti e si è moltiplicata la Chiesa
Omelia in ringraziamento della beatificazione di tre missionari saveriani italiani e un sacerdote franco-congolese, martiri, avvenuta a Uvira (R.D. del Congo) il 18 agosto 2024
Ero un giovane seminarista, quell’anno, e nel Seminario giungevano, lasciandoci addolorati, le notizie dei missionari che morivano nel Congo violentemente uccisi nel corso dei tragici eventi di quel Paese. Ho poi riletto, in vista di questo nostro incontro a più titoli «eucaristico», le cronache quasi quotidiane de «L’Osservatore Romano» di quei giorni e ho trovato scritto: «I nomi di questi caduti per Cristo rimarranno nella Chiesa e negli annali delle famiglie religiose e torneranno sulle labbra, nella preghiera e nei discorsi non per inveire ma per rianimare la carità» (OR del 21-22 dic. 1964, p. 2 a firma di F[ederico] A[lessandrini]). In quegli stessi giorni il papa Paolo VI consegnava al Primo Ministro congolese un messaggio dove sottolineava che quei missionari, religiosi e religiose, che avevano testimoniato con il sangue la loro fedeltà al Vangelo e il loro amore per la patria congolese, vi erano giunti solo «per mettere le loro migliori energie al servizio della nuova nazione e certamente non desideravano altro che la sua prosperità e il suo sviluppo pacifico» (Messaggio del 10 dicembre 1964 al Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri del Congo-Léopoldville M. Tchombé).
Ecco, allora, i due scopi fondamentali di questa nostra liturgia, a un mese dal rito di Beatificazione dei nostri quattro fratelli celebrato lo scorso 18 agosto. Il primo è l’ufficiale riconoscimento della Chiesa del loro martirio, che come disse Papa Francesco dopo la preghiera dell’Angelus nello stesso giorno, «è stato il coronamento di una vita spesa per il Signore e per i fratelli». L’altro scopo è onorare questi Beati riconoscendo attivo e presente in loro il mistero evangelico del granello di senape: «è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (Mt 13,32). «Il granello di senape sono i nostri martiri», commentava sant’Ambrogio (Exp. Ev. sec. Lucam VII, 178: PL 15, 1746) e sant’Agostino spiegava: «I martiri furono uccisi perché Cristo morisse di nuovo, ma non nella Testa bensì nel suo Corpo; il santo sangue sparso è stato, però, capace di moltiplicare la Chiesa… I martiri sono morti e ancor più moltiplicata si è la Chiesa e intanto fra tutte le genti si diffonde il nome di Cristo» (Enarr. in Psalmos XL, 1: PL 36, 454).
Nella beatificazione dei martiri Luigi Carrara e Giovanni Didonè, religiosi sacerdoti, e Vittorio Faccin, religioso professo, la famiglia saveriana troverà certamente impulso e motivi di fervore apostolico. A questi tre questi Beati, che hanno vissuto la loro vocazione missionaria con gioia ed entusiasmo apostolici, è associato il beato Alber Jovet, uno dei primi sacerdoti della regione congolese, anch’egli animato da profondo spirito missionario. Come abbiamo pregato nella orazione Colletta, per la loro intercessione il Signore conceda anche a noi «di aderire con fedeltà a Cristo e di operare nella Chiesa per la salvezza dei fratelli».
Durante l’udienza di mercoledì scorso, ricordando il suo recente viaggio in Asia e Oceania e riferendosi in particolare alla visita in Papua Nuova Guinea, il Papa ha detto di avere ritrovato la bellezza di una Chiesa missionaria, in uscita! Sappiamo che questa è un’espressione a lui molto cara. La troviamo già nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, tradotta come gioia missionaria. Questa gioia, scrive Francesco, «è un segno che il Vangelo è stato annunciato e sta dando frutto. Ma ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre»; quindi conclude: «è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno» (nn. 20-23). Tutto questo noi vogliamo attentamente riconsiderarlo in occasione di questa celebrazione di ringraziamento per la beatificazione dei nostri martiri.
Cosa sia la gioia del Vangelo possiamo coglierlo nel racconto del vangelo che è stato proclamato e trovarlo particolarmente nel gesto di Gesù che, dopo avere chiamato Matteo alla sua sequela, lo vede prontamente alzarsi e seguirlo. Narrando lo stesso episodio, gli altri due evangelisti, Marco e Luca, ci riferiscono che Matteo invitò Gesù a casa sua e con lui invitò pure i suoi amici, magari nella fiducia che anche loro sperimentassero la sua medesima chiamata. Si dà, dunque, inizio a un banchetto cui Gesù prende parte con gioia evidente ed espansiva, al punto da destare le critiche dei farisei: «mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori» (cf. Mt 9,9-13). Com’è bella, com’è esemplare questa gioia di Gesù: è la gioia del Vangelo!
Sempre in Evangelii gaudium papa Francesco osserva che spesso ci sono cristiani «che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua» (n. 6). Voi, missionari saveriani, avete il dovere di evidenziare nella Chiesa certamente lo zelo, ma pure la gioia del vangelo. Mentre vi guardo, carissimi, sento il cuore riscaldarsi per la memoria di un vostro confratello, il vescovo Giorgio Biguzzi che, all’epoca del mio ministero episcopale nella Chiesa di Albano, ho più volte incontrato e per due volte ho visitato nella diocesi di Makeni, in Sierra Leone. È morto da poco ed io lo ricordo come un vescovo gioioso, che della gioia del vangelo è stato davvero un singolare testimone. Di questa gioia, come della testimonianza martiriale dei nostri Beati, vogliamo tutti noi sentirci davvero eredi e partecipi, perché «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7).
Parma, Santuario Conforti, 21 settembre 2024
Marcello Card. Semeraro