Omelia nel 150 anniversario dalla nascita del venerabile Servo di Dio fra Giuseppe Ghezzi

 

È dando, che si riceve

Omelia nel 150° anniversario dalla nascita del venerabile Servo di Dio fra Giuseppe Ghezzi

 

Torno volentieri in questa Comunità francescana per ricordare il Venerabile Servo di Dio fra Giuseppe Michele Ghezzi, a 150 anni dalla sua nascita. Lo facciamo per conservare la memoria della sua testimonianza; lo facciamo per riproporre il suo esempio di amore a Dio e al prossimo; lo ricordiamo per invocare la sua intercessione presso Dio per le nostre necessità spirituali e corporali. I santi, ci insegna il Concilio Vaticano II, sono «amici e coeredi di Gesù Cristo» e anche «nostri fratelli e insigni benefattori» (Lumen gentium, n. 50).

Riguardo a fra Ghezzi mi piace ripetere qui una testimonianza raccolta durante il processo canonico: egli «dimostrava il suo amore al Signore quando, stanco dal giro della questua, andava davanti al Tabernacolo per rimanervi delle ore» (Posititio, p. 61). Così lo ricorda pure il nostro Cardinale Salvatore De Giorgi, pure mio venerato predecessore sulla Cattedra di Oria. Quando l’altra sera l’ho salutato per dirgli di questo nostro incontro leccese, mi ha ricordato che anch’egli, da ragazzino, lo osservava con stupore quando, dopo una giornata di peregrinazione per le vie del paese, lo vedeva alla sera trascorrere ore intere davanti al SS.mo Sacramento.

Oggi quella figura di frate è scomparsa e non fa più parte dell’immaginario cristiano. Lo chiamavamo il «frate cercantino». La comunità dei frati minori di Lecce, però, attraverso il manifesto nel quale si annuncia questa celebrazione ha voluto riproporci proprio questa immagine. Fra Ghezzi era un frate «cercantino» e quando, a motivo di una caduta che gli procurò la frattura del collo del femore destro, non poté più pellegrinare per la questua, allora fu il popolo cristiano a cercarlo per ottenere la carità di una sua parola, di una sua preghiera, di una sua benedizione. Ed allora, proprio ricordando la sua figura di questuante, voglio domandarmi davanti a voi: cosa significava tutto questo nella spiritualità di un frate francescano? Nella spiritualità del nostro fra Giuseppe Ghezzi?

In un libro su San Francesco che ha conosciuto numerosissime edizioni, scritto da Maria Sticco – che fu grande collaboratrice del p. Agostino Gemelli e docente di lingua e letteratura Italiana presso l’Università Cattolica di Milano – ho letto una pagina molto bella sulla «nobiltà dell’elemosina». Si narra che il Santo di Assisi dovette molto insistere per fare comprendere ai suoi frati il significato del cercare l’elemosina e spiegare «che c’è più merito nel chiedere che nel dare, perché si offre agli altri occasione di fare il bene senza averne l’aria, e perché non c’è maggiore umiltà di chi stende la mano e confessa: Fratello, ho bisogno di te» (San Francesco d’Assisi, OR, Milano 1997, 87). È quel: è dando che si riceve, che si ripete in quella Preghiera semplice che, scritta dal p. Esther Bouquerel, un sacerdote bretone, molto piacque a Benedetto XV sì da volerla pubblicata sulla prima pagina de L’Osservatore Romano del 20 gennaio 1916. Ricordate: c’est en donnant qu’on reçoit… è dando, che si riceve!

Nello Specchio di Perfezione (biografia francescana che risale al XIV secolo) leggiamo che «secondo il Santo, era cosa molto nobile e degna davanti a Dio e davanti agli uomini, chiedere l’elemosina per amore del Signore Dio…». Prosegue dicendo che «il servo di Dio chiedendo l’elemosina offre in cambio l’amore di Dio a quelli cui si rivolge; e, a confronto con l’amore di Dio, sono un nulla le cose del cielo e della terra» (FF, 1706). Ecco, allora, cos’è la questua francescana e, di per sé chiedere e dare l’elemosina: chiedendo un gesto materiale di amore e donare l’amore di Dio. È il senso delle opere di misericordia.

Nella sua Leggenda maggiore San Bonaventura narra un simpaticissimo aneddoto riguardo a San Francesco. Dice che una volta, essendo il Santo molto malato si decise di riportarlo da Nocera ad Assisi. Quando si giunse nei pressi di un povero villaggio chiamato Satriano, tutti ebbero fame sicché andarono per il paese a cercare del cibo. Non avendo, però, trovato niente da comprare, tornarono a mani vuote. Leggo alla lettera cosa avvenne: «A loro il Santo disse: “Se non avete trovato niente, è perché avete più fiducia nelle vostre mosche [ossia i denari] che in Dio. Ma tornate indietro nelle case da cui siete passati e domandate umilmente l’elemosina, offrendo come pagamento l’amore di Dio. E non crediate che questo sia un gesto vergognoso o umiliante: è un pensiero sbagliato, perché il Grande Elemosiniere, dopo il peccato, ha messo tutti i beni a disposizione dei degni e degli indegni, con generosissima bontà”. I cavalieri mettono da parte il rossore, vanno spontaneamente a chiedere l’elemosina e riescono a comprare con l’amor di Dio quello che non avevano ottenuto con i soldi. Difatti quei poveri abitanti, commossi e ispirati da Dio, offrirono generosamente non solo le cose loro, ma anche se stessi. E così avvenne che la ricca povertà di Francesco sopperisse all’indigenza, che il denaro non aveva potuto alleviare» (FF, 1130).

Comprare con l’amor di Dio quello che non si ottiene con i soldi. Non è anche questo un insegnamento a cercare dov’è la vera gioia? Quali sono i valori autentici, che non marciscono? «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna», ci dice Gesù (Gv 6,27). È, allora, in questa luce che noi, guardando all’immagine di fra’ Giuseppe Ghezzi, dobbiamo considerare l’ufficio di questuante che ebbe come frate e come discepolo di San Francesco.

Questa immagine è un invito a essere imitatori di Cristo, il quale da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cf. 2Cor 8,9). È anche un invito a riconoscere Cristo nei poveri. «Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro “la sua prima misericordia” … Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro», ha scritto papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n. 198).

Sia la nostra celebrazione di questa sera un’occasione per rimettere in luce questa dimensione dell’essere cristiano e facciamo in modo che l’immagine di fra Giuseppe Ghezzi sia per noi una memoria per questo impegno.

 

Parrocchia-Santuario Sant’Antonio a Fulgenzio, Lecce 11 febbraio 2023

 

Marcello Card. Semeraro