Omelia nel 48° anniversario della morte della Venerabile Maria Oliva Bonaldo del Corpo Mistico, fondatrice delle Figlie della Chiesa

 

Come si ama e si serve la Chiesa

 

Omelia nel 48° anniversario della morte della Venerabile Maria Oliva Bonaldo del Corpo Mistico, fondatrice delle Figlie della Chiesa

 

Da parte vostra, è bella espressione di filiale gratitudine il volere ricordare, carissime Sorelle, l’anniversario del passaggio da questo mondo alla casa del Padre della vostra fondatrice, la venerabile Maria Oliva Bonaldo del Corpo Mistico. Morì, infatti, 10 luglio 1976, dopo una lunga esistenza segnata fin dalla giovinezza da una costante ricerca della volontà di Dio. Raccomandava san Bernardo: «Cercate Dio nella semplicità del vostro cuore. Non cercate null’altro che lui, nessun altro all’infuori di lui, nessun altro dopo di lui. Cercate lui nella semplicità del vostro cuore» (Sermones de diversis XXXVII, 9: PL 183, 643). Così è stata la venerabile Maria Oliva, una donna che con le sue opere e più ancora con il profumo della santità che ha diffuso, illumina la vita consacrata e testimonia la bellezza e la gioia di una vita consumata nell’Amore e realizzata nella Chiesa e per la Chiesa.

La ricerca della volontà di Dio segna tutto il suo percorso vocazionale, la conduce alla fondazione delle Figlie della Chiesa e la accompagna nel ministero di guida e di governo, anche nei momenti di difficoltà e di sofferenza, sino al termine della vita terrena. In tutto questo il motore del suo cammino spiritale è stato senza dubbio la preghiera, sia liturgica, sia personale, è l’atteggiamento abituale della sua vita.

Tutto questo si esprimeva nelle varie forme di amore alla Chiesa, che ella volle servire insieme con le sue Figlie. È bello, oggi, ricordare in particolare l’atteggiamento con il quale accolse il Concilio Vaticano II, si dedicò allo studio dei suoi documenti e alla loro conoscenza. È un esempio da richiamare anche oggi, in vista dell’oramai prossimo Giubileo. Difatti, «prepararsi al Giubileo del 2025 riprendendo tra le mani i testi fondamentali del Concilio Ecumenico Vaticano II» è l’impegno che il Papa chiede a tutti i credenti «come momento di crescita nella fede». Sono certo, carissime Sorelle, che non farete mancare in questo il vostro contributo.

Il titolo di Figlie della Chiesa, che pure l’identità di ogni cristiano, rigenerato alla vita divina in Cristo nel grembo della Chiesa Madre, è per voi – come voi stesso dichiarate – «nome e missione, perché siamo state conquistate da Gesù, il Figlio del Padre, e sotto la guida dello Spirito Santo desideriamo dedicarci interamente a questa Madre, facendola conoscere, amare e ponendoci al suo servizio». È questo il vostro carisma dichiarato: «Conoscere, amare e testimoniare la Chiesa; farla conoscere e farla amare; pregare, lavorare e soffrire per essa, a imitazione di Gesù, che “amò la Chiesa e per essa sacrificò se stesso”». Il racconto del Vangelo che è stato proclamato – quello delle nozze di Cana – può dirci qualcosa sul come si ama e si serve la Chiesa, sul modello di Maria. È, difatti, un racconto ricco di simboli e di richiami, che segna la sua prima comparsa nel quarto vangelo e lo fa con un titolo, quello di «Donna», che ritroveremo ancora sulle labbra di Gesù, ma pronunciato dalla Croce.

La prima cosa che intendo proporre all’attenzione comune è la presenza attenta della Madre di Gesù. Maria c’è, ma non come un’invitata passiva, che se ne sta a guardare e a godersi la festa. Maria, invece, è attenta e subito si accorge di una mancanza: «non hanno vino»! Per Maria è l’occasione giusta per aiutare, per andare incontro. Nella tradizione biblica il vino non è una bevanda qualsiasi; è un elemento che dà gioia. Il vino allieta il cuore dell’uomo, dice un salmo (104,15). Certo, il vino ha pure altri effetti ma, trattandosi di una festa nuziale, è la bevanda che accresce la gioia. Ebbene, Maria si accorge che è a rischio la gioia e perciò interviene. Maria c’è e interviene. Accade talvolta, quando siamo in difficoltà, di vedere andar via, magari con una scusa, qualcuno; Maria, invece, c’è e provvede. Ecco un gesto importante quando si lavora per la Chiesa: essere attenti ai bisogni e agire andando incontro.

L’altra cosa che desidero sottolineare è la parola che Maria, dopo il colloquio col Figlio, rivolge ai servi: «Fate tutto quello che vi dirà»! Qui dovremmo entrare nel significato biblico di questo invito. Basterà sottolinearne l’aspetto materno: Maria dice ai servi di avere fiducia, di non perdere le speranze perché c’è una mano tesa. In un salmo ripetiamo: «Ecco, come gli occhi dei servi / alla mano dei loro padroni /… / così i nostri occhi al Signore nostro Dio, / finché abbia pietà di noi» (Sal 123,2). E Gesù tende la mano di aiuto!

Concludo con quanto san Romano il melode, un poeta orientale vissuto tra il V e il VI secolo, scrivo in uno dei suoi Inni dedicato alle nozze di Cana. Egli s’immagina di domandare alla Vergine: se, come dice il vangelo, quello di Cana fu il primo dei segni compiuti da Gesù, da quale dei suoi miracoli tu hai capito che il tuo figlio poteva «donare vino senza aver vendemmiato grappoli… come mai, senza aver visto, senza avere la prova di un miracolo, lo hai invitato a operare miracoli»? La risposta di Maria fa appello alla sua personale esperienza: «Io so che non ho conosciuto uomo, eppure ho generato un figlio al di là della natura e della ragione e sono rimasta vergine come ero, Cerchi un miracolo più grande di questa nascita, o uomo?» (Romano il Melode, Le nozze di Cana, 6.8). Ecco cosa accade quando la fede diventa operosa; quando non è solo pensata, ma è fatta di esperienza, di vita.

 

Casa Generalizia Sancta Maria Mater Ecclesiae – Roma 10 luglio 2024

 

Marcello Card. Semeraro