Omelia nel 49° anniversario del pio transito del Venerabile József Mindszenty

 

Pastore pronto a dare la vita per il suo gregge

Omelia nel 49° anniversario del pio transito del Venerabile Servo di Dio József Mindszenty

 

La coincidenza non voluta, ma provvidenziale nel calendario liturgico, ci ha permesso, nell’anniversario del suo pio transito da questo mondo alla patria celeste, di riascoltare tutti insieme una parola di Gesù che ci aiuta a vivere con particolare intensità il ricordo del cardinale József Mindszenty, per il quale la Chiesa ha avviato il processo canonico per la Beatificazione e Canonizzazione e che, il 12 febbraio 2019, papa Francesco, riconoscendone l’esercizio eroico delle virtù e confermando la fama di santità e di segni di cui gode, ha dichiarato Venerabile. Abbiamo ascoltato, infatti: «Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza … viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio…» (Gv 15,26-67; 16,2). Questa «ora» il venerabile József l’ha vissuta come Gesù.

«Voglio essere un buon pastore, un pastore pronto a dare la vita per il suo gregge», è la frase con la quale inizia il Decreto sulle virtù. József Mindszenty pronunziò queste  parole l’8 dicembre 1945, mentre iniziava il nuovo ministero come Vescovo di Esztergom-Budapest e Primate d’Ungheria. In realtà, nelle tragiche vicende che segnarono la sua vita e quella del popolo ungherese, egli esercitò con straordinaria coerenza e incrollabile fortezza il suo mandato, rispondendo alla violenza con amore e mitezza evangelica. Intendiamo dire che la sua fortezza non era una dote fisica, ma spirituale: era, infatti, consapevole che i suoi piedi poggiavano sulla salda roccia che è Dio. Era, dunque, una fortezza che scaturiva dalla fede. La fede, ha dichiarato un testimone nel processo per la Beatificazione e Canonizzazione, «era come una stella che guidava tutta la sua vita […]. Per la fede ha sacrificato se stesso, ha sofferto pene simili al martirio». Per il venerabile Mindszenty credere in Dio era al tempo stesso affidarsi a Lui; la sua era una fede che egli sosteneva e alimentava con la preghiera e questo specialmente nei duri anni della prigionia e del domicilio coatto.

Nei giorni scorsi sono stato a San Giovanni Rotondo per ricordare con la celebrazione della Santa Messa il XXV di beatificazione del Padre Pio di Pietrelcina e lì (certo avendo presente il nostro odierno momento di preghiera), mi è tornato alla memoria che in un libro pubblicato dieci anni or sono si è parlato di un «misterioso» incontro fra Padre Pio e il cardinale. Si sarebbe trattato di una bilocazione del cappuccino stigmatizzato avvenuta mentre Mindszenty era prigioniero. In risposta a chi lo interrogava al riguardo Padre Pio avrebbe detto: «Ricordati di pregare per questo grande confessore della fede, che ha tanto sofferto per la Chiesa» (cf. S. Campanella, Padre Pio. La sua chiesa, i suoi luoghi, tra devozione storia e opere d’arte, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina 2014). E ancora oggi noi preghiamo: lo facciamo in suo suffragio, ma pure considerando il suo esempio di fedeltà al Signore e di amore per la Santa Chiesa.

Nella prospettiva, poi, del prossimo anno giubilare, di cui papa Francesco farà la solenne indizione giovedì prossimo sera nella Basilica Vaticana, un Anno Santo che vivremo nella prospettiva della virtù della Speranza, desidero questa sera ricordare pure che il venerabile Mindszenty fu uomo di grande speranza. «Tutta la sua speranza era nella misericordia di Dio», ha dichiarato un testimone nel processo per la Beatificazione ed ha aggiunto: «Più volte diceva che se Dio non tenesse la sua mano paterna sopra l’umanità peccatrice, sparirebbe inevitabilmente. Soprattutto nella sofferenza la sua speranza era inscalfibile… nemmeno in prigione abbandonava la speranza: sperava che non rimanesse definitiva la gloria dei malvagi».

Si deve aggiungere che questa speranza egli cercò sempre di comunicarla al prossimo sicché tante volte, specialmente nelle sue esortazioni, egli ha consolato gli afflitti e confortato i sofferenti. Oltre le oscurità del momento presente, insomma, egli vedeva e indicava agli altri un mondo diverso. In tempi di fragilità, come quelli che stiamo vivendo nel nostro tempo, abbiamo davvero bisogno di esempi, come questo che ci giunge dal venerabile József Mindszenty.

Io sono davvero riconoscente per l’invito rivoltomi in questa occasione. Ringrazio S.E. Eduard Habsburg-Lothringen, Ambasciatore d’Ungheria presso la Santa Sede, per la gentilezza usatami in questa occasione; con lui, saluto di cuore il Rev. Norbert Németh, coordinatore pastorale degli ungheresi in Italia e lo prego di trasmettere il mio saluto alla Conferenza Episcopale Ungherese. Con affetto abbraccio i sacerdoti concelebranti e saluto il Collegio Germanico-Ungarico.

Torno, dopo molti anni, in questa antica e stupenda Basilica, che è stata chiesa titolare del cardinale József Mindszenty … Agli inizi del mio insegnamento nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense ebbi modo di godere dell’ospitalità delle Suore Missionarie del Sacro Costato, che dimorano qui accanto. All’epoca in questa Basilica c’erano lavori di restauro e potevo darle solo un rapido sguardo; ora, però, essa risplende in tutta la sua bellezza. In questo contesto, poi, di ricordi personali, arretro con la memoria a quando ero ragazzo.

Anche dove abitavo, nel Salento, giunse la notizia di ciò che nell’ottobre 1956 accadeva in Ungheria. Ero ragazzo e non potevo comprendere quegli eventi; non li compresi neppure quando con la mia Mamma mi recai in chiesa per un momento di preghiera cui, all’inizio di novembre di quell’anno, fummo tutti invitati. Ricordo, però, quella sera: pregavo insieme con tutti, insieme con la mia Mamma; pregavamo per i moti d’Ungheria, pregavamo per il cardinale Mindszenty, pregavamo per i vivi e per i defunti... Erano, quelli, i giorni di Commemorazione dei fedeli defunti. Io ero bambino e non sapevo neppure dove fosse l’Ungheria… Però pregavo e certamente il Signore accoglieva la mia preghiera, per quanto fosse inconsapevole. Oggi, invece, ho pregato diversamente e insieme con voi. Che il Signore glorifichi presto il suo Servo fedele. Lo faremo insieme ad alta voce al termine della Santa Messa.

Termino con un commento, attribuito a San Gregorio Magno (che in questa Basilica ha predicato) al passo di 1Sam 2,4 che dice: «L’arco dei forti si è spezzato, ma i deboli sono rivestiti di vigore». San Gregorio spiegava: «Il vigore dello Spirito vinse il timore, superò i terrori, le minacce e le torture, e quelli che rivestì scendendo sopra di essi, li adornò con le insegne di una meravigliosa audacia per il combattimento spirituale; tanto che in mezzo ai flagelli, alle torture e agli oltraggi, non solo non temettero, ma esultarono» (Commentarii in librum I Regum, I, 2, 11: PL 79, 82).

 

Roma – Basilica di Santo Stefano Rotondo, 6 maggio 2024

 

Marcello Card. Semeraro